Costeggiando un terreno franoso

di Roberta Salardi

Prima parte: un esperimento di agricoltura sostenibile, la comunità Terrestra

“Attenti alla macchina!”. All’uscita da Ravenna percorriamo chilometri su asfalto statale e provinciale, a tratti senza marciapiede. Paolo Pileri (ordinario di pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano), che ci accompagna per un lungo tratto, ci segnala le varie brutture, tecnologiche e no, che si sarebbero potute evitare o mascherare meglio (armadi tecnologici, ex capannoni, aree dismesse recintate e incolte, mancanza di siepi, soste degli autobus senza marciapiede), ma deve spesso interrompersi perché dobbiamo soprattutto prestare attenzione alle auto, che possono sorprenderci alle spalle in qualsiasi momento, persino in qualche via laterale. Benché Guido Viale abbia scritto Vita e morte dell’automobile, con una certa fiducia in una svolta decisiva, nel lontano 2007, eccoci ancora completamente circondati… La vettura privata con motore a scoppio è dura a morire, purtroppo lo constatiamo giorno dopo giorno. Ma qui siamo solo all’inizio di un percorso che vuole portarci fuori dal tessuto urbano in pieno ambiente rurale.

Turismo di prossimità, agroecologia, visita solidale a realtà alternative e a una fabbrica occupata… il cammino di quest’anno di Repubblica nomade si preannuncia particolarmente denso di eventi e significati.

Di chi stiamo parlando? Parafrasando alcune parole di Moresco, contenute nella prefazione a Stella d’Italia, potremmo dire che Repubblica nomade (che a quel tempo era ancora in germe, ma molto desiderosa di nascere) non è qualcosa di puramente culturale, anche se si denomina “associazione culturale” e c’è dentro una forte spinta culturale e ancor più poetica; non è qualcosa di puramente politico, anche se c’è dentro una forte spinta politica e una trascendenza civile; non è qualcosa di puramente atletico, anche se ha comportato per molti partecipanti un superamento delle possibilità fisiche individuali. In parole più povere, prive di tutte le sfumature sopra accennate, Repubblica nomade è un’associazione che organizza cammini, in Italia e in Europa, caratterizzati da una forte connotazione simbolica e politica (non partitica, dal momento che le idee sono varie e le scelte in cabina elettorale pure). Inevitabile, il notevole impegno fisico, dal momento che è proprio il passaggio dal pensiero all’azione (dalla passività abitudinaria del nostro tran tran quotidiano all’attivarsi per qualcosa di socialmente significativo) che si desidera, sebbene in modo giocoso, incentivare. Perché, invece delle solite vacanze organizzate o familiari o di consumo (nel distruttivo turismo transcontinentale), non utilizzare parte dei nostri giorni liberi dell’anno per un’esperienza di turismo di prossimità, che ci faccia riscoprire una vita in comune con altri, ci faccia incontrare persone anche molto diverse da quelle del nostro ambiente, ci porti, gambe-cervello-cuore, a contatto con realtà di cui magari si è sentito parlare, si è letto fuggevolmente qualcosa ma non si sono mai viste né conosciute, benché fossero qui a due passi, a qualche centinaio di passi… prendendo il treno subito raggiunte, da poter vedere e conoscere camminandoci dentro.

Il Cammino dell’acqua, fra il 16 e il 29 giugno di quest’anno, si propone di attraversare le terre alluvionate l’anno scorso in due ondate successive, nella primavera e nell’autunno 2023, romagnole e toscane, per raggiungere una realtà di lotta sindacale attiva da tre anni, da quando, nel luglio del 2021 alla GKN di Campi Bisenzio, si attuò uno dei primi licenziamenti dopo il periodo di sospensione della pandemia. Da un tipo di solidarietà all’altro… da quel prodigare aiuti e partecipazione in Romagna, da parte di genti affluite da tutt’Italia, alla capacità di reazione e di organizzazione dimostrata dal Collettivo di fabbrica GKN in Toscana, insieme con le moltissime associazioni solidali del territorio e oltre, nel corso di tre anni per difendere i posti di lavoro in una vertenza che non si è ancora conclusa (… e difenderli per giunta con attenzione consapevole alla sostenibilità e al futuro che ci attende). Pure il territorio di Campi Bisenzio, sempre nel 2023, a novembre, fu investito da un’alluvione, che vide i lavoratori della fabbrica sia nelle vesti di soccorritori sia nelle vesti di vittime, quindi il cammino può definirsi correttamente “dell’acqua” fino alla fine.

Nelle settimane della camminata, sul territorio nazionale due notizie fanno particolarmente parlare di sé: l’omicidio doloso nell’ambito del bracciantato ai danni del trentenne Satnam Singh, abbandonato e morto per dissanguamento senza soccorso fra il 17 e il 19 giugno dopo un incidente sul lavoro in un’azienda in provincia di Latina, preceduto e seguito purtroppo da altre morti bianche, che cadono ormai con regolarità quasi quotidiana (nel 2024 sono in aumento rispetto agli anni precedenti); l’approvazione alla Camera il 19 giugno del disegno di legge sull’autonomia differenziata. Questo lo sfondo su cui ci muoviamo: lavoro precario e sfruttato mentre vengono emanate nuove leggi molto contestate, di dubbia utilità, forse addirittura pericolose. A proposito delle morti fra i lavoratori agricoli, più che altro irregolari e trattati come schiavi, viene ricordato più volte Uomini e caporali di Alessandro Leogrande, ma non trovo avulso dal discorso il capitolo “Affamato di diseredati. Perché il capitalismo è strutturalmente razzista” in Capitalismo cannibale di Nancy Fraser. Sull’autonomia differenziata scrive subito qualcosa Paolo Pileri: il 24 giugno su Altreconomia sottolinea che questa nuova direttiva “poggerà sui piedi dell’ignoranza ecologica”. Verrà trasferita alle Regioni anche la tutela degli ecosistemi e questo renderà tutto più difficile. È noto infatti che i piccoli comuni sono meno efficienti dei grandi nella tutela; inoltre la gestione degli ambienti sarà più frammentata e per parti differenziate (“Un Paese fatto a pezzi in nome dell’autonomia differenziata. L’addendum ecologico”).

 

Si parte da Ravenna il 16 giugno, a pochi giorni dalla ricorrenza dell’alluvione del   maggio 2023. Sulle colline dell’Appennino, raggiunte dopo qualche giorno, dopo Faenza, vediamo i segni profondi dei calanchi di questa terra argillosa e, un po’ più in alto, dopo Brisighella, prima dell’arrivo al rifugio Fontana Moneta, nei pressi di Palazzuolo sul Senio, pure le tracce di alcune delle migliaia di frane che si verificarono da queste parti un anno fa. Puntale, Pileri: la terra franata purtroppo va a intasare i corsi d’acqua e rende più difficile il defluire degli allagamenti, ma il danno non si limita a questo: le frane significano anche perdita di suolo in quota. Le strade sono riparabili, il suolo scivolato a valle è ormai perduto. All’origine di questi disastri: l’abbandono delle alture, per cui nessuno più cura e coltiva il terreno montano, lasciato a sé stesso e all’erosione delle piogge; il consumo di suolo a valle, con la cementificazione che toglie ai suoli, con le erbe e le piante, il respiro, la possibilità di rigenerarsi, drenare e frenare le acque.

In mezzo a tutto questo, si dialoga con associazioni virtuose (come gli Ortisti di strada della Casa volante di Ravenna, che curano un orto in un’area dismessa e piantano alberi da frutto dove possono lungo le strade; il Vascello vegano, sempre in provincia di Ravenna, fonte inesauribile di ricette rispettose degli altri animali; la Cooperativa di comunità a Legri; l’instancabile attività a favore di chi ha bisogno della Collegiata di Lugo, tra cui il “velocibo”, raccolta e rapida distribuzione con le biciclette del cibo recuperabile ogni giorno rimasto invenduto nei mercati; l’Orto collettivo di Calenzano, che si propone di coltivare pure le zone di mezza montagna, oltre a quelle di pianura e collina, per non abbandonare all’incuria e al disboscamento un terreno prezioso), mentre gli amministratori locali vengono pungolati con domande rigorose, talvolta indisponenti da alcuni di noi, considerato che l’Emilia-Romagna è fra le regioni con maggiore consumo di suolo (la Lombardia è la peggiore),

Ma ecco un fiore all’occhiello: incontriamo una realtà che ha accettato la sfida di fare agricoltura nel modo più virtuoso possibile, e naturalmente può costituire un esempio. Ciascuno di noi può scegliere di appoggiare questo nuovo modo di fare agricoltura, poiché le CSA (comunità a supporto dell’agricoltura), sono diffuse sul territorio italiano e se ne trovano anche in provincia di Milano e Bergamo, rintracciabili su internet. La cooperativa agricola che visitiamo a Sant’Agata sul Santerno (il comune, molto vicino a Lugo, maggiormente colpito dall’alluvione del 2023 in Romagna), Terrestra appunto, si propone di agire in armonia con la terra da coltivare e tutti i suoi abitanti, nei limiti del possibile: gli animali, le piante selvatiche, la boscaglia, l’argine del torrente, cittadini e compaesani del circondario. Si è calcolato che gli animali possono danneggiare le coltivazioni solo fino a un certo punto e si è messa in conto questa perdita piuttosto che adottare l’uso di prodotti di sintesi, che avrebbero effetti peggiori. Questo vecchio podere era già molto impoverito e rovinato per la trascuratezza di decenni quando Silvia Pattuelli, laureata in economia, ha deciso di cambiare la sua vita, spostandosi dalla città alla campagna, e di orientarsi con alcuni amici verso un’agricoltura che non depauperasse irrimediabilmente il suolo, come già avvenuto in passato, gli permettesse di rigenerarsi, di ospitare radici e alberi, con particolare attenzione alla biodiversità, valutando con accuratezza cosa coltivare in modo da non esaurire le risorse nutritive del terreno in poco tempo. Occorreva decostruire le tecniche agricole convenzionali, che vanno sempre più verso il latifondo (vaste estensioni di terra chimicamente trattate nelle mani di pochi possessori di ingenti capitali), per rendere l’agricoltura un bene comune. L’agroecologia, cui ci si ispira, è lievemente diversa dall’agricoltura biologica, ha un approccio più globale e organizza l’economia del cibo in funzione del rispetto dell’ecosistema (molte volte l’agricoltura biologica si è dimostrata uno specchietto per allodole, più apparenza che sostanza).

Il cibo di per sé crea comunità. L’agricoltura può essere pure un vettore d’inclusione (le donne, per esempio, racconta Silvia, sono sempre meno impiegate in questo settore economico, a prevalenza maschile e maschilista; alcune poche donne le troviamo pastore in montagna, in ambiente più povero). “Chi si associa può prendere parte ad ogni fase del processo produttivo ed economico, condividendo i rischi e i benefici dell’attività agricola. Smette quindi di essere semplice consumatrice o consumatore e diventa co-produttrice o co-produttore solidale con le contadine e i contadini…” si trova scritto nella home page di Terrestra. E ancora “ci si riconosce come esseri eco-dipendenti”. I molti soci di questa CSA consentono con una quota annuale, versata in anticipo ma flessibile (eventualmente concordata, rinegoziata in caso di imprevisti) un tipo di agricoltura sostenibile anche un po’ sperimentale (non viene usato, per esempio, nemmeno il letame affinché non ci si debba appoggiare ad allevamenti che potrebbero non rispettare gli animali*; si usano invece dei macerati e fermentati naturali), che si sottrae alla volatilità dei prezzi e delle speculazioni del mercato; ogni settimana gli stessi soci ritirano una cassetta di frutta e verdura sana. Il desiderio di avere un controllo sulla filiera del cibo che si mangia è sicuramente una delle motivazioni più forti nella scelta di far parte di una delle CSA che in Italia sono in aumento, attualmente sono molto diffuse soprattutto in Germania, per quanto attiene all’Europa; nate secondo alcune ricerche in Giappone negli anni Settanta (Alessandra Piccoli, ricercatrice presso la libera università di Bolzano, in un articolo su Humusjob del 15.06.2021 che si può reperire in rete: “Le comunità a supporto dell’agricoltura o CSA. Un modello concreto per costruire un cambiamento in agricoltura e nelle comunità”). Tuttavia, sempre in rete, si trova che l’agroecologia in senso lato era già presente in Sudamerica nell’agricoltura indigena, ripresa e rilanciata negli anni Ottanta (viene nominato soprattutto il Messico). L’agricoltura preindustriale in ogni caso anche qui in Italia consentiva una maggiore cura del territorio, si osserva da più parti durante il cammino. Io non me ne intendo e lascio la parola a chi volesse aggiungere o puntualizzare qualcosa. Mi limito ad aggiungere che chiunque può decidere di collaborare a queste esperienze di sostegno all’agricoltura (tranne a Terrestra, che ha già raggiunto il numero massimo di soci), le quali sono più complesse dei GAS, gruppi di acquisto solidale: nelle CSA, abbiamo detto, il socio è in qualche modo coproduttore non soltanto consumatore. Le “CSA sono forme di economia sociale e solidale che offrono reali opportunità di superare logiche capitaliste, imperialiste e inique verso le persone e il pianeta” conclude Alessandra Piccoli nell’articolo citato.

*Breve appendice sugli allevamenti

Va detto che nei bar, come nei supermercati come nei locali che s’incontrano lungo le strade e che ci circondano nella nostra vita quotidiana, quasi tutto è farcito di affettati e di carni. Anche la semplice focaccia o pizza, in origine vegetariana, si trova spesso arricchita di ciò che vegetale non è, con conseguente sovrapprezzo. Prezzo a parte, non ci è ignoto il problema degli allevamenti. Il 27 giugno esce su Extraterrestre del Manifesto “L’orrore di una vita vicino agli allevamenti”, dove si ribadisce ancora una volta che i territori dove si allevano più animali (in Italia nella Pianura padana, più in generale lungo tutta la valle del Po) sono inquinati nell’aria e nell’acqua. L’allevamento intensivo, metodo prevalente in Europa e nel mondo per produzione di carne, latticini e uova, è fra i settori più inquinanti al mondo, in crescita a partire dagli anni Ottanta, responsabile di circa il 15% dei gas serra. Soprattutto per via dell’emissione di ammoniaca, ha come conseguenza difficoltà respiratorie, asma e malattie bronchiali nelle popolazioni circonvicine. L’ammoniaca unita ad altre sostanze presenti si trasforma in particolato e polveri sottili, che possono penetrare nel terreno e raggiungere le falde acquifere, da qui il rischio di malattie più gravi ed epidemie. In cifre, l’articolo firmato Helena Spongenberg, che parla di situazioni di angoscia e disagio nei pressi di allevamenti in Italia, Spagna, Danimarca e Polonia, riporta purtroppo i numeri elevati di una grande bruttura (e di una grande ingiustizia, quando già si potrebbero produrre e diffondere maggiormente carne coltivata e proteine vegetali): “142 milioni di suini, 76 milioni di bovini, 62 milioni di pecore, 12 milioni di capre, oltre 11 miliardi di polli: questa è la popolazione degli animali invisibili allevati in Europa ogni anno, che nascono e muoiono all’interno di una enorme catena di montaggio e smontaggio”.

 

Libri (attinenti o sconfinanti) citati durante il Cammino dell’acqua

Valentina Baronti, La fabbrica dei sogni, ed. Alegre, Roma 2024

Marco D’Eramo, Il selfie del mondo. Indagine sull’età del turismo, Feltrinelli, Milano 2017

Nancy Fraser, Capitalismo cannibale. Come il sistema sta divorando la democrazia, il nostro senso di comunità e il pianeta, Laterza, Bari 2023

Amitav Ghosh, La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile, Neri Pozza, Milano 2016

Paola Imperatore, Territori in lotta. Capitalismo globale e giustizia ambientale nell’era della crisi climatica, Meltemi, Milano 2023

Paola Imperatore, Emanuele Leonardi, L’era della giustizia climatica. Prospettive politiche per una transizione ecologica dal basso, Orthotes, Napoli 2023

Serge Latouche, Breve trattato sulla decrescita serena, Bollati Boringhieri, Torino 2008

Bruno Latour, La sfida di Gaia. Il nuovo regime climatico, Meltemi, Milano 2020

Alessandro Leogrande, Uomini e caporali. Viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del Sud, Feltrinelli, Milano 2016

Antonio Moresco, Repubblica nomade, Effigie 2016

Walter Orioli, Passo dopo passo. Perché camminare ci aiuta a pensare e vivere meglio, Sonda 2022

Paolo Pileri, L’intelligenza del suolo. Piccolo atlante per salvare dal cemento l’ecosistema più fragile, Altreconomia, Milano 2022

Leonardo Poli, Eugenio Dal Pane, Fatti accaduti in Romagna, Itaca, Castel bolognese, 2023

Guido Viale, Vita e morte dell’automobile, Bollati Boringhieri, Torino 2007

 

Foto della frana scattata da Letizia Debetto sul tratto di strada tra Fognano e il rifugio di Fontana Moneta, non lontano da Palazzuolo sul Senio

 

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Giorgio Mascitelli
Giorgio Mascitelli
Giorgio Mascitelli ha pubblicato due romanzi Nel silenzio delle merci (1996) e L’arte della capriola (1999), e le raccolte di racconti Catastrofi d’assestamento (2011) e Notturno buffo ( 2017) oltre a numerosi articoli e racconti su varie riviste letterarie e culturali. Un racconto è apparso su volume autonomo con il titolo Piove sempre sul bagnato (2008). Nel 2006 ha vinto al Napoli Comicon il premio Micheluzzi per la migliore sceneggiatura per il libro a fumetti Una lacrima sul viso con disegni di Lorenzo Sartori. E’ stato redattore di alfapiù, supplemento in rete di Alfabeta2, e attualmente del blog letterario nazioneindiana.
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