Autenticità e poesia contemporanea # 3

Di Marilena Renda

In un mondo sempre più complesso e stratificato ha senso tornare a discutere, in modo aperto, critico e libero, del rapporto fra autenticità e scrittura poetica. Per questo, partendo da una ricerca di Maria Borio e da un dialogo fra quest’ultima e Laura Di Corcia, è nata l’idea di allargare la discussione ad altre poete e poeti, in vista di una tavola rotonda che si terrà a Pordenonelegge il prossimo settembre. Il dibattito, sotto forma di intervista, sarà ospitato dai litblog Le parole e le cose, Nazione indiana e dal sito di Pordenonelegge stesso. A poete e poeti è stato proposto un questionario, che trovate in calce, da cui ciascuno ha potuto scegliere liberamente tre/quattro domande. Dopo il primo intervento di Roberto Cescon, uscito su Le parole e le cose e quello di Tommaso Di Dio, uscito su Pordenonelegge poesia, pubblichiamo oggi le risposte di Marilena Renda.

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  1. Il pensiero debole e il conseguente ragionamento sul soggetto debole ha messo in crisi il concetto di verità. Ma a partire dal crollo delle Torri Gemelle questa prospettiva è stata posta notevolmente in discussione: l’idea di essere al di là della storia, dei conflitti fra superpotenze o schieramenti, si è frantumata di fronte alla certezza, oggi ancora più evidente, che la tragedia può esistere davvero sulla scena del mondo e rompere la cortina fra noi – occidentali – e gli altri. Da questi assunti sono partite una serie di riflessioni, fra cui quelle di Maurizio Ferraris e Walter Siti, che postulavano breviter l’impossibilità delle poetiche del realismo e della fiction in un momento in cui la vita sembra superare la finzione. Tutto ciò chiama in causa una responsabilità rispetto ad alcuni fenomeni storici verso i quali il pensiero debole sembrerebbe non fornire più le risposte adeguate per la decodificazione della realtà. Questi fenomeni avrebbero portato l’attenzione anche sull’importanza dell’autenticità. Cosa ne pensi? E come pensi che questi ragionamenti possano o debbano essere integrati in una riflessione sulla poesia?

Qualche anno fa uscì un libro che postulava l’assenza di trauma nella letteratura di quegli anni e al tempo stesso il tentativo da parte degli scrittori di rivendicarlo come fondante della loro scrittura. Credo che quelli siano stati gli ultimi anni di quel lungo periodo di pace e benessere iniziato con il secondo dopoguerra. Siamo nel bel mezzo di due conflitti sanguinosi e dolorosissimi a cui non possiamo rimanere indifferenti; siamo governati da una forza politica post-fascista che minaccia alcuni diritti fondamentali conquistati dalle donne; siamo nel mezzo di una catastrofe climatica che la nostra classe politica ma anche l’opinione pubblica cercano ostinatamente di ignorare. Siamo, cioè, nel bel mezzo della storia, altro che scomparsa del trauma. La poesia, dal mio punto di vista, deve trovare nuovi strumenti espressivi per inglobare tutto questo, se non vuole continuare ad essere marginale.

  1. Partendo dal ragionamento precedente, se il desiderio viene dall’altro ed è quindi la traccia di una relazione o di un linguaggio che mi pre-esiste e dentro il quale oriento e contratto la mia identità, in cosa consisterebbe l’autenticità? E come essa potrebbe essere calata in una produzione letteraria? Per Andrea Zanzotto, ad esempio, a fronte di una natura che diventava inautentica con l’industrializzazione, la lingua e lo stile potevano mantenersi depositari dell’autentico. Lo stile e la lingua autentici dovrebbero cercare in ogni caso un nostro – per riprendere Natalia Ginzburg – “lessico familiare”?

In poesia, è impossibile trascurare un elemento a favore di un altro, nel senso che tutti gli elementi che la compongono sono ugualmente essenziali. Rendersi conto dell’importanza della forma, per esempio, o dell’importanza del suono o del ritmo, o del ruolo che può assumere l’aspetto grafico o il lavoro sulla voce, sono processi che indicano un potenziamento dell’attenzione, e quindi, dell’autenticità del lavoro poetico. Per quanto mi riguarda, ci sono degli indicatori di autenticità, a prescindere dall’argomento o dalla poetica di chi scrive. Credo che l’indicatore più importante per me sia quando mi rendo conto che chi ha scritto quel testo non si è tirato indietro rispetto alla sfida del linguaggio. Non si è tirato indietro può voler dire tante cose: non si è spaventato rispetto a quello che aveva da dire, o rispetto a come sarebbe stato recepito, o rispetto a dove la sua voce poetica avrebbe potuto portarlo/a, e così via. Per esempio, mi fido per istinto di un/a poeta che si trasforma, anche molto, da un libro a un altro, che sperimenta, che non ha paura di trasformarsi insomma: la ricerca dell’autenticità, per me, passa soprattutto da lì.

  1. Il discorso sulla verità e sull’autenticità sembra essere tornato in auge, specialmente nel romanzo e in quel segmento della narrativa che corrisponde all’autofiction. Se torniamo per un attimo alla stagione del neorealismo, troviamo scrittrici come Elsa Morante per la quale il romanzo realista parlava di una “verità poetica”, non meramente oggettiva, ma intrinseca alla trasfigurazione letteraria. Nell’autofiction odierna, come in alcuni dei romanzi autobiografici di Annie Ernaux, sembra non esserci né l’intento di problematizzare davvero il parlare di sé in modo autentico, né di cercare una “verità poetica”. E come si posiziona la poesia in questo contesto? Mancano delle riflessioni? Ve ne sono troppe? Occorrerebbe postularne altre?

Lo statuto della verità è un’altra questione molto interessante. Personalmente non amo l’espressione “verità poetica”, ma solo perché mi avvicino al linguaggio poetico sempre con una grande cautela, e la verità poetica mi sembra un oggetto talmente caustico che potrebbe farmi del male. Detto questo, la verità dell’esperienza la si può trovare praticamente dappertutto, dalle notizie di cronaca ai racconti dei vicini d’autobus, se si è disponibili e nello stato d’animo giusto per recepire i frammenti di verità in cui ci si può imbattere, e che di solito corrispondono alla verità più grande che si sta cercando in quel momento. Personalmente trovo molta più verità poetica nei saggi e nei romanzi che nella poesia, e più ancora nella forma del saggio narrativo; ci trovo spesso una verità al grado zero, non inquinata dagli sfarfallii e dalle sovrastrutture estetiche che spesso usiamo per raccontare la verità con il risultato a volte di evitarla, di nasconderla. Questo vale anche per la poesia: mi attraggono molto, per esempio, le ultime scritture, gli ultimi libri, o quelli che potrebbero per la loro natura scabra essere degli ultimi libri anche se di fatto non lo sono. Sono libri asciutti, che badano all’essenziale, e che rappresentano per me una direzione da seguire. Esempi: Chiodi (che non è un ultimo libro ma potrebbe esserlo) di Agota Kristof, la Ingeborg Bachmann di Non conosco mondo migliore, o ancora Pallottoliere celeste di Spaziani, o Epitaffio di Giorgio Bassani: tutti libri in cui tutto quello che doveva essere stato sottratto è stato sottratto. Libri in cui, come scrive Pusterla nella prefazione a Chiodi, ci si avvicina “alla cosa per la quale non c’è parola”, qualunque essa sia. O, aggiungerei, ci si avvicina alla cosa alla quale non siamo riusciti ad avvicinarci fino a quel momento, qualunque essa sia, e la cui ricerca richiede uno sforzo di precisione, di concentrazione, di attenzione e autenticità che va a crescere con il tempo, non certo a diminuire.

  1. Che rapporto c’è tra scrittura confessionale e autenticità? L’autenticità può essere connessa solo alla lirica, concentrata quindi intensivamente sul soggetto, oppure ad altro? L’etimologia di autentico, d’altra parte, deriva dal greco αὐϑέντης, composto autos (me stesso) e hentes (colui che agisce): autentico è chi agisce secondo il suo vero sé. Ma l’azione, per realizzarsi, presuppone un contesto e la possibilità di interazione con gli altri, senza i quali nemmeno la nostra identità riuscirebbe a costituirsi. La prova dell’autenticità, alla fine, avverrebbe comunque in un orizzonte intersoggettivo… – e, quindi, l’espressione (autentica) di sé, da parte del poeta, come può interessare la collettività?

Il problema dell’autenticità – perché è chiaro che se ne stiamo parlando è perché fa problema – è che negli ultimi decenni è stata identificata con il genere lirico, e quindi in apparenza si attaglia perfettamente all’immagine del poeta che “agisce secondo sé”, immobile sul divano, cercando l’adesione perfetta della parola alle istanze della sua interiorità. In questa descrizione, l’unica parte in cui mi identifico è quella del divano. Per il resto, propongo di separare l’autenticità dalla lirica, perché è un accostamento che potrebbe esserle fatale. Sa di abusato, quasi come i tramonti e i gabbiani. Una volta che l’abbiamo estrapolato da quell’ambito, personalmente io vedo il concetto di autenticità circonfuso da un’aura di libertà, come quando scopriamo che non è poi così necessario compiacere gli altri, oppure che la nostra scrittura può andare letteralmente in innumerevoli direzioni. Posta la questione in questi termini, io non vedo l’”agire secondo il proprio sé” come separato dall’orizzonte degli altri, anzi. È solo agendo secondo il proprio vero sé che è possibile vivere l’unica vita possibile, oltre che scrivere l’unica poesia possibile. La possibilità di incontrare gli altri può darsi o non darsi, ma in ogni caso se vivessimo o scrivessimo secondo dei dettati esterni, incontreremmo gli altri secondo modalità fondamentalmente inautentiche. Quindi, per me, nell’idea di autentico c’è comunque un guadagno, anche se l’autenticità dovesse avere come prezzo la non-popolarità o l’isolamento. In realtà, come dimostra la narrativa degli ultimi anni, ciò che è vero o suona-come-vero incontra sempre dei lettori: sono sempre più numerosi i lettori, come me, sostanzialmente indifferenti alla fiction e avidi invece di quella forma a metà tra saggio e narrativa che promette qualcosa-di-vero. Personalmente, questo è ciò che da qualche anno ho iniziato a chiedere alla poesia, anche alla mia: uno sforzo per portare il linguaggio in un territorio dove l’esperienza, e con essa, il suo rimosso possano essere detti con più esattezza – un’esattezza più vicina alla forma narrativo/saggistica piuttosto che a ciò che tradizionalmente consideriamo come “poetico”. La speranza è che ciò che “io” considero autentico sia riconosciuto come tale anche da una comunità di lettori, ma questo accade sempre con un’esperienza sempre minoritaria come è la poesia.

Vorrei chiudere citando quello che dice Ben Lerner a proposito della possibilità di una poesia realmente autentica, che lui identifica con una poesia che è sostanzialmente all’altezza di se stessa e delle sue ambizioni. Una poesia del genere è, dice Lerner in Odiare la poesia, impossibile, ma comunque non importa, perché anche se non riusciamo a creare una poesia autentica, possiamo comunque creare “uno spazio per l’autenticità”.

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Questionario completo

 

  1. Il pensiero debole e il conseguente ragionamento sul soggetto debole ha messo in crisi il concetto di verità. Ma a partire dal crollo delle Torri Gemelle questa prospettiva è stata posta notevolmente in discussione: l’idea di essere al di là della storia, dei conflitti fra superpotenze o schieramenti, si è frantumata di fronte alla certezza, oggi ancora più evidente, che la tragedia può esistere davvero sulla scena del mondo e rompere la cortina fra noi – occidentali – e gli altri. Da questi assunti sono partite una serie di riflessioni, fra cui quelle di Maurizio Ferraris e Walter Siti, che postulavano breviter l’impossibilità delle poetiche del realismo e della fiction in un momento in cui la vita sembra superare la finzione. Tutto ciò chiama in causa una responsabilità rispetto ad alcuni fenomeni storici verso i quali il pensiero debole sembrerebbe non fornire più le risposte adeguate per la decodificazione della realtà. Questi fenomeni avrebbero portato l’attenzione anche sull’importanza dell’autenticità. Cosa ne pensi? E come pensi che questi ragionamenti possano o debbano essere integrati in una riflessione sulla poesia?

 

  1. L’autenticità – dall’età romantica all’esistenzialismo – è stata cruciale per la formazione dell’individualità moderna: il mondo interiore diventava imprescindibile nella comprensione del reale al posto dei sistemi generali aprioristici del passato. Giacomo Leopardi distingueva il “vero” dall’“affettazione”. La letteratura ha progressivamente abbandonato la rappresentazione della vita secondo forme fisse universali, concentrandosi su quella, complessa e variegata, della coscienza. L’autenticità è stata un ideale: avrebbe dato senso all’esistenza, sarebbe stata una via d’accesso alla verità o quanto meno ci avrebbe aiutato a individuare dei significati per l’umanità nella storia. Questo suo carattere, come ha notato fra gli altri Charles Taylor, si è perso. Essere autentici avrebbe portato a giustificare solo le scelte e l’espressione dei singoli, a guardare prevalentemente al proprio interesse esasperandolo, a dimenticare che l’orizzonte della storia è importante e non aleatorio, così come un’etica nella società. Ci avrebbe chiuso, in modo nichilista, nelle nostre monadi, nella prigione di noi stessi, mentre i rapporti sociali sarebbero degenerati in una neutralità relativistica. Anche la letteratura, allora, è arrivata al punto di non poter più credere al valore dell’autenticità. Ma per chi fa letteratura oggi è importante interrogare l’autenticità come un problema?

 

  1. L’autenticità sembra distinguersi dalla verità: la prima partirebbe da una spinta interiore, dalla necessità individuale di poter esistere e agire secondo il proprio sé, mentre la seconda sarebbe legata a un orizzonte esterno, dal momento che il discorso della verità deve comunque poter essere condiviso. Seguendo, però, le riflessioni che abbiamo ereditato da Jacques Lacan, il desiderio presenterebbe un duplice volto, ovvero giungerebbe sempre dall’altro (il Grande altro), ma manterrebbe anche delle sue caratteristiche intrinseche (il desiderio è anche mio, e di nessun altro). Che rapporto c’è fra desiderio e autenticità?

 

  1. Partendo dal ragionamento precedente, se il desiderio viene dall’altro ed è quindi la traccia di una relazione o di un linguaggio che mi pre-esiste e dentro il quale oriento e contratto la mia identità, in cosa consisterebbe l’autenticità? E come essa potrebbe essere calata in una produzione letteraria? Per Andrea Zanzotto, ad esempio, a fronte di una natura che diventava inautentica con l’industrializzazione, la lingua e lo stile potevano mantenersi depositari dell’autentico. Lo stile e la lingua autentici dovrebbero cercare in ogni caso un nostro – per riprendere Natalia Ginzburg – “lessico familiare”?

 

  1. Il discorso sulla verità e sull’autenticità sembra essere tornato in auge, specialmente nel romanzo e in quel segmento della narrativa che corrisponde all’autofiction. Se torniamo per un attimo alla stagione del neorealismo, troviamo scrittrici come Elsa Morante per la quale il romanzo realista parlava di una “verità poetica”, non meramente oggettiva, ma intrinseca alla trasfigurazione letteraria. Nell’autofiction odierna, come in alcuni dei romanzi autobiografici di Annie Ernaux, sembra non esserci né l’intento di problematizzare davvero il parlare di sé in modo autentico, né di cercare una “verità poetica”. E come si posiziona la poesia in questo contesto? Mancano delle riflessioni? Ve ne sono troppe? Occorrerebbe postularne altre?

 

  1. scrittori e le scrittrici che si consideravano realisti sembravano dare credito al valore dell’autenticità (anche dal punto di vista ideologico) e basavano su di essa l’arte del narrare, la fiction. Successivamente, soprattutto nella cultura postmoderna, chi faceva fiction ha respinto l’idea che si potesse raccontare di qualcosa di autentico. Ma, come scriveva Giovanni Giudici, “anche dalla finzione […] il vero può nascere”. Oggi la narrativa – con le scritture-documentario, la non-fiction, e la stessa autofiction – sembra aver riscoperto l’autenticità voltando le spalle alla fiction, alla narrazione come arte? E in poesia esiste una dimensione – diversa sia dalla non-fiction sia dalla autofiction – in cui, anche attraverso l’immaginazione, si potrebbe esprimere una forma di autenticità?

 

  1. Che rapporto c’è tra scrittura confessionale e autenticità? L’autenticità può essere connessa solo alla lirica, concentrata quindi intensivamente sul soggetto, oppure ad altro? L’etimologia di autentico, d’altra parte, deriva dal greco αὐϑέντης, composto autos (me stesso) e hentes (colui che agisce): autentico è chi agisce secondo il suo vero sé. Ma l’azione, per realizzarsi, presuppone un contesto e la possibilità di interazione con gli altri, senza i quali nemmeno la nostra identità riuscirebbe a costituirsi. La prova dell’autenticità, alla fine, avverrebbe comunque in un orizzonte intersoggettivo… – e, quindi, l’espressione (autentica) di sé, da parte del poeta, come può interessare la collettività?

 

  1. Utilizzando il filtro problematico dell’autenticità, credi che le dicotomie che riguardano la postura del soggetto in poesia possano essere ripensate o ristrutturate?

 

  1. Il parlar franco è stato per secoli guardato con sospetto nella dimensione letteraria. Ma dai tempi di Niccolò Machiavelli e Baldassar Castiglione a quelli di Pier Paolo Pasolini, la rivoluzione percettiva e antropologica è stata tale che si è arrivati a dare all’autenticità un posto ben diverso. Per Pasolini il parlar franco era la spia dell’integrità politica – anche in letteratura. E il parlar franco si può esprimente tanto in modo tragico quanto ironico. Una riflessione etica connessa all’autenticità dà un valore aggiunto a un testo letterario?

 

  1. In letteratura l’onestà – come il tema della “poesia onesta” caro a Umberto Saba – può andare di pari passo con il valore estetico?

 

  1. Quando scrivi, nel momento in cui prende spazio l’elaborazione del testo, hai di fronte queste prospettive? E se sì, in che modo influenzano il tuo lavoro?

 

 

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Immagine: Max Pechstein, Ragazza sdraiata, 1910

 

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2 Commenti

  1. La Poesia è contatto con il divino, quindi prima di tutto rivelazione. La verità intrinseca e radicata nella storia. Più un poeta è tecnicamente preparato, più può estrinsecare e esprimere. Esattamente come la musica. Modestissima opinione.

  2. Questo discorso sull’autenticità è per me centrale e dovrebbe esserlo per l’intera comunità poetica (al pari di quello sulla diversa responsabilità dell’autore e del lettore). Ne ho parlato tante volte in incontri, interviste, articoli e, sinceramente, mi piacerebbe ricevere maggiore attenzione. Mi ritrovo molto con le considerazioni espresse in questa pagina e mi permetto di aggiungerne una delle tante mie: “L’ispirazione poetica non visita menti impreparate, soprattutto non sfiora spiriti pigri o meschini, essa unisce all’intuizione estetica (che, in quanto aspetto di quella intellettuale, possiede senz’altro un seme di verità) un sentire schietto, profondo e appassionato; tutto ciò conduce l’artista/poeta a tradurre in versi un’esperienza di verità e bellezza unica e irripetibile (e nel farlo egli sceglierà il modo più opportuno che la forma, l’esperienza, il genio etc. di volta in volta gli suggerirà). Ciò detto, potrebbe l’artista/poeta autentico non essere consapevole di ciò che sente, pensa, crede, crea? No, anzi potremmo arrischiarci nell’affermare che la sua arte tenderà ad assomigliare asintoticamente alla qualità della sua mente e del suo sentire”.

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia e storia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ora insegna in scuole d’architettura a Parigi e Versailles. Poesia Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano, Marcos y Marcos, 1998. Inventari, Zona 2001; finalista Premio Delfini 2001. La distrazione, Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009. Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, Italic Pequod, 2013. La grande anitra, Oèdipus, 2013. Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016, collana Autoriale, Dot.Com Press, 2017. Il rumore è il messaggio, Diaforia, 2023. Prose Prati, in Prosa in prosa, volume collettivo, Le Lettere, 2009; Tic edizioni, 2020. Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001, Camera Verde, 2011. Commiato da Andromeda, Valigie Rosse, 2011 (Premio Ciampi, 2011). I miei pezzi, in Ex.it Materiali fuori contesto, volume collettivo, La Colornese – Tielleci, 2013. Ollivud, Prufrock spa, 2018. Stralunati, Italo Svevo, 2022. Romanzi Parigi è un desiderio, Ponte Alle Grazie, 2016; finalista Premio Napoli 2017, Premio Bridge 2017. La vita adulta, Ponte Alle Grazie, 2021. Saggistica L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo, Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate, Università di Cassino, 2003. La confusione è ancella della menzogna, edizione digitale, Quintadicopertina, 2012. La civiltà idiota. Saggi militanti, Valigie Rosse, 2018. Con Paolo Giovannetti ha curato il volume collettivo Teoria & poesia, Biblion, 2018. Traduzioni Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008, Metauro, 2009. È stato redattore delle riviste “Manocometa”, “Allegoria”, del sito GAMMM, della rivista e del sito “Alfabeta2”. È uno dei membri fondatori del blog Nazione Indiana e il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.
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