Articolo precedente
Articolo successivo

La risposta

di Valentina Riva

Sono sicura che questo magma che pulsa nella bocca del mio stomaco è solo l’ultimo segno di una cena troppo pesante; basterà ignorarlo, stringere le coperte più forte e continuare a dormire. Ma per tenere a bada i lapilli che cominciano a sconfinare dalla sacca digestiva, bisogna sollevare la testa, bisogna fare leva sul gomito per raddrizzare il torace, sperando che la forza di gravità aiuti la forza del pensiero a trattenere tutti i liquidi al loro posto. Invece, il magma sale su a infiammare la gola, punta dritto ai denti e faccio appena in tempo a correre in bagno, prima di vederlo eruttare nel water.

La lava acida fatta di brandelli, coaguli e scorze lascia dietro di sé labbra stinte e pupille ingrossate, che tornano a percorrere il profilo della farfalla celeste posata sulla mia mano per inoculare nettari buoni ad accompagnare la coscienza in un posto buio e vuoto. Mi rifaccio la domanda. La risposta è nel grumo di cellule che i camici verdi hanno raschiato dal fondo del mio stomaco.

La pancia adesso è vuota abbastanza per fare largo all’ansia, e di spazio ne serve parecchio perché l’agitazione si gonfia a mano mano che il momento della risposta si avvicina. Ormai, mancano poche ore.

Il sintomo capitale di tutte le malattie è la perdita di connessione tra corpo e mente. Si capisce di essere malati quando la mente diventa una luce bianca appesa in una crosta, polverosa per la maggior parte, umida e scura nell’angolino di cui nemmeno si conosceva l’esistenza, prima che iniziasse a marcire.

Torno a stendermi, ma non mi copro; sento evaporare nella stanza il calore umido della mia pelle, mentre resto immobile e respiro piano (dalla bocca si fa meno rumore) perché, in fondo, penso che la calma possa servire a evitare una nuova eruzione; se non mi muovo, il puntino marcio, semmai esistesse, potrebbe seccarsi e smettere di infilare le sue radici infette nel resto del mio ventre.

Fuori il buio è velato dal vapore di nuvole sfilacciate, come le immagini che si infiltrano nella mia mente e, chissà come, nei buchi del naso: muco di uova crude che cola dai lati di una bocca che non è la mia, odore di stracci umidi, rognoni.

Penso a cosa potrebbe succedere se la risposta fosse quella che non voglio sentire. Il corpo malato è un oggetto fragile e va maneggiato con cura. Il corpo malato non cammina, deambula. Non mangia, si alimenta. Non beve, si idrata.

Nessuno dice che non si parla della malattia perché discutere di vite sottili appese a una flebo e al tempo che resta è fastidioso. La salute prima di tutto. Questo, sì, lo dicono in tanti, lo diceva anche mio padre quando il cancro andò ad annidarsi nel suo stomaco.

Mentre resto in ascolto di ogni segnale dal mio corpo, movimenti e dolori a sconfessare o a confermare la risposta che non voglio sentire, la luce della mia mente si fa più intensa; non è mai stata così tagliente e vasta, è una lastra d’acqua sotto il sole d’agosto. Inizio a sbrogliare il groviglio di affanni che ho sempre portato tra spalle e testa come grappoli di serpenti che mordono, stritolano, succhiano o fanno solo sentire il loro peso; li slego uno a uno: il fiato razionato dalla paura di dire quello che penso, i pugni nel petto a ogni sguardo della gente sulle cicatrici dell’acne. Uno a uno. L’inverno addosso per ogni invito che non ho ricevuto, per ogni lavoro che non ho ottenuto, per ogni persona che mi ha soffiato via come se fossi fumo. Sotto la luce dell’attesa, non sono più serpenti, sono lombrichi, facili da sotterrare nel fango da dove sono venuti. E stendo le labbra in un sorriso che ha lo stesso sapore della lava che mi ha appena scorticato la gola.

Ma il corpo cede ora? No, è sempre la testa la prima a franare. E se la testa perde il controllo, perde se stessa.

Verso lo sguardo sulla mia figura allungata, dalla punta del petto a quella dei piedi. Sono ancora intera, ho ancora forza. Nonostante tutto. Non posso controllare quale sarà la risposta, ma posso controllare il riflesso che avrà su di me, e se dovesse andare bene, userò la memoria di questi giorni come acqua per lavare via i serpenti che cercheranno di strisciarmi addosso da qui in avanti.

L’alba che comincia a dilatarsi nel buio è bianca come la mia mente, mi tiro di nuovo su e spalanco gli occhi alla luce che la notte sta generando. Sento il canto primo degli uccelli, il sudore condensato sulla schiena, la poltiglia masticata e rimasticata delle mie paure, che, invece di avvelenarmi, mi riveste.

Ora non sento più niente. Sono pronta a ricevere la risposta.

*fotografia di copertina: Karl Petzke ‘Uma & Jingle P04’. From the project DANDELION.

Print Friendly, PDF & Email

articoli correlati

Lo sguardo di Vic. Il mondo prima e dopo il walkman

di Mariasole Ariot
Un libro che si pone allora in forma di domanda, che apre alla criticizzazione non solo dell'adesso, ma anche di un allora in cui tutto il presente stava già al suo stato larvale.

Lettere dall’assenza #7

di Mariasole Ariot
La soglia è un'incisione provvisoria, ci fende e non rinnova l'aperto all'universo: dichiarare che l'esistenza ha un nuovo nome, la stanza: sanguisuga di assoluti.

L’anima delle cose: dalla spada alla bacchetta

di Dario de Pasquale
Dal Furukotofumi agli shōnen, passando attraverso la classe militare dei samurai e ai film di Kurosawa, la spada ha sempre avuto un ruolo di primo piano nella storia culturale giapponese.

Charming men. La storia degli Smiths

di Martina Panzavolta
Nella narrazione degli Smiths, la cornice storica è fondamentale: non solo mostra alle lettrici e ai lettori la realtà messa in musica nei brani, ma soprattutto ricorda che l’espressione artistica può essere uno strumento di critica che contribuisce a muovere il presente e dare speranze

Il filo pericoloso delle cose

di Giovanni Pio Ruggiero
la punta di una certezza ricavata in buchi di tarme nel mogano, anfratti di esperienze già vissute e dalla metà di chi ti apparteneva mozzate perché un tronco

Camminando nei notturni della testa

di Mariasole Ariot
Ancora ti risvegli tra la soglia e la tua strada, interstizi la tua calma, ricorda che è passato, che i morti : sono aghi senza cruna.
mariasole ariot
mariasole ariothttp://www.nazioneindiana.com
Mariasole Ariot ha pubblicato Essendo il dentro un fuori infinito, Elegia, opera vincitrice del Premio Montano 2021 sezione opera inedita (Anterem Edizioni, 2021), Anatomie della luce (Aragno Editore, collana I Domani - 2017), Simmetrie degli Spazi Vuoti (Arcipelago, collana ChapBook – 2013), poesie e prose in antologie italiane e straniere. Nell'ambito delle arti visuali, ha girato il cortometraggio "I'm a Swan" (2017) e "Dove urla il deserto" (2019) e partecipato a esposizioni collettive.  Aree di interesse: letteratura, sociologia, arti visuali, psicologia, filosofia. Per la saggistica prediligo l'originalità di pensiero e l'ideazione. In prosa e in poesia, forme di scrittura sperimentali e di ricerca. Cerco di rispondere a tutti, ma non sempre la risposta può essere garantita.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: