La Melanzana
di Silvano Panella
Uscii sul ponte di prua della nave, il mare agitato e spumoso. Credevo che nessuno dei passeggeri volesse scoprire la causa dei bicchieri caduti, che nessuno fosse disposto a farsi investire dalle folate di vento, che osasse seguirmi o precedermi di fuori. E invece no, la nostra epigrafista ammirava la superficie dell’acqua sporgendosi dalla battagliola bagnata e scivolosa.
«Anche lei è qui?», Margareta disse, anticipando la mia battuta oppure leggendola sul mio volto sorpreso.
Non risposi. Un dubbio mi stava assillando, un dubbio riguardante le contraddizioni del nostro mondo e le contraddizioni dei mondi narrati. Come poteva Margareta essere già a prua se fino a poco fa eravamo tutti dentro? C’ero io, c’era lei, c’era il professor Eleuterio con la sua barba accademica, il suo nome da elemento chimico e il suo sapere che, lo confesso, era poderoso, lo vedevo montare in colonne di strati grigi, fitte parole di conoscenza.
«Sta fingendo?», domandai a Margareta, felice di liberarmi dei miei pensieri e dei ricordi del giorno con questa breve frase pronunciata tra un tuono e l’altro.
Margareta si volse e mi guardò per un momento. Chissà in quale modo le apparii. Le nuvole scure e le gocce di mare nell’aria deformavano la visione delle cose e delle persone. A me Margareta sembrava più anziana ma non meno affascinante.
«Mi dica prima lei se sta fingendo di avere dei meriti riguardo la tempesta, il mare. Non meriti divini, intendo. Ha forse cambiato la rotta della nave di nascosto? Lei si crede l’unico vero uomo a bordo eppure si comporta come un bambino.»
Avrei voluto dirle che le sue erano belle parole ma stavo già preparando la mia prossima risposta dispettosa. Sì, sono uno sbruffone. Quando si sfugge più e più volte da un destino violento nel cuore della giungla è normale diventare degli sbruffoni.
«Vuole che faccia piovere? Non le bastano gli schizzi di mare nelle orecchie?», le domandai, e scoprii che Margareta era immune al fastidio degli schizzi d’acqua nelle orecchie. E al solletico. E all’umidità, al vento, ai sobbalzi.
«Sono stufa dei suoi racconti, dei suoi vanti di caccia.»
«Perché è con noi, allora? Sapeva già chi fossi.»
«Perché devo cercare quei maldestri vasi.»
Disse proprio maldestri vasi. Io avrei detto maledetti vasi. Forse intendeva che a causa della loro caduta si erano rotti e la loro rottura aveva ridotto una antica civiltà in frammenti. Se lo avessero saputo, all’epoca, che avremmo ricostruito la loro storia riappiccicando dei cocci, chissà cosa avrebbero architettato. Fossero stati spiritosi, magari…
«Cosa sta facendo? Sta cercando la sua preda immaginaria?»
«Come fa a sapere che sto pensando?», domandai senza badare al fatto che avrei potuto sembrare ridicolo e ovvio. Ero in piedi davanti all’epigrafista e subivo passivamente la burrasca, una strana burrasca senza pioggia. Un altro errore della natura o di un narratore frettoloso.
«Assorto, perso nel contemplare la sua vita, lo credo che si stupisce di incontrarmi qui. Anch’io sono coraggiosa.»
«Perché sta deridendo il nostro cacciatore? Sì, avrà metodi anacronistici, ma è abile in quello che fa», disse il professor Eleuterio, apparso tra l’oscurità e la luce di un fulmine, tra un sobbalzo di nave e uno spruzzo d’onda.
«Non ho bisogno del suo aiuto», dissi.
«Ecco un quesito per lei, professore: quest’uomo è un villano perché è un avventuriero, o fa il villano per fingere di essere un avventuriero, se non peggio per fingersi un uomo?»
«A dopo gli indovinelli. Volevo parlarvi della mia ultima scoperta. La melanzana. Come nacque la coltura della melanzana. Ma vorrei chiedervi di rientrare. Per questo sono qui.»
«Prima salva lui dalle mie insinuazioni, ora vuol salvare entrambi dal tifone. E con una melanzana, per giunta», Margareta disse al professore.
Credevo che i due fossero alleati. Evidentemente non basta appartenere alla stessa cerchia accademica. Chissà quali invidie, quali rancori. Ognuno seguiva uno specifico percorso di ricerca. Ognuno si fidava delle proprie convinzioni e mai e poi mai delle convinzioni degli altri. Forse perché in gioco c’è sempre una vita alla volta. Come nella giungla.
«Dovevo superare la palude. Ricordo. I versi gutturali delle pantere nascoste dietro le grandi foglie interrompevano le risate delle scimmiette, i boa costrittori strusciavano sui rami che costeggiavano le sabbie mobili, nugoli di insetti mi…»
«Lo sente, professore? È in piena reminiscenza, in piena mistura aneddotica.», Margareta disse, e sorrise.
Dalle guance della donna caddero gocce di mare che brillarono alla luce della lanterna d’emergenza. Eravamo zuppi, tutti e tre zuppi e appagati mentre nella mia testa si prefigurava un’alluvione di liane liquefatte. Il professore allargò le braccia e le batté sui fianchi dei suoi ampi e zuppi vestiti color crema. Schizzò dappertutto. Questo ci fece ridere. Il professore andò via scuotendo la testa. Era appesantito dall’età, dal cibo, dalla sedentarietà, dall’acqua di mare eppure, nonostante la scivolosità del ponte, ostentava un passo sicuro.
«Ecco la pioggia», Margareta disse alzando il palmo della mano per acchiappare il dono del cielo. «Crede che ce la faremo?»
«Non lo so. Le melanzane del professore farebbero comodo. Galleggiano. Per costruire una zattera, intendo.»
«Non sia esagerato come sempre. Ci sono i canotti. Sono migliori delle zattere improvvisate. E poi le melanzane del professore sono ipotetiche, non realtà.»
Osservai il mare. Era più freddo di noi eppure ribolliva. I fulmini all’orizzonte. Le tenebre. La nave proseguiva spedita. I marinai e il capitano erano abili. Li avrei voluti con me sul fiume Zambesi. Mi strinsi alla battagliola. Avrei voluto inveire contro le avversità ma Margareta avrebbe ridicolizzato il mio momento d’ira.
«Si vuole buttare di sotto?», domandai a Margareta, anticipando la battuta che presto avrebbe rivolto lei a me.
Margareta mi fissava con i suoi occhi semichiusi. Il mare, il vento, la pioggia dovevano darle fastidio ma fingeva indifferenza o forse sapeva resistere. Tutto pur di non mostrarsi fragile. Questo mi piaceva di lei.
«Non mi voglio buttare in mare. Sarebbe la morte e sarebbe stupido.»
«Bene, perché io non mi tufferei a salvarla. Infatti sarebbe stupido, sarebbe la morte per entrambi.»
Margareta si volse e tornò dentro. Ora che ero solo, inveii al mare e al cielo, sfidai gli elementi a farci affondare, fui beatamente sciocco. In verità avrei voluto continuare il viaggio, giungere al porto, cominciare l’esplorazione per ostentare le mie doti in un luogo inospitale. Ero molto esperto. Rientrai nella sala ristorante per bere il calvados offerto dal capitano e per vantarmi ancora delle mie storie con i passeggeri.
Silvano Panella è autore e editore. Fondatore della casa editrice Spedizioni, con la quale pubblica le raccolte di racconti “Il Cantiere Narrativo” (2018) e “Viaggi al Centro del Racconto” (2019), i romanzi “Le Spedizioni” (2020) e “I Cercatori” (2023). Ha scritto assieme a Massimiliano Governi il libro “L’Istrice” (2022). Ha curato la versione italiana di alcuni discorsi di capi nativi americani.
Forse sul fondo del mare c’è un dollaro d’argento.