L’inarrestabile estrazione nelle Apuane

di Nunzio Festa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il testo che segue è tratto dal saggio narrativo (illustrato) “Ai piedi del mondo, Lunigiana e Basilicata sulle corde degli Appennini”, di Nunzio Festa, pubblicato recentemente da Tarka Editore (Mulazzo), nella collana “Appenninica” (NdR)

Ogni transito per me è uguale ad ascendere ai Ponti di Vara, stando in bilico fra la vecchia ferrovia di Carrara e le sfilate dei camion che trasportano il marmo su gomma, la materia tolta alla montagna, come se ancora ci fosse il processo della lizzatura dei decenni dei buoi dati al futuro dall’arte pittorica di Lorenzo Viani; i buoi e gli uomini facevano scendere le grandi lastre marmifere in città, con la fune e il sacrificio, gli sforzi tutti umani e il pericolo che ha portati incidenti e litri di vino versati sul filo del fiume Carrione. Quella lettura del presente, poi, che è diventata patrimonio di artiste e artisti che a Carrara hanno ancora il coraggio di vivere la realtà, portando con costanza, attenzione e dedizione una critica assistita da impegno civico e risultato artistico in prove di opere di questi tempi: che mai si permetterà di rinunciare alla contestazione del sistema avanzato dell’economia moderna; una regola, e una procedura, qui tradotta nella forma di un processo di scavo continuo nelle Apuane, con questa inarrestabile, almeno al momento, opera di estrazione spropositata del marmo sangue dei monti passato nel circuito oggi anche allargato dai magnati arabi della finanza. In punti precisi, si dovrebbe andare a rivedere, dove sul territorio rimangono spesso i segni concreti e tangibili della lavorazione industriale, ovvero l’inquinamento delle acque e questi fianchi rotti delle scorticate Apuane. Ricorderemo per sempre i giovani scultori carraresi del laboratorio Officina d’Arte Ponte di Ferro, le ragazze e i ragazzi che operano, creando arte, di fianco al torrente Carrione che scorre filando lungo i vecchi palazzi del centro. “A Carrara nessuno prende in considerazione, né si è mai sognato di valutare i reali problemi di sicurezza delle nostre montagne. Della loro stabilità, delle ‘tecchie’ troppo alte con sopra alle sommità di pareti verticali pesi soverchianti, smisurati, pericolosi. Delle escavazioni in galleria nel ventre della montagna: troppe!… Nelle quali e altrove si cava e si porta via marmo buono. Ma si lascia lì quello fratturato, stracolmo di ‘peli’ o difetti. La montagna da millenni è sorretta dal marmo sano, non certo da quello ammalato. In tanti sostengono di conoscere i problemi delle cave. Forse sì ma non le cave, che andando avanti così senza valutare lo stato di salute della montagna-madre, si chiuderanno da sole. Cesseranno di esistere”, ha recentemente affermato Renzo Gemignani, che per mezzo secolo è stato guida alpina, e attualmente ricopre il ruolo di responsabile del Servizio di Soccorso Toscano, ed è un alpinista internazionale. “Non è che io odi le cave e i cavatori, tutt’altro, vengo da generazione di cavatori – spiega poi Renzo Gemignani, in un’intervista rilasciata alla Gazzetta di Massa e Carrara – ammiro estasiato una cava di marmo ‘coltivata’ a regola d’arte, ma m’intristisco e m’incazzo a vedere tanti troppi oltraggi che certi uomini compiono da secoli in danno alle bellezze della natura; come a quella del nostro meraviglioso mondo di marmo. Perché non mantenere ordine e pulizia della montagna da base a vetta, di strade e viadotti, di luoghi circostanti un tempo ameni ora lerci e stracolmi di terre e terricci, di polveri insalubri, di arbusti, sterpi, fogliame e arboscelli vari. E le vecchie cave abbandonate, antiche e moderne ferite nei fianchi dei nostri monti. Alcune risalenti al basso medioevo, altre al periodo rinascimentale, certune addirittura a quello Romano antico.” Che poi ricorrerà a ricordare “i piani inclinati per le lizzature [come non rivedere qui i quadri del nostro Viani, – per esempio quelli ospitati alla GaMC, la Galleria Comunale di Arte Moderna e Contemporanea di Viareggio, N.d.A.] costruiti con sassi di marmo a mano dai cavatori, smantellati e tramutati in CaCo3 (carbonato di calcio) da multinazionali e consimili, che hanno mal-agito nei confronti dei sacri simboli della civiltà e fatica di lavoro degli uomini, come le antiche lizze, abbandonate su alcune creste montane, i vecchi motocarri senza fanali, perché dovevano operare alle cave solo di giorno. E tanti altri beni che la gente non ha mai saputo valutare, forse perché essa stessa è stata svalutata. Le fantastiche incisioni rupestri del Canova, Repetti, Giambologna e Michelangelo. E anche quelle di villani e pastori Apuani, nelle casupole di sassi annerite dalle intemperie.

 

 

 

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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