Scritture subalterne nella letteratura meridionale contemporanea
[In occasione dell’uscita della raccolta di saggi dal titolo Finzioni meridionali. Il Sud e la letteratura italiana contemporanea (Carocci, 2024), l’autore ci presenta una riflessione sulle ragioni e i metodi della propria ricerca.]
di Fabio Moliterni
Per studiare la letteratura meridionale contemporanea sarebbe necessaria un’indagine a tutto campo: un lavoro critico, collettivo e condiviso, la cui urgenza sociale e politica si misura soprattutto oggi, nella temperie un po’ asfittica della critica letteraria e accademica. Laddove, per sintetizzare al massimo, la critica letteraria è embedded o non è: si limita alla descrizione inerte, passiva e mimetica dei prodotti culturali, quando non alla promozione di un brand letterario buono per questa stagione di saldi, lustrini e serie tv. Una stagione culturale, la nostra, nella quale i lavoratori della conoscenza, meridionali e non solo, confondono la cultura con l’organizzazione di eventi (la paesologia o l’eco-poesia all’acqua di rose, l’opportunismo e il cinismo di certe operazioni editoriali e accademiche, con il loro più o meno fiorente indotto transmediale e di turismo culturale, ecc.). Ho pensato quindi alla letteratura meridionale del secondo Novecento come a una serie di intertesti sincronici, un insieme testuale molteplice e stratificato, che non si cristallizza in una tendenza ma vive in una continua circolazione di forme. Questa è la condizione di partenza per cartografare una galassia di testi meridionali che si caratterizza nel corso del tempo per una varietà impressionante di modalità narrative ed espressive: una varietà di soluzioni testuali che tuttavia, a mio parere, non deve oscurare la necessità di un giudizio di valore. Per fare solo due esempi: una cosa è far reagire l’opera di Carlo Levi con il pensiero di Ernesto de Martino o con la scrittura di Alessandro Leogrande, un’altra è esaminare da vicino le strutture narrative dei romanzi di Mario Desiati; una cosa è la paesologia didascalica e a tratti patetica espressa da certa poesia recente, un’altra è la ricchezza di risonanze formali e antropologiche che emanano le opere in versi di Vittorio Bodini e di Nino De Vita (e si potrebbe continuare).
Di fronte alla natura plurale e stratificata delle esperienze letterarie meridionali del secondo Novecento, che arrivano fino a oggi, alla cosiddetta letteratura circostante, è necessario rispondere non con un intento meramente descrittivo o ecumenico, che purtroppo accompagna molto spesso gli studi sulla letteratura e sull’identità letteraria meridionale, ma con gli strumenti dell’analisi sociale della letteratura e della critica delle forme. La critica delle forme distingue e seleziona le voci letterarie più rappresentative, tentando di istituire tradizioni e costellazioni di testi esemplari, testi che si presentano sul piano simbolico come sintomi culturali e ideologici connessi alla dimensione materiale del sistema produttivo, alle mutazioni sociali e politiche che hanno attraversato la storia del Meridione d’Italia. Si tratta di un percorso storico e letterario di tipo strabico e anfibio, che attraversa luoghi e lingue diverse, generi plurali, tra prose e poesie, tra inchieste e romanzi, e si mette in dialogo con discipline e con saperi non strettamente letterari, dalla storia degli intellettuali alla nuova narratologia, dalla sociologia alla demologia, dall’etnologia all’antropologia. Le prose favolistiche e argomentative di Sciascia e di Pasolini si affiancano alle poesie di Vittorio Bodini e di Nino De Vita; dai romanzi e dalle opere etnografiche di Carlo Levi e di Ernesto de Martino si arriva alle opere dei giovani narratori pugliesi, Nicola Lagioia accanto ad Alessandro Leogrande. Questa visione rizomatica e plurale della letteratura meridionale contemporanea convoca un dispositivo, un metodo di ricerca che si colloca insieme dentro e fuori alle narrazioni egemoniche del nostro contemporaneo. La natura intrinsecamente antagonista e il potenziale conoscitivo che emergono da queste esperienze letterarie mi hanno fatto pensare alla letteratura meridionale contemporanea come a un’alterità che sfida dal suo interno la contemporaneità, mettendola in tensione con sé stessa.
Non esiste, a mio parere, una presunta specificità identitaria, e tanto meno una supposta purezza, una prerogativa della letteratura meridionale, se non nel confronto reattivo, dinamico e dialettico che alcune tra le migliori esperienze letterarie meridionali istituiscono con il contemporaneo, con il pensiero unico del progresso, con le retoriche del neoliberismo: con l’inconscio politico della nostra epoca, per citare Fredric Jameson. La letteratura meridionale non è uno spazio testuale che aprioristicamente dobbiamo considerare di stampo progressista o reazionario, apocalittico, regressivo o antimoderno, ma non è nemmeno un inerte archivio di scritture da recuperare e ricostruire con un metodo solo descrittivo e ancillare.
Il valore letterario delle opere letterarie meridionali è all’origine del loro significato storico. Per questo ho messo l’accento sull’analisi delle architetture narrative, dei dispositivi testuali, delle modalità enunciative, del punto di vista, e in particolare ho voluto individuare nei testi le pratiche e le strategie discorsive delle voci narranti, la posizione della voce narrante rispetto al mondo rappresentato, quello dei tanti Sud Italia: che è uno spazio, non va mai dimenticato, abitato dai contadini e dagli operai di ieri e di oggi, dai nuovi schiavi nelle campagne, in una parola dai soggetti di storia non egemonici – i subalterni nell’accezione di Gramsci, i marginali e gli outcast, gli uomini e le donne in carne e ossa che Ernesto de Martino chiamava le ‘persone vive del Mezzogiorno’. È uno spazio pluristratificato nel quale gli squilibri e le nuove disuguaglianze generate dalla globalizzazione convivono accanto al persistere di un paesaggio agricolo, alle permanenze del tessuto sociale, economico e antropologico di stampo ancora arcaico o patriarcale; e i flussi migratori, lo spopolamento, il lavoro nero e gli abusi edilizi, l’eco-mafia e i fenomeni dell’emigrazione intellettuale sono il precipitato o il sedimento di una politica sempre più affaristica, autoreferenziale e corrotta, ispirata e asservita, come avviene in questi anni in un tutto il mondo occidentale, agli imperativi del mercato e al trionfo delle ideologie neoliberali.
Troppo spesso, mi pare, nelle espressioni letterarie contemporanee legate ai luoghi del Sud, così come negli studi più recenti sulla letteratura o sulla poesia meridionale – con tutte le etichette più alla moda come paesologia, poesia meridiana, mediterranea, eccetera -, sfugge questa dimensione doppia, questo doppio legame, potremmo dire, che la letteratura meridionale, a partire da Verga, instaura da sempre con la modernità e con il piano materiale del reale: una dimensione che riguarda simultaneamente la storia e i linguaggi. La mia proposta è di avviare un’indagine che interseca sincronicamente la dimensione retorica (testuale) e quella pragmatica (contestuale) delle opere letterarie meridionali contemporanee: è un tentativo, a partire dai testi, di articolare retorica e sociologia, per cogliere gli aspetti testuali e i comportamenti, gli effetti sociali delle operazioni intellettuali meridionali. Un’analisi di questo tipo impone un duplice terreno di indagine: fuori dal testo, si deve considerare la storia sociale del Mezzogiorno, non solo in un’ottica evolutiva ma frastagliata, fatta di arresti e ripartenze, continuità e discontinuità; all’interno delle opere, con l’analisi dei dispositivi della narrazione o della enunciazione poetica, emerge la costruzione di un’immagine conflittuale e dinamica del Sud, in e attraverso i testi letterari.
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Immagine di copertina di Marco Fraddosio