Se la sete è abbaiare la condensa

di Mariasole Ariot

Johann Sebastian Bach, Toccata in E minor (Stehlik, B.)

Appaiono nella dimensione più alta i gorgogli della casa, dicono di arrivare e dirigere il verbo del fare al passato, una parola già pronunciata, l’accalcarsi di greggi e datazioni, il gorgo avvicendato dalle forme dimenticate – e ancora si chiudono corolle in direzione contraria al nascituro, dove e quando le mandrie di madri ricordano la caduta di un’esistenza masticata fino all’osso.
È questa la buca che separa, la dannata condizione che sborda ad ogni istante, un solo secondo per il dire, una camminata lenta alla fuoriuscita del feretro e del feto: se non ho mai parlato, se la voce è compressa in una cassa, l’eco si accascia nello specchio.

***

Queste facce in forma di persone, le mascherine degli insetti che ronzano nell’attorno di ogni androne, quando le finestre sono chiuse e appiccicate al vetro si attaccano le scimmie. Avere il tempo dilatato per condensa, la voce che si adunca a petizione, la penitenza delle colpe ripetute, se ridendo come foglie a primavera mi formicano gli interni. L’esserino non si muove e ricorda una menzogna dell’attesa a ricompensa: ma quanto vero è il vero quando il cielo non ripete. Le ossa, questo piccolo ricordo di un corpo ormai scordato, lo strumento che s’insegue, la postura di una donnola nel mentre di un amplesso.

***

Il ritorno non ci affanna, s’innaffiano le cose mute e già mangiate, è questo diventare il mio passato, è questo il divenire e il suo contrario. La porta che ci è data non respira, la devozione che divina – ma il sospeso è domandato, la domanda è una bocca che ferisce.
Dare e dire cosa, il presente che sfiorisce, questo manto addormentato che sborda come un angolo del petto, ho ancora una parola: il gettito che sente la tua voce e mi sovviene: l’agito che è già verbo, verbale è ciò che agisce. Di nuovo, appesi all’infinito e a questo spazio, se l’appeso è un aspettare, il gioco è dire basta, morire nella cassa toracica del niente.

***

Più delle grida è lo snodo che sorregge, la durezza tradotta per errore ci muove testa a testa con la croce, un chiodo che si pianta è questo nostro mondo, la lingua che ingenera una morte, il terreno già sospeso – e dici il puntello della rosa, si fissa a tormentare nelle mani, un manico di falce deprime la mia testa. Aprire il corpo e scoprire un territorio.
È così che cede il ventre, così si cede un panico al suo astro: immobile a sanguigna l’eremita ci passeggia le budella, e quanta pioggia serve al derivare delle rive. I defunti che servono alle tombe, lo zampillo delle pozze: il nucleare ricordo della sete.

Immagine di copertina: Josef Koudelka

Print Friendly, PDF & Email

3 Commenti

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Pratolini poeta. Un mannello dimenticato

di Marco Nicosia
«Sono fregata, Casco, la morte non è un sollievo, è un’imboscata.»

Un bon élève

di Simone Redaelli
Ma questa è una menzogna. Nulla nel mondo ha di queste sensazioni. Tutto continua a girare: gli esseri umani procedono indisturbati, gli alberi generano foglie, i muri continuano a reggersi.

“A man fell”, dell’eterna diaspora palestinese

di Mariasole Ariot
Un'esistenza che sanguina da decenni e protesa a un sanguinare infinito, finito solo dal prosciugamento di sé stessa.

Amelia Rosselli, “A Birth” (1962) – Una proposta di traduzione

di Marco Nicosia
Nel complesso, la lettura e la traduzione esigono, come fa l’autrice, «[to] look askance again», di guardare di sbieco, e poi di nuovo scrutare e ancora una volta guardare di traverso

Sopra (e sotto) Il tempo ammutinato

di Marco Balducci
Leggere queste pagine-partiture è in realtà un perdersi nei suoni: suonano nel ritmo delle sillabazioni, nelle pause degli spazi bianchi

L’occhio di Dio

di Silvia Belcastro
Dal mio corpo escono tubi da mungitura perché devo allattare la notte, devo mettere al mondo le sue creature: su un nastro trasportatore sfilano, a distanza regolare, i miei fantasmi contornati di luce.
mariasole ariot
mariasole ariothttp://www.nazioneindiana.com
Mariasole Ariot ha pubblicato Essendo il dentro un fuori infinito, Elegia, opera vincitrice del Premio Montano 2021 sezione opera inedita (Anterem Edizioni, 2021), Anatomie della luce (Aragno Editore, collana I Domani - 2017), Simmetrie degli Spazi Vuoti (Arcipelago, collana ChapBook – 2013), poesie e prose in antologie italiane e straniere. Nell'ambito delle arti visuali, ha girato il cortometraggio "I'm a Swan" (2017) e "Dove urla il deserto" (2019) e partecipato a esposizioni collettive.  Aree di interesse: letteratura, sociologia, arti visuali, psicologia, filosofia. Per la saggistica prediligo l'originalità di pensiero e l'ideazione. In prosa e in poesia, forme di scrittura sperimentali e di ricerca. Cerco di rispondere a tutti, ma non sempre la risposta può essere garantita.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: