Peter Sloterdijk: Regole per il parco umano

 

È in uscita per Tlon Edizioni Non siamo ancora stati salvati. Saggi dopo Heidegger di Peter Sloterdijk. Clonazione, scoperte geografiche e coscienza delle macchine, umanismo e pessimismo, mostri e metafisica sono solo alcuni dei temi che attraversano i dieci saggi che compongono questo affresco di filosofia e storia della cultura contemporanea.
Ne ospito qui un estratto.
***

Una risposta alla Lettera sull’“umanismo” di Heidegger

I libri, così ha detto una volta il poeta Jean Paul, sono delle lettere un po’ più consistenti inviate agli amici. Con questa frase ha definito con grazia e in modo essenziale, la natura e la funzione dell’umanismo: una telecomunicazione che istituisce amicizie attraverso il medium della scrittura. Ciò che dai tempi di Cicerone risponde al nome di humanitas è, sia in senso lato che in senso stretto, una conseguenza dell’alfabetizzazione. La filosofia, da quando è diventata un genere letterario, acquisisce nuovi adepti scrivendo in modo contagioso di amore e amicizia. Non solo è un discorso sull’amore di sapienza, ma vuole anche riuscire a conquistare gli altri a questo amore. Il fatto che la filosofia scritta possa farsi degli amici tramite i testi le ha permesso di mantenere il suo potenziale di contagio dai suoi inizi, più di 2500 anni fa, fino a oggi. Si è continuato a scrivere filosofia di generazione in generazione come se fosse una lettera a catena, e nonostante tutti gli errori di copiatura, o forse proprio grazie a questi, la filosofia ha sedotto copisti e interpreti con il suo influsso socializzante.

L’anello più importante in questa catena di lettere fu senza dubbio la ricezione degli invii greci operata dai Romani. Solo l’assimilazione romana ha reso comprensibile il testo greco per l’impero e perlomeno mediatamente lo ha reso accessibile alle culture europee più tarde, dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente. Certo gli autori greci si sarebbero meravigliati se avessero saputo quali erano gli amici che un giorno avrebbero ricevuto le loro lettere. Ma fa parte delle regole del gioco della cultura scritta che i mittenti non possano conoscere in anticipo i loro reali destinatari, e ciononostante gli autori si lanciano nell’avventura di inviare le loro lettere a degli amici non ben identificati.

Le spedizioni postali, che noi chiamiamo tradizione, non avrebbero mai potuto venire consegnate, se la filosofia greca non fosse stata codificata su rotoli di pergamena trasportabili. E i Romani stessi non sarebbero stati capaci di stringere amicizia con i mittenti di questi scritti, se i lettori greci non si fossero messi a loro disposizione, aiutandoli a decifrare le lettere venute dalla Grecia. L’amicizia che matura nella lontananza ha dunque bisogno di entrambe le cose: delle lettere e di quelli che le consegnano o le interpretano. Certo se i lettori romani non fossero stati pronti a stringere amicizia con le trasmissioni a distanza dei Greci, non ci sarebbero stati i riceventi, e senza l’entrata in gioco dei Romani con la loro grandiosa recettività, le trasmissioni greche non avrebbero mai raggiunto lo spazio dell’Europa occidentale, abitato ancor oggi da gente interessata all’umanismo. Non ci sarebbero così né il fenomeno dell’umanismo, né una parte significativa dei discorsi filosofici latini, né le più tarde culture filosofiche di lingua nazionale. Il fatto che oggi, qui, stiamo parlando in tedesco di questioni che riguardano l’uomo, lo dobbiamo non da ultimo alla prontezza con cui i Romani lessero gli scritti dei maestri greci come delle lettere inviate agli amici in Italia.

Se prendiamo in considerazione le conseguenze epocali della posta greco-romana, appare evidente la stretta parentela con lo scrivere, l’inviare e il ricevere testi filosofici. Certo il mittente di questo tipo di lettere d’amicizia spedisce i suoi scritti in giro per il mondo senza conoscere i destinatari, oppure, nel caso li conosca, è convinto che la trasmissione delle lettere continui al di là di essi, e possa provocare una molteplicità indefinita di amicizie possibili con lettori anonimi, che spesso non sono ancora neanche nati.

Dal punto di vista erotologico l’amicizia ipotetica tra lo scrittore di libri e di lettere e quelli che li ricevono, rappresenta un caso di amore a distanza. E proprio nel senso in cui lo intendeva Nietzsche, secondo il quale la scrittura è il potere di trasformare l’amore per il prossimo e per ciò che ci è più vicino in un amore per la vita sconosciuta, lontana e a venire. La scrittura non sarebbe solo un ponte telecomunicativo tra dei vecchi amici, che al momento dell’invio della lettera vivono distanti l’uno dall’altro, essa comporterebbe invece anche un’azione di seduzione nella distanza, una seduzione che si spinge verso l’ignoto. Detto con il linguaggio magico della vecchia Europa: la scrittura opera una actio in distans, con lo scopo di stanare l’amico sconosciuto, e di spingerlo a aderire al circolo degli amici. Il lettore che si cimenta con la “lettera più consistente” infatti può intendere il libro come una lettera d’invito e se si lascia sedurre dalla lettura finisce per entrare nella cerchia di coloro che sono chiamati a testimoniare della ricezione della trasmissione.

Si potrebbe ricondurre così il fantasma comunitario, che sta alla base di tutti gli umanismi, al modello di una società letteraria, i cui membri scoprono, attraverso le letture canoniche, il loro amore comune per dei mittenti che fungono da ispiratori. Nel cuore dell’umanismo così inteso scopriamo una fantasia di setta o di club, il sogno cioè della solidarietà destinale tra coloro che sono stati scelti perché capaci di leggere. Per il vecchio mondo infatti, fino alla vigilia dello Stato nazionale moderno, la capacità di leggere ha significato qualcosa come l’appartenenza a una élite basata sul segreto. Un tempo la conoscenza della grammatica veniva considerata in molti luoghi come il simbolo della fascinazione. E difatti già nell’inglese medievale dalla parola grammar derivò la parola glamour.[1] ciò vuol dire che chi è capace di leggere e scrivere sarà capace di fare anche altre cose impossibili. Gli umanizzati innanzitutto non sono nient’altro che la setta degli alfabetizzati e come in molte altre sette anche in questa vengono in luce dei progetti espansionistici e universalistici. Inoltre lì dove l’alfabetismo divenne fantastico e pretenzioso, nacque anche la mistica grammatica o letterale, la kabbala, animata dall’entusiasmo nell’osservare i tipi di scrittura usati dal creatore del mondo.[2] Dove invece l’umanismo divenne pragmatico e programmatico, come nelle ideologie classico-umanistiche degli Stati nazionali borghesi del xix e xx secolo, il modello della società letteraria si estese sino a diventare la norma della società politica. Da quel momento in poi i popoli si organizzarono all’interno di uno spazio nazionale in associazioni di amicizia forzosa, totalmente alfabetizzate e votate a un canone di lettura vincolante.

Accanto agli autori antichi, comuni a tutta l’Europa, vengono mobilitati ora anche i classici nazionali e moderni, le cui lettere rivolte al pubblico assurgono, grazie al mercato dei libri e alle scuole superiori, a fattori determinanti nella creazione delle nazioni. Che cosa sono infatti le nazioni moderne se non la finzione efficace di un pubblico di lettori che proprio grazie a questi scritti diventano una cerchia di amici affiatati? Il servizio di leva per la gioventù di sesso maschile, e il servizio di lettura dei classici per i giovani di entrambi i sessi, ecco ciò che caratterizza l’epoca borghese classica; quell’epoca dell’umanità armata e acculturata, cui oggi i nuovi e vecchi conservatori guardano con nostalgia, e contemporaneamente senza speranza, del tutto incapaci di elaborare un canone letterario mediatico-teoretico. Chi voglia farsene un’idea aggiornata dovrebbe riflettere su come sono falliti penosamente i tentativi di un dibattito nazionale, tentato di recente in Germania, sulla presunta necessità di un nuovo canone letterario.

In realtà gli umanismi nazionali, amanti delle letture, hanno avuto la loro epoca di fioritura dal 1789 al 1945. Al loro centro risiedeva, cosciente del proprio potere e compiaciuta di sé, la casta dei vecchi e nuovi filologi. Questi si sentivano incaricati di iniziare i nuovi arrivati al circolo di quelli che ricevono le autorevoli “lettere più consistenti”. In quest’epoca il potere degli insegnanti e il ruolo centrale dei filologi si fondano sulla conoscenza privilegiata di quegli autori che erano considerati i mittenti degli scritti che fondano la società. L’umanismo borghese per sua natura non è altro che il mandato di imporre alla gioventù i classici, e di sostenere la validità universale dei testi nazionali.[3] Le stesse nazioni borghesi sarebbero così in certa parte dei prodotti letterari e postali, finzioni di un’amicizia destinale con lontani connazionali, con lettori legati da un comune sentire, lettori di autori semplicemente appassionanti, propri e comuni nel contempo. Oggi quest’epoca appare irrimediabilmente perduta, ma non perché gli uomini non sarebbero capaci di adempiere al loro compito letterario a causa di una disposizione decadente. L’era dell’umanismo nazional-borghese è giunta a compimento perché l’arte di scrivere lettere che ispirino amore a una nazione di amici, anche se venisse esercitata in modo ancora così professionale, non sarebbe più sufficiente a tenere insieme il filo telecomunicativo tra gli abitanti di una moderna società di massa. Attraverso lo stabilirsi mediatico della cultura di massa nel Primo Mondo, la coesistenza degli uomini nelle società attuali è stata posta su nuovi fondamenti: dopo il 1918 con la radio, dopo il 1945 con la televisione, e oggi ancora più con le attuali rivoluzioni della rete informatica. Come si può facilmente vedere, questi fondamenti sono decisamente post-letterari, post-epistolari e di conseguenza post-umanistici. Se per qualcuno il prefisso “post” in queste formulazioni è troppo drammatico, può sostituirlo con l’avverbio “marginalmente”.

La nostra tesi allora consisterebbe nel dire che le grandi società moderne possono produrre le loro sintesi politiche e culturali solo marginalmente ormai attraverso i media letterari, epistolari e umanistici. Ciò non significa affatto però che la letteratura sia alla fine, essa piuttosto si è trasformata in una sottocultura sui generis, e sono passati i giorni della sua esaltazione come portatrice degli spiriti nazionali. Il legame sociale non è più, nemmeno in apparenza, qualcosa che ha principalmente a che fare con libri e lettere. Nel frattempo sono passati a condurre il gioco i nuovi media della telecomunicazione politico-culturale che hanno ridimensionato di molto il modello delle amicizie nate dalla scrittura. È finita l’era dell’umanismo moderno come modello di scuola e di formazione, poiché non ci si può più illudere di poter organizzare le macrostrutture politiche ed economiche in base all’amabile modello della società letteraria.

[1] L’espressione “magia, fascinazione” viene dalla parola “grammatica”.

[2] Che il segreto della vita dipenda strettamente dal fenomeno della scrittura è anche la grande intuizione della leggenda del Golem. Cfr. M. Idel, Le Golem, éd. du Cerf, Paris 1992; nella prefazione al libro H. Atlan si richiama al rapporto di una Commissione insediata nel 1982 dal Presidente degli Stati Uniti con il titolo Splicing Life. The Social and Ethical Issue of Genetic Engineering with Human Beings, i cui autori si rifanno alla leggenda del Golem.

[3] E naturalmente anche la validità nazionale dei testi universali.

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1 commento

  1. Grazie aper questo articolo, ho sempre considerato le lettere il mezzo più diretto e spontaneo di comunicazione, che da atto intimo e individuale può diventare anche storico e universale. Da lì però a dire “fondante di nazioni”… Chissà che la nostra Costituzione non si possa considerare una lettera dei Padri ai Figli. Grazie.

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Giorgiomaria Cornelio
Giorgiomaria Cornelio è nato a Macerata nel 1997. E’ poeta, regista, curatore del progetto “Edizioni volatili” e redattore di “Nazione indiana”. Ha co-diretto insieme a Lucamatteo Rossi la “Trilogia dei viandanti” (2016-2020), presentata in numerosi festival cinematografici e spazi espositivi. Suoi interventi sono apparsi su «L’indiscreto», «Doppiozero», «Antinomie», «Il Tascabile Treccani» e altri. Ha pubblicato "La consegna delle braci" (Luca Sossella editore, Premio Fondazione Primoli, Premio Bologna in Lettere) e "La specie storta" (Tlon edizioni, Premio Montano, Premio Gozzano Under 30). Ha preso parte al progetto “Civitonia” (NERO Editions). Per Argolibri, ha curato "La radice dell'inchiostro. Dialoghi sulla poesia". La traduzione di Moira Egan di alcune sue poesie scelte ha vinto la RaizissDe Palchi Fellowship della Academy of American Poets. È il direttore artistico della festa “I fumi della fornace”. È laureato al Trinity College di Dublino.
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