Da “Elogio della passione”
di Carlotta Clerici
25 agosto – Traversata notturna
Alle volte la vita fa le cose per bene. Basta non forzarla e rimanere all’erta. Quella sera, con Pierre e Alice, eravamo andati a cena in un rifugio arroccato sulla montagna, un posto sorprendente che adoravo sin dall’infanzia e che piaceva molto anche a mio marito. Mezz’ora di auto, poi mezz’ora a piedi nei boschi. Una vista mozzafiato sui tre rami del lago, compreso l’essenziale: lo studio. Alla baita avevamo incontrato i Bondelli – marito, moglie e tre ragazzini scatenati – che avevano deciso, per completare l’avventura, di dormire lì, c’erano alcune camere a disposizione dei clienti. Alice, ispirata, chiese di poter restare: «Per favore mamma, papà, dev’essere magnifico! Mario mi ha detto che di notte vengono a bussare gli orsi». Pierre accolse la richiesta con entusiasmo. Io avevo troppo mal di schiena per dormire in un letto non mio e ultimamente soffrivo spesso di insonnia, proprio non potevo, sarei tornata a prenderli la mattina dopo. «Per la prima colazione!». Mi scaraventai giù per il sentiero che scendeva ripido tra i pini, poi guidai a tutta velocità, concentrata, fino a casa, mandai un sms, arrivo, mi sciolsi leggendo la risposta immediata, ma come hai fatto? sei meravigliosa…, mi lanciai sotto la doccia, mi pettinai e truccai, via i jeans e le mutande di cotone, infilai biancheria di pizzo e un vestito in crêpe di seta celeste che, più che vestirmi, mi denudava e mi precipitai verso la darsena.
La barca non c’era.
Fissavo l’acqua, inebetita. Non era possibile. Non era semplicemente possibile.
«Pierre! Stavi già dormendo? Scusami… e Alice? Tutto bene. Ascolta… è scomparsa la barca. Ah, l’hai prestata ad Antonello. Per andare a pescare di notte. Certo che hai fatto bene. Come? Ma no, non volevo prendere la barca a quest’ora, figurati, è solo… ho fatto un giro in giardino, ho visto che non c’era e mi sono domandata… No, no, hai fatto benissimo. E… quando ce la riporta? Domani a mezzogiorno? Perfetto! In tempo per andare tutti insieme a fare il bagno».
Imbecille.
Erano le undici passate. L’ultimo traghetto si accostava alla riva di fronte sotto i miei occhi pieni di lacrime. Avevo davanti a me una notte intera e la distesa calma e silenziosa del lago. Stavo lì in piedi in fondo alla scalinata di pietra. L’acqua mi accarezzava le caviglie e sembrava tiepida, nel fresco della sera. Avanzai di un passo scivolando nel lago fino ai polpacci, poi alle cosce, la seta incollata alla pelle. La luce della casa di Francesco tremolava nel buio davanti a me come una promessa. L’acqua era densa, mi avvolgeva dolcemente fino al ventre, poi fino al seno. D’un tratto sentii il cuore battere di eccitazione. Mi sfilai il vestito, lo gettai sui gradini e, dandomi un po’ di slancio, mi abbandonai all’acqua come in una vertigine. E mi misi a nuotare.
Avanzavo piano nella baia allontanandomi sempre di più dalla riva, dalle case, dalle luci, verso il largo. Euforica. La notte era silenziosa, sentivo soltanto lo sciabordio provocato dalle mie bracciate. Avanzavo tranquilla nell’acqua nera e spessa che ogni mio movimento trasformava in schiuma iridescente sotto i raggi della luna piena. Dieci, quindici minuti, mezz’ora… Le forze scemavano, ma ero fiduciosa, sapevo di poterne ancora attingere dentro di me. Certo, c’era il rischio che una barca non mi vedesse – puntino scuro nell’oscurità – e mi investisse, mi maciullasse. Un pericolo mortale, ma quante erano le probabilità che la traiettoria di una delle rarissime imbarcazioni notturne incrociasse la mia? Una su mille e non c’è vita senza rischio, non c’è vera bellezza senza pericolo. Mi sarei comunque perduta. Tra le braccia di Francesco o in fondo al lago. Non importa. Mi allontanavo da tutto, affondavo sotto la superficie, svanivo nell’abbraccio dell’acqua, mostro lacustre o pesce o sirena, ormai ero una cosa sola con quel lago scuro e vivo, ero libera, in comunione con l’universo. D’un tratto mi sembrava tutto così semplice, e la frontiera che separa la vita dalla morte e la terra dal cielo così sottile. Stavo per scoprire il mistero dell’esistenza, sarebbe bastato allungare la mano per afferrare la risposta.
Francesco mi aveva visto a un centinaio di metri dalla riva. Aveva scorto «una forma che si muoveva nell’acqua e si dirigeva verso lo studio» e pur credendosi vittima di un’allucinazione non aveva tardato a capire. Si era precipitato sul pontile e tuffato nell’acqua vestito per venirmi incontro, nuotando con tutte le sue forze.
«Sei matta!».
Ridevo. Ce l’avevo fatta, ero con lui.
«Stai bene? Ce la fai?» e con un braccio mi aveva cinto la vita, per sorreggermi.
«Sto bene, benissimo, non preoccuparti!».
«Sei matta…».
«Non avevo la barca».
E ci eravamo baciati, senza fiato, ancora al largo, soli in mezzo al lago deserto, nel bagliore opalescente della luna, ci baciavamo e ridevamo e nuotavamo verso lo studio che scintillava sulla riva.
*
Carlotta Clerici, originaria di Como, vive a Parigi. Regista e autrice, ha messo
in scena e pubblicato una decina di testi teatrali, tutti scritti in francese, uno dei
quali, Ce soir j’ovule del 2010 (presentato in Italia con il titolo Stasera ovulo),
continua ad avere una circolazione internazionale. Uscito in Francia nel 2017,
Elogio della passione (Ventanas 2023) è il suo primo romanzo.
Bello. Molto.