Kwibuka. Ricordare il genocidio dei Tutsi.
di Andrea Inglese
Ieri, 7 aprile, si è tenuta a Kigali la trentesima commemorazione dell’ultimo genocidio del XX secolo, quello perpetrato tra il 7 aprile e il 4 giugno del 1994 da parte del governo di estremisti Hutu contro la popolazione Tutsi e gli oppositori politici Hutu. Parliamo oggi di più d’un milione di persone uccise. “Kwibuka” (“ricordati”) è il nome che le autorità le hanno assegnato a questa commemorazione. Oggi vorrei che lo ricordassimo anche noi italiani, francesi, europei, occidentali bianchi, che abbiamo a lungo guardato in modo approssimativo questo genocidio, come fosse uno dei tanti episodi di quella guerra costante e inspiegabile che attraversa cronicamente il continente africano. Ma non furono massacri qualsiasi, né la manifestazione cruenta di un’ennesima guerra civile. E soprattutto non fu “cosa loro”. Un genocidio è sempre cosa di tutti, di tutta l’umanità. Lo sappiamo, da quando le istituzioni internazionali, per fragili e disfunzionanti che siano, hanno dovuto pensare un mondo dopo l’evento della Shoah. Ma questo genocidio è cosa anche nostra, di europei che hanno dietro di sé i crimini ormai palesi del colonialismo e quelli più ambigui e occultati del neocolonialismo. E nonostante il genocidio realizzato dagli Hutu (etnia immaginaria) contro i Tutsi (idem) sia stato opera di ruandesi contro altri ruandesi, e abbia avuto radici storiche che risalgono al 1963, a incorniciarlo storicamente vi troviamo due potenze europee. La prima è quella belga, che ha prodotto, per le esigenze dell’amministrazione coloniale, una razializzazione immaginaria, per dividere la popolazione colonizzata. Loro hanno inventato i documenti che permettevano di identificare all’interno di uno stesso popolo due gruppi etnici diversi, nonostante condividessero una sola lingua, cultura e religione. La seconda potenza è la Francia, che sostiene il regime al potere prima e durante il genocidio. Lo sostiene politicamente e militarmente. Ed è a conoscenza degli intenti genocidari di quest’ultimo, ancora prima dello scatenamento dei massacri. Al di là delle responsabilità estremamente gravi della Francia nel genocidio ruandese, va ricordata anche la debolezza vergognosa delle stesse Nazione Unite, che nel momento di maggiore scatenamento della macchina di sterminio decide di ridurre al minimo la presenza di caschi blu sul territorio ruandese.
Le responsabilità della Francia sono state riconosciute persino dal presidente Macron, che non ha però interrotto l’assenteismo che da trent’anni caratterizza la presidenza francese in occasione della commemorazione a Kigali. Anche il trentennale del genocidio non ha visto la presenza dei vertici dello Stato francese: né il presidente né il suo primo ministro erano presenti alla cerimonia.
Nel 2024, è uscito La France face au génocide des Tutsi. Le grand scandale de la Ve République (La Francia di fronte al genocidio dei Tutsi. Il grande scandalo della V Repubblica) di Vincent Duclert (Tallandier). Dopo una bibliografia prodotta soprattutto da un giornalismo d’inchiesta coraggioso e controcorrente, è giunto il tempo di primi bilanci storiografici. Duclert è uno storico importante, specialista delle società democratiche e della storia dei genocidi.
Vorrei sottolineare, infine, una cosa, che spesso viene dimenticata, quando si evocano i genocidi del XX secolo e in particolar modo quello della Shoah, centrale per proporzioni e ferocia. Nel caso ruandese, le forze genocidarie, da quelle che istigavano ideologicamente a quelle che eseguivano sul territorio, si percepivano come vittime ingaggiate in una lotta per la sopravvivenza, di fronte a un nemico armato che le minacciava. Il nemico armato era il Fronte Patriottico Ruandese (FPR), guidato dall’attuale presidente Paul Kagame, che combatteva affinché fosse riconosciuto il diritto ai rifugiati Tutsi, da anni confinati in Uganda, di ritornare nella loro paese d’origine. Questo ritorno implicava anche una partecipazione al governo del paese. “Colui a cui non taglierete la testa, ve la taglierà”, questo era uno degli slogan degli estremisti Hutu, ed esso si riferiva alle truppe nemiche del FPR, che venivano dall’estero (dall’Uganda), ma anche alla popolazione Tutsi interna al Ruanda, considerata un’alleata “naturale” del nemico esterno. I massacratori si percepivano come vittime, sottoposte a una impellente e tremenda minaccia, ed è proprio questo che forniva loro l’alibi per massacrare senza rimorso alcuno i loro simili.
Concludo linkando un articolo mio e di Magali Amougou apparso prima su “il manifesto” e poi su NI nel gennaio del 2006: Revisionismi francesi. Esso riguardava il dibattito francese seguito al primo decennale del genocidio ruandese (2004). I negazionisti e i revisionisti erano ancora nel pieno dei loro sforzi di propaganda, ma già esistevano giornalisti e intellettuali in grado di dissipare la cortina fumogena delle mezze verità e delle menzogne.
Aggiungo una bibliografia, che presentai in un articolo successivo a quello citato. Andrebbe ovviamente aggiornata, ma fornisce uno scorcio significativo di cosa si produsse nel corso del primo decennio successivo al genocidio.
In italiano
Jean Léonard Touadi, Congo Ruanda Burundi. Le parole per conoscere, Editori Riuniti, Roma, 2004.
(Libretto breve, ma che fornisce un’adeguata immagine d’insieme sul genocidio ruandese, inserendolo nelle dinamiche politiche più ampie e regionali, che l’hanno preceduto e seguito.)
Michela Fusaschi, Hutu-Tutsi. Alle radici del genocidio rwandese, Torino, Bollati Boringhieri, 2000.
(Seria analisi di taglio antropologico sulle “pre-condizioni” del genocidio.)
Libri di testimonianza:
Tadjo Véronique, L’ombra di Imana. Viaggio al termine del Ruanda, Ilisso, 2005.
Hatzfeld Jean, A colpi di machete. La parola agli esecutori del genocidio in Ruanda , Bompiani, 2004
Boris Diop Boubacar, Rwanda. Murambi, il libro delle ossa, edizione e/o, Roma, 2004.
Gourevitch Philip, Desideriamo informarla che domani verremo uccisi con le nostre famiglie. Storie dal Ruanda , Einaudi, 2000
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In altre lingue (sopratutto in francese)
1. Guerra civile e genocidio
Alison Des Forges, Leave None to Tell the Story: Genocide in Rwanda, New York: Human
Rights Watch, 1999 – trad. francese nello stesso anno
Braeckman Colette, Rwanda: histoire d’un génocide, Fayard, Paris, 1994 [trad. It., Strategia della Lumaca, Roma, 1995]
– Terreur africain : Burundi, Rwanda, Zaire : Les racines de la violence, Fayard, Paris, 1996.
Chretien Jean-Pierre (a cura di), Rwanda : les médias du génocide, Karthala, Paris, 1995.
Verdier R., Decaux E., Chretien J. P. (a cura di), Rwanda : un génocide du XXe siècle, l’Harmattan, Paris, 1995
2. Reazioni internazionali
Coret L., Verschave, F. X., L’horreur qui nous prend au visage : L’État français et le génocide, Rapport de la Commission d’enquête citoyenne sur le rôle de la France dans le génocide des Tutsi au Rwanda, avec Laure Coret, 2005, Karthala
Klinghoffer A. J., The international dimension of genocide in Rwanda, Macmillan press, 1998.
Ould Abdallah A., La diplomatie pyromane : Burundi, Rwanda, Somalie, Bosnie…, Calman-Lévy, Paris, 1996
Willame J-C., L’ONU au Rwanda (1993-1995) : la communauté internationale à l’épreuve d’un génocide, Maisonneuve et Larose, Paris, 1996.
3. Inchieste sul ruolo della Francia nel genocidio
Gouteux J-P, La nuit rwandaise. L’implication française dans le dernier génocide du siècle, l’Esprit frappeur, Paris, 2002.
De Saint-Exupéry P., L’inavuable. La France au Rwanda, les arènes, Paris, 2004.