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Lettera all’indirizzo degli uccelli

di Carmen Naranjo

traduzione di Tomaso Pieragnolo e Rosa Gallitelli

 

da Idioma dell’inverno (1971)

 

Piove in questa città
piove… pioggia polvere
invidia piove notti e giorni
piove suoni di altre piogge

Metto avorio e non va
in questa città non c’è
avorio metto oro e non dice
in questa città non c’è
oro metto argento e
non rima
in questa città non c’è
argento metto l’idioma
della pioggia acqua
acquazzone acquitrino
metto paracqua ed ombrelli
metto pioggerella e giungo alla mia città

E non metto
nulla e tolgo
tutto terrazze
e luci balconi
e torri
e restano piogge

Oggi piove come
sempre da così presto
che non so come
iniziò a piovere
magari sia solo una
figura di rituali grifi
d’acqua
che danzano in suono di
gocce fiumi in finestre e
calli
occhi turpi dietro l’alba
e la lunga vetrata
dell’inverno con verdi
mani reumatiche

Dall’acqua
astratta tappeto
d’erba terrazza
d’alghe uscì
questo sogno di
cieli e barche

Io piovo perché amo
piovo verticale il mio
ritorno e non fecondo spighe
a volte piovo chiacchiere
quando non posso piovere
tanta pioggia di tante cose
gocce e gocce di miseria
nella cerimonia del viaggio
sulla memoria dell’acqua

 

*

 

da Nel circolo dei pronomi (2003)

 

Io

 

io alle sei della sera
con un cero nella mano
lentamente nella mia stessa strada
cerco il dio senza faccia
giocatore instancabile nella scacchiera delle stelle
io graffiando l’alba
disegno un segno astratto
e me lo ruba il vento
io alle 11 della notte
con un filo sulla fronte
trasparente e agile
do le mie droghe di silenzio
e ingrosso il capitale del mio grido
io mi sommo all’altro io
mi metto le sue scarpe
leggo il manuale di diplomazie
mi addormento con l’altro
e mi risveglio senza nulla
mi stanco della mia sostanza d’ore
e spremo le mie economie di tempo

al di sotto dell’acqua
ride un cristallo rotto

io una somma di espropriazioni
un inventario inconcluso
un punto senza azione e voce
nel circolo dei pronomi
un naufragio di sorti e occasioni
con esibizioni balbettanti
un libro sulle spalle
un peso perpendicolare dal cielo
e un ragno che scende da un
filo nero per la schiena
impiccagioni di equilibri senza spazio
saette costipate dalle stimmate
età che consumano la mia età
in un piatto greco con salsa romana
bilance ebree magneti indigeni

questi baci
che corrono sulla tua schiena

io – andarmene io – venirmi
l’aria tiene armonie di spade
equidistanti distanze spogliate
perdute devoluzioni indolenti
cerimoniosi cervelli lontani
condizioni che mi condizionano
un giro bancario atemporale
con numeri stranieri
la parola è una gomma da masticare
quando perde la menta si sputa

raccoglimi nelle stagioni
del tuo fidanzamento

mi odo nelle cerbottane
là nelle absidi
arabesche decomposizioni
dove non giunge la mandragora
e il mio sogno si sveglia nel sonno

non guardarmi più
lascia il tuo seme nei miei occhi

io faccio fessure agli eroi
dipingo occhiali agli idoli
e so ridere le mie solitudini
davanti alla sconfitta ghiandolare di domani

portami nei tuoi velieri
sotto il santo e segno della tua notte

io rotondamente calendario
alveare di bronzo senza briglia
sboccato nel quotidiano
imboscato in braccia e riti

fissati nei miei sintomi
e infermami di più

io con le mie amare dogane
con le mie litanie sbadate

voglio tremare nel tuo grembo

io con i miei ancoraggi di mummia
nel caos della polvere e dello iodio

la tua memoria è una vetrina
dove misi un centrotavola

 

*

Testi tratti da Lettera all’indirizzo degli uccelli, di Carmen Naranjo, edizione italiana a cura di Tomaso Pieragnolo e Rosa Gallitelli (Edizioni dell’Orso 2023).

Carmen Naranjo (Costa Rica, Cartago, 1928 – Costa Rica, San José, 2012) è figura centrale nella storia letteraria costaricana. Scrittrice, diplomatica e attivista, ha lavorato per le Nazioni Unite, l’UNICEF e altre organizzazioni umanitarie, denunciando la deforestazione, la malnutrizione e lo sfruttamento che affliggono l’America Latina, e promuovendo i diritti dei poveri e delle donne. “Carmen Naranjo ha affondato la penna nella realtà, con rara capacità di suscitare stupore, empatia e compassione nei confronti dell’essere umano, restituendoci la fotografia interiore di un continente così grande da sembrare inconciliabile, così piccolo da sembrare un’isola.” (dall’introduzione)

Tomaso Pieragnolo vive da oltre trent’anni tra Italia e Costa Rica ed è traduttore e poeta; tra le sue raccolte di poesia, finaliste e vincitrici di premi nazionali, ricordiamo Portraits (Passigli 2022), Viaggio incolume (Passigli 2017), nuovomondo (Passigli 2010), L’oceano e altri giorni (Venezia 2005), Lettere lungo la strada (Venezia, 2002), Poesía escogida (Editorial de la Universidad de Costa Rica e Fundación Casa de Poesía, 2009). Dal 2007 traduce per la rivista Sagarana autori del Costa Rica inediti in Italia; tra di loro Eunice Odio, poi pubblicata in volume in Questo è il bosco e altre poesie (Via del Vento 2009) e Come le rose disordinando l’aria (Passigli 2015), con Rosa Gallitelli.

Rosa Gallitelli vive a Padova e dal 1992 tra Italia e Costa Rica, dove ha trascorso lunghi periodi a stretto contatto con le popolazioni native tra foresta vergine e Oceano Pacifico e cooperato a progetti di tutela del patrimonio naturale. Da questa esperienza discende la raccolta poetica Selva creatura leggera (Passigli 2015), Premio Nazionale di Letteratura Naturalistica Parco Majella 2023, Premio Minturnae 2016, finalista Premio Marineo e Morlupo 2016, selezione Premio Marazza 2016. Dal 2007 traduce con Tomaso Pieragnolo per la rivista Sagarana e per varie case editrici autori costaricani in anteprima italiana.

Lettera all’indirizzo degli uccelli è la prima opera di Carmen Naranjo pubblicata in Italia.

*

 

de Idioma del invierno (1971)

 

Llueve en esta ciudad
llueve… lluvia polvo envidia
llueve noches y días
llueve sonidos de otras lluvias

Pongo marfil y no va
en esta ciudad no hay marfil
pongo oro y no dice
en esta ciudad non hay oro
pongo plata y no rima
en esta ciudad no hay plata
pongo el idioma de la lluvia
agua aguacero aguazal
pongo paraguas y sombrillas
pongo garúa y llego a mi ciudad

Y no pongo nada
y lo quito todo
terrazas y luces
balcones y torres
y quedan las lluvias

Hoy llueve como siempre
desde tan temprano que no sé
cómo empezó a llover
quizás sea sólo una figura
de rituales grifos de agua
danzando en sonidos de gotas
ríos en ventanas y calles
ojos turbios detrás del alba
y el largo vitral del invierno
con verdes manos reumáticas

Del agua abstracta
alfombra de yerba
terraza de algas
salió este sueño
de cielos y barcas

Yo lluevo porque amo
lluevo vertical mi regreso
y no fecundo espigas
a veces lluevo palabrerías
cuando llover no puedo
tanta lluvia de tantas cosas
gotas y gotas de miseria
en la ceremonia del viaje
sobre la memoria del agua

 

*

 

 

de En el círculo de los pronombres (2003)

 

YO

yo a las seis de la tarde
con un cirio en la mano
lentamente en mi propia avenida
busco al dios sin cara
jugador incansable en el ajedrez de las estrellas
yo arañando el amanecer
dibujo un signo abstracto
y me lo roba el viento
yo a las 11 de la noche
con un hilo en la frente
transparente y ágil
doy mis drogas de silencio
y engroso el capital de mi grito
yo me sumo al otro yo
me pongo sus zapatos
leo el manual de diplomacias
me duermo con el otro
y me despierto sin nada
yo me canso de mi sustancia de horas
y estrujo mis economías de tiempo

debajo del agua
ríe un cristal roto

yo una suma de expropiaciones
un inventario inconcluso
un punto sin acción y voz
en el círculo de los pronombres
un naufragio de suertes y ocasiones
con exhibiciones tartamudas
un libro en la espalda
un peso perpendicular desde el cielo
y una araña bajando de un hilo
negro por el hombro
colgaduras de equilibrios sin espacio
saetas estreñidas por los estigmas
edades consumiendo mi edad
en un plato griego con salsa romana
balanzas hebreas imanes indígenas
esos besos
corriendo por tu espalda

yo – irme yo – venirme
armonía de espadas tiene el aire
equidistantes distancias desnudas
perdidas devoluciones indolentes
ceremoniosos cerebros lejanos
condiciones condicionándome
un giro bancario intemporal
con números extranjeros
la palabra es una goma de mascar
cuando pierde la menta se escupe

recogeme en las estaciones
de tu noviazgo

yo me oigo en las cerbatanas
allá en las ápsides
arabescas descomposiciones
donde no llega la mandrágora
y mi sueño despierta en el sueño

no me mirés más
dejá tu semilla en mis ojos

yo hago agujeros a los héroes
pinto anteojos a los ídolos
y sé reír mis soledades
frente a la derrota glandular de mañana

llevame en tus veleros
bajo el santo y seña de tu noche

yo redondamente calendario
panal de bronce sin bridas
desbocado en lo cotidiano
emboscado en brazas y ritos

fijate en mis síntomas y enfermame más

yo con mis amargas aduanas
con mis letanías majaderas

quiero temblar en tu regazo

yo con mis amarres de momia
en el caos del polvo y del yodo

tu memoria es un escaparate
donde puse un bibelot

 

*

 

 

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