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Fuori è un bel giorno di sole

di Roberto Addeo

con una introduzione di Antonio Spagnuolo

[Sul piano espressivo una frantumazione del reale, in cui si accumulano i simboli, le immagini, le folgorazioni, i germogli tratti dal subcosciente ed emergenti con una certa violenza, improvvisa e spesso affascinante. Il vissuto personale del poeta diventa il mormorio con voce pacata, morbida, suadente. “Annusa una disciplina” per comprendere tutto ciò che accade nella storia, qualcosa che attacca la corteccia nell’ansia di saziare il sogno, che civilmente si collega ad eventi imprevisti. Richiama alla ribalta personaggi che hanno lasciato un segno tra la cornice di un confronto o degli automatismi istintivi che riparano le crepe del conflitto. Roberto cuce e ricuce incandescenze adagiando il suo intimo sospiro allo sguardo dell’io teso verso il razionale, e governa le leggi del linguaggio con una maestria tutta personale, da scrittore avvezzo al colloquio, al confronto, all’immaginazione. A volte alla ricerca del motto filosofico, del dolciastro
imperscrutabile, dell’azzardo verso il dicibile, della rapacità memoriale, come un raffinato che vede la propria persona riflessa in uno specchio, che è verso la consunzione, come una campana lesionata che batte ancora i suoi colpi senza indugi.
Lavorare per la poesia è scavare nel patrimonio culturale, per cercare di aggregare sentimenti e fulminazioni, decantando emozioni e vincolandosi alle articolazioni linguistiche, nel tempo e nell’affanno. E la parola cerca di contenere il tutto, sufficiente a definire compiutamente la massa delle emozioni che un artista ha dentro. “oggi mi troveranno disponibile/ come il rasoio del barbiere/ sarà una cosa piacevole, altroché/ spalancherò le forze e ridurrò in granelle/ tutti i loro sottopancia/ stirpi di mezzi uomini che hanno fatto bingo/ il giorno in cui vennero al mondo/ mentre a me tocca la sorte del cane in chiesa/ il mio odio per loro è il lenzuolo di Laerto/ (Laerte o come si chiama)” Nella solitudine si insinua una luce solare che offre una euritmica musicalità dei nessi una combinazione che simboleggia il percorso di una via accidentata verso la ribellione per la sorte o le sorti che ci accompagnano. La rappresentazione del dolore, o dell’angoscia, anche se calati in una precisa realtà contingente, diventa molto efficace con la descrizione di scene esaltative, anche se sfiorando di sorpresa lo sfondo politico. Ad un tratto del libro la versificazione improvvisamente diviene quasi prosa, in pagine che hanno l’aspetto del racconto, introducendo avvenimenti o situazioni “nel breve tempo di uno specchietto acqueo” o per “una forza nell’imbastitura del ghiaccio”. Compare un certo De Girolamo senior che “faceva sul serio” tra magagne ed intrallazzi, realizzando una narrazione a saltelli nella quale si svincola una fusione di simbolo e mottetto. Non c’è confusione negli incarnati legata ai meri interessi di un elemento sociale, ma una consapevole identificazione del canto per esaltazione enfatica o retorica. “Anche se De Girolamo junior fu tra le grandi sorprese della mia vita,/ l’avevo sempre visto come uno di quelli che se la tirano e poi la sua voce/ in lega metallica credo per via dell’apparecchio non mi aiutava nella stima,/ e invece si dimostrò la personcina più attaccata e servizievole che ricordi,/ un’ora prima mi ero fermato sotto l’attaccapanni con la sorellina…” Descrizioni che accarezzano la semplicità tipica di tanta accortezza, che da concezionale si piega ad un brusco risveglio, rivelatore di un quotidiano tutto da scoprire. La fiducia accarezza quei momenti in cui traballa il senso di equilibrio, tale da esprimersi in pacate combustioni di accelerazione. Tutto ciò che in poesia è sospeso tra l’emozione e l’intesa di attualità, tra le compromissioni possibili del divenire e la sintesi di manifestazioni fenomenologiche, tra i moduli razionalizzati e la rappresentazione dello spirituale, si concentra con grande vigore nella disponibilità di dialogare con il lettore. Questi a sua volta ascolta e cerca di inseguire quelle emozioni che il verso riesce a suscitare. Snodo decisivo di questo linguaggio è, per Roberto Addeo, la capacità di modulare i limiti della chiarezza e l’eccezionalità delle variegate suggestioni, tra sezionamento sperimentale e autentica rilevanza di certezze da consolidare.

A.S.]

Testi scelti

può darsi che il peggio sia già caduto
il suo spirito ha gravato su così tante emersioni
specchiato in un cerchio d’acqua
mi disse che avrebbe ereditato il mondo reale
e con l’ombra delle braccia, coperto ogni sogno
che avremmo dissotterrato un cuore tra le ceneri della verità
e che il vuoto è un fermaglio dietro l’orlo degli occhi
per fissare a ogni palpebra la sua ciocca di pianto
quando le infezioni galleggiano sulla marea diurna
attirate dall’ossame della purezza
e i muri del silenzio crollano
cola da una spina, la dolcezza del mio sguardo
dalle stagioni di caccia, la sessualità del sangue
e nelle macchie di memoria, così piovo dal nulla
ho ingoiato tutto il fragore di una tragedia
e lo stesso stato d’animo che fa marcire questo Paese
faccio il bagno in una tomba calda e dopo
mi vestirò a lutto sotto mentite spoglie
l’occhio puntato agli stormi in lega metallica
che fanno da guida a ciascun petalo buio
– poi mirerò la mia ombra di stella mai sorta
so unificare gli spasimi tra i denti
e annodare piccioli di speranza con la lingua
non sono nato dagli stessi drappi
avvelenato dalle loro canzonette
mi dimeno come un selvaggio ferito
in cerimoniali di suppurazione
la voce sepolta nella fanghiglia, leso
da tanta comicità
tutte le regge guardinghe intorno
e tavole botaniche a biasimarmi
analizzo vecchie pellicole incatenato al sofà
mentre sgranocchio detriti d’infinito
fasciato dalla stessa caligine che ingrossa le velature
del mio percorso ciondolante sull’abisso
fino alla resa dei conti
più dolce di un tormento
meno dura della coscienza
nel bene dei defunti, tra le menzioni perdute
porterò in pugno una fiaccola e un piede di porco
una causa comune
e sottobraccio, la mia coda di lacrime
imparando che ogni passo
è calpestare un sogno altrui
e che le fronde sui tralci sapevano dirmi perché
le aspirazioni vengono giù così trasparenti
ebbro di carenze
abbraccio gli altri fra i bordi di questa lesione
nei reclusori illuminati da feste
e rituali in cui non sarò mai benvenuto
colmerò bocche di fascino agli schiavi più remissivi
berrò pioggia gialla da mani bucate
preda dei sobborghi non ancora smossi
e l’inganno originale
parlerà di me alla frescura di un desiderio mai patito
alle corolle di prestanze sciolte
alle luci oltre la catena dei tetti
canterà le mie ossa
alle parole rinvenute sotto un manto di foglie

* * *

la diceria che più circolava in città
era quella di una mia presunta relazione
con una girovaga di nome Antonellina
consacrata alle spade e nelle notti di magra
massaggiatrice per addetti ai servizi di pulizia
impiegai una cosa come tre secondi
per risalire alla foce delle maldicenze
vale a dire uno sconosciuto dagli occhi bellissimi
che possedeva un fabbricato in riva al Trasimeno
il padre insegnante in diciassette corsi a ciclo unico
e che prima d’incontrarmi aveva avuto occhi bellissimi
nei giorni seguenti m’incaponii nella scrittura isterica
di un tomo da trecento e passa cartelle a duplice spazio
che una sera finì per sfuggirmi dalle dita
l’ho ritrovato un anno e mezzo fa tra i medicinali di Antonellina
e dopo averle chiesto cosa ne avesse fatto
capii che la sua calma non doveva essere solo il prodotto
della combustione di quei momenti, ma anche la fiducia
di persuadermi a non fare più cose del genere

* * *

benedici il sangue
che non hai perso.
bacia la bocca
che non ti risponde.
hai dato poco.
avuto meno.
traccia un lampo
sulla parete
che la tua vista
possa seguire
e chiamarlo subito
destino.
non hai amici
ma conosci un dolore.
non dare consigli
ma fa’ che le tue orme
brillino
come stelle polari.
benedici ogni lacrima
venuta giù
per dissetare
la tua natura
e offrire al tuo viso
la carezza
delle nubi.
benedici gli sguardi
che ti hanno scusato

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Daniele Ventre (Napoli, 19 maggio 1974) insegna lingue classiche nei licei ed è autore di una traduzione isometra dell'Iliade, pubblicata nel 2010 per i tipi della casa editrice Mesogea (Messina).
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