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La follia dei numeri #2

di Antonio Sparzani

Un buon numero di “radici” poco matematiche

La follia dei numeri, frutto forse dei deliri o forse delle intelligenze dei matematici, non è certo tutta qui. Perché una volta che si è capito che esistono – sempre in quel senso speciale del verbo “esistere” – dei numeri decimali che hanno infinite cifre non nulle dopo la virgola, che però hanno la caratteristica che la parte dopo la virgola è formata, da un certo punto in poi, solo da gruppetti ripetitivi di cifre, cioè i numeri decimali periodici, la domanda che arriva ovvia è: ma se io scrivo un numero decimale che ha dopo la virgola infinite cifre senza alcun gruppetto che si ripeta, cosa ottengo? Intanto ho fatto male a dire “scrivo” perché nessuno al mondo è in grado di far ciò; diciamo invece “penso”? Peggio ancora, come faccio a pensare infinite cifre, neppure Zeus Olimpio ne sarebbe stato capace, e allora? Perché ci sembrava possibile pensare a un numero decimale infinito periodico? Perché sapevamo la regoletta per andare avanti, bastava continuare a ripetere lo stesso gruppetto di cifre. E allora anche qua: se conosco una regoletta che mi permette di andare avanti all’infinito perché mi spiega come calcolare in ogni punto la cifra successiva, allora posso dire di conoscere il numero almeno nello stesso senso in cui conoscevo quelli periodici. Certo, ma ci sono delle regolette così? Ebbene sì che ci sono, soprattutto una, una di quelle che avete imparato alle medie e che avete subito dimenticato: la famosa estrazione di radice quadrata √ . Come mai è saltata fuori quest’altra operazione di “radice quadrata”? Tutta colpa di Pitagora.

Dico subito che non intendo impelagarmi nella faccenda del teorema di Pitagora, sul quale fiumi d’inchiostro sono stati spesi, se qualcuno è interessato si legga ad esempio il bel libro di Paolo Zellini, Il teorema di Pitagora, Adelphi 2023 e si ascolti su youtube una sua bella lezione qui . Aggiungerò solo che la storia di questo teorema e di problemi simili, comprende antichi testi babilonesi, indiani (vedici), cinesi ed egiziani nel I° millennio prima di Cristo (Pitagora, che in greco ha l’accento sulla “o”, visse nel VI° secolo a.C.).
Forse l’enunciato del teorema non l’avete tutti dimenticato perché rimane impresso più facilmente, essendo legato ad una figura geometrica semplice: il triangolo rettangolo, ovvero che ha un angolo retto. Ricorderete che il suo lato più lungo (quello opposto all’angolo retto) viene chiamato ipotenusa e che gli altri due vengono detti cateti. Bene, il teorema dice che l’area del quadrato costruito sull’ipotenusa è equivalente alla somma delle aree dei due quadrati costruiti sui cateti, Se chiamiamo a e b le misure dei cateti (in una qualsiasi unità di misura di lunghezza) e c la misura dell’ipotenusa, il teorema assicura che a^2 + b^2 = c^2. E allora, se conosco le misure a e b dei cateti e voglio conoscere quanto misura l’ipotenusa, devo eseguire il quadrato di a e di b, facile, poi sommare i due quadrati, facile, e così ottengo c^2, ma poi? Facile? No certo. Devo trovare un numero il cui quadrato conosco. Cioè devo eseguire l’operazione inversa dell’elevamento al quadrato. Se il numero di partenza è un numero speciale, tipo 1, 4, 9, 64, e infiniti altri, allora è facile, come credo tutti vediate, ma se il numero da cui parto è 2? Per esempio se i due cateti misurano entrambi 1, la somma dei loro quadrati è 2 e non conosco alcun numero che abbia come quadrato 2; e allora si sarà trovata la famosa regoletta di cui dicevo, che permette di ottenere cosa? Permette di costruire, passo passo, un numero decimale il cui quadrato si avvicina sempre più a 2. Così come, quando volevo dividere 1 per 3 ottenevo 0,3333. . ., cioè dei numeri che, moltiplicati per 3 davano 0,9 , 0,99 , 0,999 , 0,9999 , che si avvicinavano a 1 ancorché senza mai raggiungerlo davvero.
Forse Aristotele avrebbe detto che questa è una conoscenza del numero non in atto ma in potenza? Non so, meglio chiedere a un esperto aristotelico.
Questo numero il cui quadrato è 2 si chiama la radice o, più precisamente, la radice quadrata di 2; e conosciamo la regoletta per calcolarlo, sì, per calcolare cosa esattamente? Per calcolare una fila – si dice una successione – di numeri i cui quadrati si avvicinano quanto si vuole a 2. Dunque anche qui: la nostra conoscenza della radice quadrata di 2 consiste esattamente in un modo per andarle vicino quanto si vuole. Cosa significa esattamente “quanto si vuole”? Significa che, se immaginate un numerino piccolo ad arbitrio, del tipo 0,0000001, chiamatelo ε come spesso si fa in matematica, allora se andate abbastanza avanti nel calcolo con la regoletta, arrivate certamente a un numero n il cui quadrato differisce da 2 per meno di ε. E così tutti quelli che vengono dopo n: si avvicinano finché si vuole. Si scrive bellamente √(2). E dico “bellamente” perché la nostra conoscenza è quella che avete capito: astrattamente la radice esiste perché noi decretiamo che siano numeri reali tutti i numeri che si possano scrivere anche con un numero infinito di cifre dopo la virgola, anche se nessuno lo può “vedere” o “pensare” tutto in una volta. E, qui viene un punto importante, questo numero certamente non è periodico, perché se fosse tale, allora ci sarebbe una frazione che lo rappresenta (la ricordata frazione generatrice) e si dimostra in due righe che la radice di due non può essere messo sotto forma di frazione (se qualcuno/a mi chiede la dimostrazione gliela metto in un commento). Dunque non è un numero razionale, e quindi lo chiamiamo irrazionale. Che sembra paradossale, ma il punto è che i numeri razionali si chiamano così, non perché ubbidiscono alla ragione, ma proprio perché possono essere messi sotto forma di frazione (ratio), e quindi per questo tutti gli altri devono esser chiamati irrazionali.
Dove siamo arrivati con la follia dei numeri: siamo arrivati a costruire una classe di numeri che sembra li contenga tutti, visto che possiamo scrivere un numero qualsiasi di cifre prima della virgola e una successione qualsiasi di cifre dopo la virgola, anche una qualsiasi successione infinita, cosa vogliamo di più folle ancora? Non si sa mai, vedremo.

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3 Commenti

  1. A Ippaso è costata cara la scoperta dell’incommensurabile. Ma poi, ok, è un infinito, manco fossero due o tre infiniti.

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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