Ciclo delle arche
di Danilo Paris,
da “ciclo delle arche”, in “filogrammi della segnatura”
SHIBBOLETH
Partitura a tre voci per presepe inaugurale di corpi fragili
Yeghbayr:
A colonia ed approdo
era di Gihon in fessura
il tendaggio a silicio
erbio e tessitura.
Dhorani:
In via di mercato e di fogge,
tra urne stipate
a gessi e cianosi,
a viburno e elleboro,
lì, a indicarvi,
in segno e di nulla,
inno e cero
e dea che affoga,
crepammo nelle carceri,
ci impressero le diaspore
a Sindone di catrame,
smalto
e piombo decaduto.
Rhosani:
Dov’era il resto, di conce e fibrina?
Dov’era pioggia e foce e nahar ar yarmuch?
Yeghbayr:
La prima dei mhyr
le trasse alle reti
a breccia e coccio
ad unghia e plasma
a striscia e Shibh Jazīrat
Dhorani:
E lì, nel nodo, era il filo,
lo sfilò dalle sue dita
E lì era il figlio
a fiocco di nitrati
e segnatura.
Rhosani:
La traccia si sformava
a gocce
ed erano una e l’altra,
il suo e del suo,
dell’altro,
infilati nel boccio
Yeghbahir:
Si scucì il rammendo dei loro passi
e dei suoi uadi
stremati sui carsi.
Rhosani::
E il terzo filava
lungo le assi
e saggiava la cornice
e allungò la mano
Là, più sotto,
lungo il fosso scorticato e il Wadi Rum
e il petroglifo della volpe
rossa,
a grappoli ed ammonium,
a filogramma e stenti
a sasso, spica
ortica e Shibboleth
Dhorani:
la falda brucava
sotto la steppa,
Tiberiade
alzava la placca,
“getta le reti,
verranno alla barca”
diceva, impregna l’ordito
continua
sotto il banco il suo corso
nel flusso.
La mia vita è esitazione prima della nascita, Veronica Neri, in Il germe sepolto, a cura di Ilaria Monti, in spazio-arca IV
Shekhinah
Chiesa di S.Lucia
In Agalma, spazio-arca IV, a cura di Chiara Gerpini: 1.2. “War updates from 20 May 22”, cucitura della “Shekhinah” , dimora-tenda, con brandelli pitturati frames estratti da video-amatoriali di soldati nella guerra ucraino-russo, e meccanismo mobile con brandelli appesi per ucceli, installazione di Giampaolo Parrilla; 3. Ornitomanzia, proiezione di video-saggi sulla “fisica della complessità”(Giorgio Parisi) attraverso uno studio sui movimenti degli stormi.
Tra boro e argilla
veniva il deserto
e fumo
e la mappa dei loro tragitti
stava lì sotto, tutta in pezzi
e La riva,
spiantata nella rena,
E la griffa delle bozze che si svia
L’una sull’altra
E Smacchia a miche di granaglia i paralleli
Li sgrava dall’appunto
Li tuffa a sepolcro di gesso.
“Qui”, pensavo “Il banco non s’attacca alla goccia
Si sterra invece a corolla di trasloco”
Qui, Yeghbayr
grattò via dal bozzolo
foraggio e mietitura per commiato”
Mi arrampicai.
La foce in grafite
Sbozzava il midollo all’insù
E in fondo alla crepa, in alto
S’apriva lo sbuffo
a nitrato ed ammonio;
E a niobio e tecnezio
l’idioma del trasloco
sanciva il suo sintagma
a frane e scottature.
Grattavo
e mi scorticai le dita a forza di grattare
e la placca, venendo via, mi schizzava il berillio negli occhi
E nel buio
sotto il manto
veniva la brina
da squarcio
e ossidava il rostro nel soffio
e mi forava la vista,
e mi seccava la lingua
e seccava infine l’estuario dell’engramma.
E allora lo sentii
Tra le dita screpolate
e sugli apici smarchiati della polpa
il filo,
il filo sgocciato a xeno e cianuro di metile,
il filo di Mysiats e Dhorani,
mi stava tra le mani il filogramma degli stenti
mi stava tra le mani il plasma a generazioni e gemelli
mi stavano i mhyr in breccia
crepata tra le unghie
e sgusciavano dalle pance per consegnarsi ai torrenti
E fu per mia colpa che lo fecero.
Tante volte avevo ritrovato il filo.
E tante volte lo staccai.
Invece.
Tirai il filo e
dentro
la sacca
di guscio e corallo
si sbucciò
la scorza.
Annegai. Nel cerio e nel lantanio.
Nel mondo, sopra la crosta, non era più il mondo.
Era l’aria.
E l’aria era acciaio e silicio.
Come la terra.
E calotta esarava a crepacci e morene
e ovunque cianosi cuoceva a neotimio e samario
l’embrione in bitume di gelo
Più salivo…e più morivo.
Più vedevo la luce e più diventavo cieco.
Cesio e iodio mi spaccarono i polmoni.
Io ricordo il primo a cui mancò l’aria.
Fui io a togliergliela.
A me…il tetracloruro mi strappò via la pelle.
Il candio e l’irmio mi sformarono le ossa.
Antimonio e palladio mi colarono via l’ultima volta che vidi…mia madre.
Annegavo…e…sì…
Morivo…finalmente. O forse dormivo…o forse… volavo…si…
sentivo sulla schiena una fitta e poi…
due, tre…forse…
cinque tronchi di faggio…
mi spezzarono le costole, mi torsero le braccia, bruciarono gli ultimi tessuti
Non avevo più occhi, ma vedevo…
né avevo più bocca, ma sentivo per la prima volta la mia voce.
“Nell’aria
lì sta la tua radice”, mi disse a un certo punto.
E la seguii.
“Che cosa?” …chiesi…Io…io non ho radici, dissi.
Io sono l’estirpato.
Io sono il sangue svasato via dalla sua goccia.
Io sono Caino.
Nell’aria…Qayin…vieni nell’aria…vieni…mi disse…
e io non pensavo più, dopo tanto tempo…
e la seguii… tra spifferi cadenze.
Ero a casa.
Shamayīm …mi apriva tra le sue piume…
raqia mi accarezzò la fronte
Rafi era fresca…mi cadeva sulle spalle.
Qaydum era calda…mi teneva tra le sue braccia.
Marum era la sua voce…era come la ricordavo. Ed era bella.
Arfalun erano le sue dita…quando la conoscevo appena.
Hay’oun era il suo pensiero…quando la sera mi raccontava una storia, prima di addormentarmi.
Arous erano i suoi occhi…prima ancora che nascessi.
Ajma’ , invece, era la sua pancia, quando dormivo e…sognavo.
Miʿrāj, invece,
mi sussurrò qualcosa all’orecchio.
“Che cosa? Che cosa dici…”
Mio fratello
erano i miei fratelli
andavamo da qualche parte
ma non saprei dire dove
che cosa stavano dicendo
che cosa stavano-
Cantano gli uccelli
Postilla dell’airone:
Il bendaggio suturó il solco
e l’acheno forato nel frutto
aprì la goccia di cianuro
e il raso bianco della morella
si sfilò dal filogramma di metile,
si tolse via la segnatura dal becco,
il fororácide si schiuse via dalla corolla
e l’eocene sgonfiò ancora,
dalla spugna
la sua piuma dalle conce.
Cripta S.Lucia, “Passaggio di figura nel bianco”, Luca Grossi, in Il germe sepolto, a cura di Ilaria Monti per Spazio arca IV