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Monologo bellico

di Daniele Muriano

Mi chiamo Aria, e sono una bomba. E che bomba… Non però in senso volgare, no. Io sono una bomba: lucida, tornita e inossidabile. Insomma, esplodo. Come posso avere una coscienza? Non lo so. Chiedetelo ai miei inventori. Mi avranno insufflato un’intelligenza artificiale, o un soufflé d’intelligenza alla vaniglia, non lo so. Questi tempi sono avanzatissimi. Anche le bombe hanno autocoscienza. Uccidono e, senza rimedio, soffrono per il loro destino. Ovviamente non possono soffrire dopo essere esplose, perché le bombe sono mortali (in un senso e nell’altro). Ma nel mentre, eccome se si struggono. “Si struggono e distruggono”, potrebbe essere lo slogan inventato da uno stupido.

Sia chiaro: non hanno colpa. Sono proprietà di chi le guida. Sono molto in breve, schiave. E no, carini: non chiamatemi bomba intelligente. Ché tra noi bombe, è un insulto. Al massimo, bomba autocosciente. O se preferite il nome proprio rispetto a quello generico, Aria. Chi mi ha battezzato con questo nome arioso? Forse l’aria stessa mi ha dato il nome di Aria. Infatti la sto attraversando. Sto brucando l’aria, come una mucca grigia che sfiora i prati del paradiso. Il brutto è che precipito, cioè mi precipito sull’obiettivo. Certo, lui per me è un semplice numero. L’obiettivo è un ammasso di coordinate precisissime. Non lo conosco, però. E se volete proprio saperlo, non lo conoscerò. Visto che esploderò al contatto con lui. Poi diranno di me che sono un mostro. Un ordigno senza cuore. È vero, purtroppo. Perché di cuore, no! non se ne parla.

Ma ho un naso, signori. Ed è piuttosto lungo. Con il mio naso buco l’azzurro dei cieli, attraverso questo orizzonte ingiusto. È un naso insensibile, che sente solo sé stesso. Ma è. Ho da lamentarmi? Forse. Ci sono però bombe peggiori, dalla vita assolutamente più corta. E poi, i miei circuiti mi impediscono di lamentarmi.

Cosa volete? Ammazzerò qualcuno, forse molti. Pioverò sul settimo piano di un palazzotto, sventrerò un tetto sotto il quale un ometto panciuto sta defecando in tranquillità, farò a pezzi le mattonelle del bagno, attraverserò in frantumi la tromba dell’ascensore mentre il signor palazzo si aprirà in tutte le direzioni come un animale squartato. Questo fatto è prevedibile. La mia intelligenza può quasi toccarlo. Eppure, io non so niente. Come dicevo, non conosco il mio obiettivo. Che è quasi Dio. Sì, credo che l’essere umano abbia il medesimo rapporto con l’essere divino. Dio è inconoscibile, e l’uomo può toccarlo davvero solo grazie alla morte. Non so però se ha senso divinizzare troppo il mio obiettivo, visto che – nella sua abissale passività – non ha alcun potere. Inoltre, verrà distrutto. È forse pensabile un dio che sta per essere fatto a pezzi? No, tutta questa metafora farcita di crema metafisica non tiene. L’obiettivo non è Dio.

Ci sono invece gli ingredienti affinché io sia buddista. Come può diversamente una bomba sopportare il suo destino infame? Del resto, la bomba è passiva. Deve lasciarsi andare, essere impermeabile a ogni sentimento terrestre, lasciarsi attraversare insomma dall’aria. Deve rinnegare le pulsioni, o soffrirebbe per la propria impotenza.

Invece io voglio vivere, amare, odiare, sopportare, contare le pecore nel pensiero prima di addormentarmi. Voglio subire la forza del caso, come tutti.

Pare che io abbia la fortuna degli uccelli. Sto attraversando questo abisso al contrario, sto volando in picchiata. E sono un essere potentissimo. Mi temono tutti. E avete notato quanto sono intelligente. Non sarò forse un dio? Probabilmente ho guardato lontano da me solo per modestia, mentre la grandezza era in direzione contraria, dentro di me. Mi sto sottovalutando. Come bomba, almeno posso vantarmi di essere il dio della morte. Meglio certo dell’ometto panciuto in defecazione che forse ucciderò. Meglio di te, umano, che pensi di essermi superiore perché non sei stato lanciato, e perché non sei stato direzionato da qualcun altro, perché non soffri il costante allontanamento dalle stelle. Ma pensaci. Sei sicuro fino in fondo di non essere stato lanciato, e poi direzionato, e di non soffrire ora questa sempre più grande lontananza dalle stelle? Lo so, lo so: pensi che sono disperato, che sono maniacale perché mi sto avvicinando alla morte mentre plano verso l’obiettivo, e che tutto sommato una bomba è una bomba. Ha una natura, per così dire. “Ecco, io pensavo che fosse una bomba buona, e invece abbiamo qui la solita bomba” pensi. E io dico razzista! Bombofobo! Mostro antropocentrico!

No, scusa. Era solo un test. Volevo valutare la tua pazienza e la tua attenzione. Visto che sei ancora qui, hai sicuramente passato il test. Allora possiamo essere amici. Certo, per il tempo che mi rimane. Quanti secondi mancano al grande schianto? 25… 24… Pensaci, però: credi sia bene provare a instaurare un’amicizia, o anche solo una minima conoscenza, con un essere intelligente che sta per finire la propria vita? Ti avviso: potresti soffrire. 21… Superato questo vile ostacolo, pensa anche al dopo: sarai diventato un amico, o un conoscente minimo (= coinvolgimento emotivo, un pochetto, dai!) di un essere intelligente che sta per ammazzare un gran numero di persone. Un ordigno, come mi chiamano i burocrati. Una bomba, come mi chiama la gente. Aria, come solo tu puoi chiamarmi, segno inestimabile di confidenza.

So anche che, con il passare del tempo, e ora siamo a 12… 11…, speri che lo schianto arrivi presto, perché la tua voglia di ascoltare una bomba sta cadendo in picchiata insieme a me. Ti sono scomodo, vero? “Basta” stai pensando, “schiantati!”

Eh, ma non ci pensi a quelli che si trovano a 3 secondi da me? 2… 1… Va bene, sono stato forse troppo manipolatorio nei tuoi confronti, non è giusto. Sto per esplodere sul tetto di una scuola elementare piena di bambini. Avrei voluto più tempo, vedi, perché ti ho mentito. Soprattutto sul dato più importante, sul particolare più bollente. Sulla sfumatura che cambia le cose…

C’entrano Dio, il senso della vita, le crepe sentimentali di cui siamo fatti. La verità è che, da dove vengo, nell’alto dei cieli, abbiamo coltivato un germe di sa.

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2 Commenti

  1. Grazie. Ci voleva.
    Una bomba non sa nulla, ma sa, forse qualcosa o tutto, chi l’ha progettata, bella aerodinamica asciutta che sfili scivoli e scorra veloce tra gli elementi come quella cosa che ancora respiriamo, detta aria, e infine scoppi, tanto neutrale, quasi spirituale e incolpevole. È soltanto una bomba in fin dei conti…

  2. Gentile Mario, grazie per la lettura e la condivisione. È proprio vero, le bombe non sanno niente. Mi è sembrato un pretesto sufficientemente straniante per – come si dice – dare la parola alle armi. Letteralmente.
    Quanto poco serio ci appare oggi questo modo di dire? Così ho provato a prenderlo sul serio, ecco.

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Giorgio Mascitelli
Giorgio Mascitelli ha pubblicato due romanzi Nel silenzio delle merci (1996) e L’arte della capriola (1999), e le raccolte di racconti Catastrofi d’assestamento (2011) e Notturno buffo ( 2017) oltre a numerosi articoli e racconti su varie riviste letterarie e culturali. Un racconto è apparso su volume autonomo con il titolo Piove sempre sul bagnato (2008). Nel 2006 ha vinto al Napoli Comicon il premio Micheluzzi per la migliore sceneggiatura per il libro a fumetti Una lacrima sul viso con disegni di Lorenzo Sartori. E’ stato redattore di alfapiù, supplemento in rete di Alfabeta2, e attualmente del blog letterario nazioneindiana.
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