Cento di questi anni Lisetta Carmi

di Anna Toscano

Foto tratta da Con amore e con amicizia. Lisetta Carmi di Anna Toscano, Electa, pagg. 2-3, Foto Giovanni Battista Martini, courtesy Martini& Ronchetti, Archivio Lisetta Carmi

Per ricordare il centenario della nascita di Lisetta Carmi ho provato ad andare con la memoria al tempo trascorso insieme, lei non c’era già più, novantottenne aveva lasciato il cielo con le nuvole veloci dietro di lei a Cisternino e tutto il resto di questo mondo. Ci siamo frequentate nell’autunno e nell’inverno di quell’anno, il 2022, più che altro ho passato quel periodo della mia vita a parlare con Lisetta Carmi: è stata una conversazione particolare perché io parlavo a lei e lei parlava a tutti, ma rispondendo alle mie domande, alle mie curiosità, non è stato così facile, ho dovuto suonare forte. Ho suonato forte a diverse biblioteche, ho viaggiato nelle librerie antiquarie, sono rimasta ore incantata davanti al suo volto al monitor.

In quel periodo poche delle sue pubblicazioni erano in commercio – oggi c’è qualche riedizione – e tra le introvabili, tra quelle che negli anni non avevo ancora portato a casa, molte sorprese mi aspettavano. Io cercavo la vita della pianista Carmi, della fotografa Carmi, della fondatrice del primo ashram in Italia, cercavo musica, immagini, e ho trovato moltissime parole. Nelle biblioteche più incredibili nell’inverno del 2022, coperta sulle gambe e thermos caldo poggiato a terra, ho scoperto che tutto quello che sapevo dopo anni di pedinamenti delle esposizioni di Carmi non era ancora nulla di fronte a quello che stavo scoprendo. Che tutti i libri, quasi sempre cataloghi di sue mostre o all’interno di altre mostre, erano corredati da molti apparati testuali di suo pugno: parole. Anche il libro che conoscono tutti, “I travestiti”, dell’inizio degli anni ’70, è pieno di parole – su carta leggera rosa – sue, di altri, frutto di interviste: parole. Dire. Tutte le interviste reperibili online, compresi i corti, lei dice, parla: parole.

Alle domande che le rivolgevo, sfogliando cataloghi e saggi, guardando documentari, sostando davanti a immagini, lei rispondeva con le sue parole stampate accanto alle sue fotografie. E parlava, parlava della sua immensa vita divisa in molte vite: Babaji fece un disegno per lei in India, disegnò una faccia, poi una seconda faccia, poi una terza, una quarta faccia, un fior di loto e poi una quinta faccia e le disse che avrebbe avuto cinque vite. E così è stato. Cinque vite riunite in una lunghissima vita, riunite da cosa? Dagli occhi, dalle mani e dal cuore.

Sono stati gli occhi, le mani e il cuore a portare Lisetta nella sua prima vita di pianista e concertista, una vita iniziata molto giovane in compagnia di pianoforte e spartiti. Uno studio pieno di dedizione per Lisetta bambina, nata nel ’24 del secolo scorso da una famiglia ebrea a Genova, un amore per gli altri e le altre, per la vita, spezzata a quattordici anni quando a causa delle leggi razziali le viene impedito di frequentare la scuola. Una dedizione e una passione che la vede giovanissima attraversare a piedi di notte, la luna in cielo, raccontano le sue parole, il confine con la Svizzera in fuga dai rastrellamenti: una mano nella mano della madre e gli spartiti di Bach sotto il braccio. Il ritorno a Genova è un primo piano su Lisetta che angosciata assiste a quel che è rimasto, a chi non è tornato, a come è tornato chi è tornato, a chi non tornerà più.

Riprende i suoi studi e inizia la sua carriera di concertista, la distanza che la separa dalle altre persone è ancora quella distanza che l’allontanamento dalla scuola le ha inferto. A Genova il mese di giugno del 1960 è un mese di scontri e manifestazioni, in trentamila aderiscono a uno sciopero generale contro il congresso nazionale del Movimento Sociale Italiano e Lisetta decide di unirsi ai portuali nelle manifestazioni. Stare con la gente, in mezzo alle persone, fare per l’umanità quello che in tempo di guerra non ha potuto fare: esserci. Il suo maestro le consiglia di non scendere in piazza, di non andare, di preservarsi le mani così importanti; la risposta di Carmi è la frase che parla di lei più di ogni altra: “Ricordo benissimo di avergli risposto che se le mie mani erano molto più importanti del resto dell’umanità allora avrei smesso di suonare il pianoforte”. Smette.

Con la stessa passione e disciplina, con mani cuore e occhi, avrà da questo momento tra le mani una macchina fotografica. Inizia da autodidatta, compra un manuale e segue un corso per stampare ed esce, esce tra la gente. Per oltre cinque anni frequenta le case dei travestiti nei carruggi a Genova, i luoghi, i tempi, le persone delle canzoni di De Andrè; fotografa i lavoratori del porto, i camalli, sta con loro, frequenta il porto mercantile; i reparti dell’ospedale, tra cui la sala parto; gli operai siderurgici; i teatri; le genti della Sicilia e della Sardegna; e poi fuori, il mondo.

Con la macchina fotografica Lisetta Carmi entra nella sua seconda vita, quella in cui va incontro alle altre, agli altri: mani, occhi e cuore che si muovono insieme per pigiare il pulsante di scatto davanti a donne, molte donne, bambini, operai, contadini, braccianti, tutta una umanità emarginata e senza voce a cui Carmi decide di dare voce. Ogni lavoro fotografico, ogni reportage, non è un lavoro che porta avanti per il denaro o per il successo, ma per capire, per conoscere e dare voce agli ultimi. Il libro “I travestiti”, nella rarissima edizione del 1972, è un fiasco di vendite, le librerie lo tengono nascosto, pochi ne parlano, ma gli addetti ai lavori ne capiscono l’enorme valore: Lisetta Carmi, con decine di anni di anticipo sui tempi, già lavora a progetti che documentano dall’interno la vita di comunità – quelli che dal Duemila chiamiamo “Long time project”- in cui lei non è semplice spettatrice ma entra a farne parte.

Non cerca lo scoop – che avrebbe potuto fare il giorno dopo il capodanno del ‘65 trascorso nella casa di alcuni travestiti – né vuole diventare famosa o sentirsi dire quanto fosse brava, le interessa capire gli altri e le altre, stare in mezzo a loro. Non le interessa la fotografia perfetta, esteticamente impeccabile, il suo lavoro è anche l’immagine sporca ma che dice, racconta, perché lei costruisce un discorso, costruisce percorsi narrativi democratici, dove nessuno scatto predomina sugli altri, in primo piano, ma ognuno è una parte di un discorso narrativo per immagini. Se ci si pensa non c’è uno scatto che rappresenti tutto il lavoro di Carmi, perché tutti concorrono insieme a un progetto che è durato quasi vent’anni, la sua seconda vita.

La terza vita è l’incontro con Babaji, nel 1976, e la svolta: Lisetta non ha più bisogno dell’apparecchiatura fotografica per stare con le persone. Fa costruire e dirige per due decenni il primo ashram d’Occidente, a Cisternino, come lo stesso Babaji le ha indicato: questa terza vita è interamente dedicata agli altri, ad aiutarli. In un’intervista dice che quelli che non ce la facevano a San Patrignano arrivavano da lei: di nuovo al servizio degli ultimi. Quando lascia la direzione dell’ashram, ma continua a viverci e a farne parte, fonda “La voce di Cisternino”, un periodico semestrale che attraverso la parola scritta la porta a riavvolgere presente e memoria.

Ma dietro la porta c’è un’altra vita e con essa il ritorno alla musica: incontra Paolo Ferrari che da bambino era stato un suo allievo di pianoforte a Genova e ora a Milano dirige il Centro Studi Assenza. Questo incontro porta Lisetta al pianoforte, ne compra uno nel 1994, a studiare nuovamente, suonare e studiare la musica dell’assenza. Dopo alcuni anni conclude questa esperienza e questa vita e ne inizia un’altra: a una mostra incontra il fotografo Uliano Lucas con il quale inizia un fitto dialogo sulla fotografia, così intenso da spronarla a rimettere mano al suo archivio, ai negativi, con un lavoro di catalogazione grandissimo. Grazie a questo lavoro di archiviazione nasce un nuovo interesse per l’opera di Carmi, mostre a lei dedicate sono sempre più frequenti.

Le cinque vite e un fior di loto. Dov’è il fior di loto disegnato per lei da Babaji? Forse è lì, tra i pennelli e le chine con cui Lisetta pratica la calligrafia cinese negli ultimi anni della sua vita, la sua nuova scrittura, le sue nuove parole.

A un certo punto Lisetta Carmi scompare dai tetti di Cisternino, dalle scale che la conducono al primo piano della sua casa sulla cui porta c’è un cartello con scritto “Suonare forte”, ma rimane nella sua infinita vita aperta a tutti, e la possiamo trovare tra le sue fotografie, nelle sue parole, nei suoi libri. Perché lei, a cento anni dalla sua nascita, è qui sempre con gli occhi, le mani, il cuore, per i cari altri e le care altre.

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Vivo e lavoro a Roma. Libri: Lettere a una fanciulla che non risponde (romanzo, Bompiani, 2024), Qualcosa sulla terra (racconto, Industria&Letteratura, 2022), Storia aperta (romanzo, Bompiani, 2021), L'isola di Kalief (con Mara Cerri, Orecchio Acerbo 2021), Il regno dei fossili (romanzo, il Saggiatore 2019), Mio padre la rivoluzione (racconti, minimum fax 2017. Premio Campiello-Selezione giuria dei Letterati 2018), Stati di grazia (romanzo, il Saggiatore 2014), Città distrutte. Sei biografie infedeli (racconti, Gaffi 2012. Nuova edizione: il Saggiatore 2018. Premio SuperMondello e Mondello Opera Italiana 2012).   Testi inviati per la pubblicazione su Nazione Indiana: scrivetemi a d.orecchio.nazioneindiana@gmail.com. Non sono un editor e svolgo qui un'attività, per così dire, di "volontariato culturale". Provo a leggere tutto il materiale che mi arriva, ma deve essere inedito, salvo eccezioni motivate. I testi che mi piacciono li pubblico, avvisando in anticipo l'autore. Riguardo ai testi che non pubblico: non sono in grado di rispondere per mail, mi dispiace. Mi raccomando, non offendetevi. Il mio giudizio, positivo o negativo che sia, è strettamente personale e non professionale.
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