“Vittime senza giustizia, almeno la memoria” di Anna Paola Moretti
di Orsola Puecher
Anna Paola Moretti, storica della memoria e della deportazione femminile, [⇨ Considerate che avevo quindici anni. Il diario della prigionia di Magda Minciotti tra resistenza e deportazione, ed. affinità elettive 2017], in questa nuova indagine Vittime senza giustizia, almeno la memoria Angela Lazzarini e Virginia Longhi fucilate dai fascisti nel Montefeltro del 1944 ricostruisce con la consueta accuratezza, fra documenti, archivi e ricerca di testimonianze sul campo, la vicenda di due giovani donne martiri del nazifascismo nel pesarese: Angela Lazzarini a Macerata Feltria e Virginia Longhi a Pennabilli.
Vicende piccole, fra le moltissime poco note, per anni travisate e dimenticate, ma che contribuiscono proprio per questa capillarità con ancora maggiore forza a sfatare quella trita, millantata e pretesa differenza fra il fascismo degli “italiani brava gente” e il nazismo “male assoluto”, che ancora inquina la storia e la politica italiana. E che impedisce, quasi con un sussulto genetico che blocca in una smorfia di pietra l’apparato fonatorio, agli attuali governanti di destra di riuscire a dichiararsi antifascisti. Nel limitarsi a condannare le leggi razziali e il nazismo c’è un’antica ipocrisia, una mancanza irrimediabile ma voluta di diffusione della conoscenza della storia di una dittatura, il fascismo, altrettanto feroce e disumana di quella nazista.
Nel 1944 arriva sull’Appennino tosco-marchigiano la Legione Tagliamento, comandata dal Colonnello Merico Zuccari, che opera tra la provincia di Arezzo e quella di Pesaro, per coadiuvare lo schieramento tedesco nelle fortificazioni di quel tratto di Linea Gotica in cui continue erano le continue diserzioni dei lavoratori coatti e il sabotaggio dei partigiani.
Furono assassinati renitenti alla leva, disertori dalle milizie fasciste, operai che avevano disertato il lavoro alla Todt, partigiani, sospetti partigiani. Nel Montefeltro fucilò anche due donne: Angela Lazzarini a Macerata Feltria e Virginia Longhi a Pennabilli.
Costituito su base volontaria, i suoi legionari si consideravano un reparto d’elite, definito da Mussolini “ la legione del mio cuore” e considerato dal generale tedesco Wolf, comandante delle SS in Italia: “una delle mie migliori unità nella lotta contro i banditi”.
Addestrati dai nazisti, applicavano una particolare ferocia contro i civili, gli stessi metodi che i nazisti avevano già sperimentato nell’occupazione della Polonia e dell’Urss: rastrellamenti, sevizie, uccisioni, saccheggi, incendi e distruzioni, sequestri di persona, arbitrarie perquisizioni, crudeltà di ogni tipo. La Legione lasciò una lunga scia di sangue in tutti i territori in cui fu impiegata, si macchiò di atti criminosi: “una serie raccapricciante di delitti e atrocità”, “sistemi coloniali”, come recita la sentenza del processo tenutosi al Tribunale Miltare Territoriale di Milano, che unificava i procedimenti giudiziari per i delitti commessi nelle varie provincie. [Vittime senza giustizia,almeno la memoria Angela Lazzarini e Virginia Longhi fucilate dai fascisti nel Montefeltro del 1944 pag. 22]
Dalle 317 testimonianze raccolte il Tribunale accertò un curriculum di violenza inaudita: 236 fucilazioni, 27 seviziati, 140 saccheggi, incendi e rapine, senza tener conto dei processi già conclusi; ma la consistenza reale delle atrocità compiute fu senz’altro più ampia di quanto il Tribunale avesse potuto documentare. (Cfr. Sandro Severi, Il Montefeltro tra guerra e liberazione 1940-1945, Società di Studi Storici per il Montefeltro, San Leo, 1997, p. 176.) [ibidem nota 4 pag. 22]
La Tagliamento uccise renitenti alla leva, disertori dalle milizie fasciste, operai che avevano disertato il lavoro alla Todt, partigiani, sospetti partigiani. Nel Montefeltro fucilò anche due donne: Angela Lazzarini a Macerata Feltria e Virginia Longhi a Pennabilli.
La storia delle donne, specie delle cosiddette donne “comuni”, è stata spesso dimenticata e le loro azioni sottovalutate e anche distorte. Pesa sulla mancata memorabilità delle vite femminili la forzata attribuzione alla sfera privata, mentre quella pubblica viene riservata agli uomini, nefasto elemento costitutivo della cultura patriarcale. [ibidem pag. 30]
Angela Lazzarini nata il 20 agosto 1918 nella casa al n. 19 di Mercatovecchio, frazione del comune di Pietrarubbia, di famiglia contadina, lavora a servizio in diverse famiglie della zona. Mentre lavorava alla mietitura in un podere in località Mercatale di Sassocorvaro viene arrestata, probabilmente per una delazione, per aver aiutato un giovane disertore.
Un giovane legionario sedicenne o diciottenne (più probabilmente diciottenne se, come aveva riferito, era stato costretto ad arruolarsi dopo essere stato sorpreso in un rifugio a Genova, dove viveva) dice ad Angela di essere stato arruolato a forza e le chiede aiuto per avere vestiti borghesi e poter disertare. Angela lo confida all’amica Ersilia, ne parla a casa; il padre si dimostra contrario, ma lei raccoglie ugualmente abiti dal vicinato; “andava casa per casa a chiedere un pantalone, una camicia”, dirà l’amica Ersilia. [ibidem pag. 54-55]
Angela bastonata e violentata, viene fucilata il 28 giugno 1944 sotto il campanile di Certalto, frazione di Macerata Feltria.
Dagli atti giudiziari si vede anche come lo stupro fosse pratica ordinaria di dominio e intimidazione, frutto del disprezzo verso le donne connaturato al culto nazionalista della virilità. Spesso le donne violentate rimasero sterili e invalide. [ibidem pag. 29]
La storia delle donne, specie delle cosiddette donne “comuni”, è stata spesso dimenticata e le loro azioni sottovalutate e anche distorte. Pesa sulla mancata memorabilità delle vite femminili la forzata attribuzione alla sfera privata, mentre quella pubblica viene riservata agli uomini, nefasto elemento costitutivo della cultura patriarcale. [ibidem pag. 30]
Ad Angela non fu permesso di rivedere la madre.
A ridosso del campanile di Certalto, venne fatta sedere su una sedia e bendata. L’esecuzione avvenne circa alle ore sedici. Il picchetto di esecuzione era composto da 6 militi tra i più giovani, alcuni poco più che adolescenti, che mentre Angela era in chiesa erano andati nella cantina di Fucci e “si erano avvinazzati, per non capire quello che stavano facendo”[nota 71 Enzo Fucci, Dov’eri l’8 settembre?, cit., p. 62.]; attorno era steso il cordone del plotone di sicurezza, poi gli incaricati della vigilanza.
Colpita da tre colpi in testa e tre in varie parti del corpo, Angela morì subito, in un lago di sangue; sul campanile rimangono le tracce dei sei colpi con un proiettile infisso. Fu coperta con un lenzuolo prestato. (nota 72 Dichiarazioni di don Leone Fucci al processo, fasc. 25 del 1949, Fondo Corte d’Assise di Ancona, Archivio di Stato Ancona.) [ibidem pag. 66-67]
Poco prima del suo trasferimento al nord, con la fucilazione di Virginia (Gina) Longhi il 4 agosto 1944, la Tagliamento consumò il suo ultimo delitto nel Montefeltro e il secondo omicidio nei confronti di una donna. [ibidem pag. 111]
Virginia (Gina) era nata a Pennabilli il 9 giugno 1918, la madre era ricamatrice in oro di paramenti ecclesiastici il padre falegname, erano sei sorelle, mandate per la povertà di mezzi da parenti e in un collegio di suore a Roma.
Minuta, mora e con gli occhi azzurri, nel ricordo dei familiari Gina era una ragazza allegra estroversa e vivace, che amava cantare. Recitava e cantava anche nella filodrammatica locale, come è attestato dai registri del Teatro Vittoria. Dal momento dell’inaugurazione il custode del teatro aveva diligentemente annotato tutti gli avvenimenti che si erano susseguiti nel luogo centrale della vita cittadina, aveva a volte aggiunto qualche commento agli spettacoli di prosa o ai film proiettati per le forze armate e talora allegato locandine. [ibidem pag.117]
Per aiutare i genitori Gina lavava la biancheria dei militari della Divisione Camilluccia della Legione Tagliamento.
Pochi giorni dopo, ancora in casa Bergantini, mentre un comando tedesco lasciava il paese, Virginia si era rivolta scherzando ai militi presenti: “Come farete da soli se i vostri comandanti scappano. Preparate i vostri fagottini come fanno i vostri amici tedeschi”. [ibidem pag. 125
L’imprudente battuta canzonatoria fu la causa del suo arresto il 27 luglio 1944. [ibidem pag. 125]
Raccontò don Giardi, canonico della Cattedrale:
Mi recai dal capitano Martinola il quale mi mise sotto gli occhi tutta l’inchiesta fatta dal sottotenente Pocci, nei riguardi della signorina. Ricordo un po’ confusamente le accuse: a) avrebbe sparlato dei comandanti fascisti, perciò avrebbe fatto opera disfattista; b) sarebbe stata la fidanzata di tale Enzo Plazzotta, il quale per quanto era a loro conoscenza militava nelle bande dei ribelli (nota 32 Don Giardi, testimonianza resa a Pennabilli il 23/1/1945. Tribunale Militare Territoriale Bologna, Fascicolo processuale n. 99 R.G., archiviato in Tribunale Militare territoriale Firenze, parte terza, fasc. 297 v. 1, Archivio di Stato Firenze.]
Negando recisamente le accuse, il sacerdote ottenne la rassicurazione che la punizione sarebbe stata un taglio di capelli; cercò anche, inutilmente, di incontrare Zuccari nella visita che questi fece a Pennabilli.
Il 3 agosto invece arrivò in motocicletta il sottotenente Dante Agostini con l’ordine di condanna a morte; un ordine scritto di Zuccari, che tuttavia nessuno al processo poté dire di aver letto direttamente. In merito al certificato Zuccari avrebbe commentato: “Se è pazza dobbiamo fucilarla, perché dobbiamo purificare l’Italia dai pazzi” (nota 33 ibidem).
Dopo nove giorni di carcerazione, in una giornata piovosa (nota 34: La pioggia è ricordata da Luigi Ciotti e Gino Sereni; Damiani dice invece che il tempo era sereno.), un sergente e tre militi andarono a prelevare Virginia per portarla nel luogo scelto per l’esecuzione: Villa Chiappini, a pochi passi dalla casa di Antonio Balducci, forse per un’ulteriore sfregio a quella famiglia. Dalla casa i suoi familiari avrebbero assistito all’esecuzione (…)[ibidem pag.132]
Dopo la scarica del plotone, il comandante Dante Agostini sparò un ulteriore colpo al viso di Gina, già deceduta. Secondo la testimonianza riportata da Sandro Severi, dalle ferite non sgorgò una goccia di sangue: Virginia aveva avuto un collasso cardiocircolatorio prima dell’esecuzione e i legionari fascisti avevano “quasi certamente fucilato una ragazza già morta”. (nota 40: Severi, Il Montefeltro tra guerra e liberazione 1940-1945, cit.) [ibidem pag.132]