Le ripetizioni

Gianni Biondillo intervista Giulio Mozzi

Giulio Mozzi, Le ripetizioni, Marsilio, 2021

Ne Le ripetizioni c’è un episodio di reviviscenza della memoria che si dimostra fallace. Mario, il protagonista, ricorda perfettamente una cosa falsa: è una metafora della letteratura? Vero e falso non hanno significato, sono solo scrittura? Il fatto che Mario ti somigli è la prima bugia del libro?

Se proviamo sentimenti veri leggendo storie che sappiamo essere inventate (i romanzi, per esempio), perché un ricordo fasullo non potrebbe essere il ponte verso altri ricordi reali? La scrittura non è né vera né valsa: è finzione, opera. Ho prestato a Mario, per pigrizia d’invenzione, alcuni dettagli della mia biografia; altri dettagli della sua biografia sono completamente estranei a me.

 

Nel tuo romanzo accadono tantissime cose, in un arco temporale ampio, eppure c’è una sensazione di immobilità e di reiterazione continua, quasi una maledizione. La vita non ha senso, fai dire a un prete. Facciamo errori dai quali non impariamo nulla? O il senso sta, retrospettivamente, nel morire?

Per un prete la vita non ha senso in questo mondo: lo troverà nell’altro, nel nuovo. Mario ha diverse chance di cambiamento: decide di non coglierne nessuna. È capace, contemplando il quadro generato dal suo amico pittore, il Gas, di intravedere la possibilità di una rinascita, di una felicità senza fine. Si tira indietro.

 

Mario sembra il perfetto uomo senza qualità. L’esaltazione del mediocre, così come la maggior parte dei tuoi protagonisti. Tutti loro però nascondono vite segrete, bugiarde. I tuoi personaggi, più che ipocriti, sembrano stoici. Dobbiamo convivere con il male che ci portiamo dentro?

Non ho mai pensato ai miei personaggi come ipocriti. Li ho sempre immaginati come divisi, come incapaci di tenere insieme le diverse parti delle loro vite – e come sofferenti per questo. Il loro “male dentro” è questa separazione interna. L’unico di loro che non soffra per una separazione interna, l’unico che è tutto compatto, è Santiago: più o meno il diavolo. La separazione interna è quindi anche il luogo della chance di salvezza: purché la si accetti, anziché negarla.

 

Ogni rapporto sentimentale nel romanzo è soprattutto fisico, violento, perverso. C’è una attenzione a descrivere le umiliazioni corporali ai limiti dell’osceno. È il corpo l’ultimo baluardo della “pura vita” e deve essere perciò mortificato?

Il corpo è tutto. L’anima è un’invenzione greca. La Bibbia non ne parla.

(precedentemente pubblicato su Cooperazione, n 12 del 2021)

 

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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