Overbooking: Eugenio Manzato
Un romanzo inattuale
di
Alberto Pavan
Eugenio Manzato, nato a Quinto di Treviso, è storico dell’arte, è stato direttore dei Musei Civici di Treviso fino al 2001; dal 2016, anno della pensione, ha rispolverato la passione giovanile per la scrittura narrativa dando alle stampe nel 2023 il suo primo romanzo, L’ultima notte del dottor Romani.
Il romanzo narra la vita di Antonio Romani, vissuto tra la campagna trevigiana, Padova e Venezia, tra il 1757 e il 1797, l’anno in cui nella notte del 12 maggio, con Bonaparte alle porte, la narrazione si interrompe con un finale aperto che alimenta nel lettore il desiderio di un sequel. Antonio proviene da una famiglia di forestieri, arrivati a Santa Cristina di Quinto in circostanze non del tutto chiare, pronti però a mettere al servizio della piccola comunità i loro talenti, leggere, scrivere, lungimiranza economica e sociale. Antonio cresce in campagna forte, bello e intelligente, ricco di affetti e di amicizie salde, studia prima nel collegio dei Gesuiti a Venezia e poi medicina a Padova, città in cui coltiva il suo amore per le scienze, inizia a esprimere la sua filantropia e gode delle gioie della giovinezza. Medico promettente e uomo brillante, si stabilisce a Venezia dove avvia prima un ambulatorio e poi l’ospedale delle “Bele man”, il primo luogo di cura laico della città. Contemporaneamente conosce l’amore per la nobildonna Lucrezia Giustiniani, vedova del duca di Beaumont, di cui diventa il compagno senza la benedizione di nozze socialmente scomode. Quando però l’uomo è al culmine del successo, invidie maturate nell’ombra, come nei più intricati romanzi di Dumas, cuciono nei suoi confronti una vile vendetta e, mentre la Dominante esala l’ultimo respiro, con un colpo di coda è condannato a morte.
Il romanzo è narrato in prima persona nella forma del monologo che Antonio quarantenne pronuncia nell’ultima notte di prigionia ripercorrendo tutta la sua vita. Si configura quindi come uno scritto memorialistico, che si inserisce in una ricca tradizione veneziana (Casanova, Goldoni, Gozzi), ma anche, nella finzione, come le Confessioni di un italiano di Ippolito Nievo. Come Nievo, Manzato tempera all’interno di una rigorosa cornice storica personaggi e fatti d’invenzione, dipinti con verisimiglianza. Nella trama si innestano infatti ampie digressioni sulla cultura materiale del tempo, sulla scuola, sul viaggio, sul mercato delle anticaglie, sulla medicina, sull’agronomia, sulle istituzioni veneziane, che contribuiscono a fare del romanzo un affresco di grandi dimensioni, nel quale piace sperdersi e i cui dettagli istruiscono attraverso il piacere della vista. Come nei romanzi enciclopedici dell’Ottocento, non vi sono sottintesi che lasciano l’acquolina in bocca, tuttavia l’accuratezza delle informazioni non indulge mai alla pedanteria, anzi intrattiene, un poco come le pagine più sapide del Molmenti.
Lo stile dà omogeneità alle parti, sempre piacevole senza cedimenti, pulito, misurato nelle descrizioni, preciso nelle informazioni, di registro medio, efficace quando ricorre a un plurilinguismo mai approssimativo: il veneziano è la lingua d’uso della città e la lingua franca in tutto il Mediterraneo, le parlate venete sono legate all’ambito degli affetti e della confidenza, il francese è la lingua dell’alta società.
È un romanzo rassicurante che crea un mondo parallelo, per cui ci si riserva giorno dopo giorno un cantuccio serale di lettura per goderne l’inattualità, che si esprime nell’evidenza della lingua e della trama, ma anche nella caratterizzazione dei personaggi che, come nella Chartreuse de Parme di Stendhal, si possono dividere con un taglio netto in buoni e cattivi: i primi ancorati a un passato di privilegi e di meschinità e gli altri con uno sguardo aperto verso un futuro arioso. Nel romanzo la natura sociale dell’uomo è al centro: insieme con la cultura costituisce la forza che, diffondendosi, può cambiare dall’interno e senza traumi la società, secondo un progetto razionale di tolleranza e di convivenza di ispirazione massonica. Di qui scaturisce un piano cronologico di proiezione nel passato del presente o delle speranze per un presente migliore: si leggono tra le righe il Veneto dello spirito di sacrificio e dell’imprenditoria, Manzato non trascura però la necessità di un’evoluzione anche culturale per evitare l’avidità che ha invece portato a fare scempio del territorio, ma contempla anche l’apertura verso forme di affetto e di solidarietà alternative alla famiglia convenzionale.
L’ultima notte del dottor Romani si rivolge a un lettore disponibile a concedersi il lusso della lentezza, del tempo e del romanzo stesso, per assaporare la storia, la sua cornice e per meditare su di un messaggio di responsabilità sociale per la costruzione del nostro futuro.