Variazioni sull’estinzione: Gosselin legge Bernhard

 

di Giovanni di Benedetto e Milène Lang

 

  1. Prima della fine

Ogni mattina, attraversando il Périphérique, il grande raccordo anulare che collega le porte di Parigi alla periferia, mi capita di immaginare la fine del mondo. Dal finestrino della RER, il paesaggio parigino, la Senna, Notre-Dame e le altre immagini-cartolina, si scolla dallo sfondo non appena il treno regionale si inabissa nel tunnel della Gare d’Austerlitz. È questo il momento dello slittamento. La legge della relatività si manifesta con tutta la sua evidenza empirica. La percezione temporale della distanza percorsa è totalmente alterata. La banlieue è una remota isola ai confini dell’Impero. Lo scorso anno, durate il tragitto per il lavoro, due libri hanno contribuito all’insorgere delle allucinazioni che mi hanno portato a pensare, quotidianamente, alla fine del mondo: La Fin de l’homme rouge (Tempo di seconda mano) di Svetlana Aleksievič e Le Monde d’hier (Il mondo di ieri) di Stefan Zweig. Due libri che raccontano la stessa storia, la fine di una civiltà, col fare proprio dell’archeologo o del filologo: (ri)stabilire, attraverso un’indagine propriamente materialista, le ipotesi di un testo (la Storia), inventariando e collazionando le differenti voci. L’idea che la storia non proceda in orizzontale ma seguendo la forma della spirale. Hölderlin, Novalis, Goethe, Von Hofmannsthal, Schopenhauer, Mahler, Schönberg sono gli smottamenti che anticipano un’eruzione (il Nazismo), alla stessa maniera in cui la fine del comunismo anticipa la guerra a venire e la prossima estinzione di massa. L’inceneritore di Ivry-sur-Seine sfila nel paesaggio e si trasforma negli abitati popolari in cemento armato, nelle villette a schiera degli appezzamenti lottizzati nei quali le strade si sovrappongono con quelle dei villaggi della periferia di Chernobyl, nel volto dei lavoratori che attendono sulla banchina, impazienti, il passaggio del prossimo treno, desiderando che il tempo acceleri all’inverosimile nonostante il rischio che l’accelerazione sia così rapida da portarli dritti verso la tomba, e poi, ancora, nel grande snodo ferroviario di Juvisy, dove scendo. Mi incammino verso la scuola dove insegno. Faccio l’appello e guardo i visi dei bambini che assisteranno al crollo dell’Impero.

L’estate scorsa, su una spiaggia a Cefalonia, mentre eravamo bruciati dall’azzurro del sole, osservo Milène leggere un libro di Thomas Bernhard. Il sale corrode la pelle come il piombo. Milène inizia a leggermi una pagina ad alta voce. Inondato dalla luce, o dalla cenere. Così la immagino, l’estinzione.

 

  1. Osservazioni sulla fine

In questo nuovo spettacolo, della durata di oltre quattro ore, Julien Gosselin presenta un trittico di tre testi letterari, come altrettante variazioni sul tema dell’estinzione. Dopo aver messo in scena Le particelle elementari di Houellebecq, 2666 di Roberto Bolaño, Giocatori, Mao II, I nomi e L’uomo che cade di De Lillo,  ancora una volta, Gosselin raccoglie con audacia la sfida dell’adattamento teatrale di testi narrativi: la Traumnovelle (1926) e Fraülein Else (1924) – due racconti della Vienna crepuscolare di Arthur Schnitzler – e l’ultimo romanzo di Thomas Bernhard Auslöschung (1986), si intrecciano di fronte a un pubblico spinto, a tratti, a rifugiarsi nella propria trincea del posto in platea e, allo stesso tempo, invitato a spingersi oltre i propri limiti.

 

Lo spettacolo inizia con una festa in una discoteca, a Roma, sul finire degli anni Ottanta. Il pubblico è chiamato a partecipare, essendo letteralmente invitato sul palco dove Guillaume Bachelé e Maxence Vandevelde mixano in diretta un set di musica transe che coinvolge e consuma sia i partecipanti che gli attori che gradualmente prendono possesso della scena. La mise en abyme è vertiginosa: sul palcoscenico si svolge una festa a cui assiste il pubblico rimasto in tribuna, ma a cui i partecipanti diventano rapidamente estranei, perché è anche la festa dello spettacolo.  I partecipanti diventano così a loro volta spettatori degli attori e di sé stessi. Tutti guardano gli altri e sé stessi, in una transe crepuscolare filmata in diretta e proiettata su schermi giganti che sovrastano la scena-pista da ballo.

Spingendo al limite un’estetica che aveva già sperimentato negli spettacoli precedenti, in particolare in Le Passé del 2021 (adattamento di una serie di racconti di Leonid Andreïev), Julien Gosselin fa del secondo atto dello spettacolo una danza macabra della Vienna crepuscolare di fine secolo, per parafrasare un altro testo di Schnitzler. Questa parte dello spettacolo, a porte chiuse, è completamente filmata e proiettata sugli schermi. Il pubblico è portato a vivere l’esperienza tipica del voyeur, quella dell’osservatore partecipe e non partecipante, osservando dalle finestre e le porte della casa/huit-clos, i personaggi e il valzer di desideri, di pulsioni scopiche, di passioni di una società al suo apice, alla vigilia della sua estinzione, quella che sarà provocata dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale e che si manifesta improvvisamente, sul finire del secondo atto, come un terremoto. Termina così la rappresentazione dei due testi di Schnitzler.

 

 

Nello spettacolo, così come nei due racconti dello scrittore viennese, il sogno, le fantasie, il desiderio, i fantasmi (come quelli convocati nell’ultima parte) e le false apparenze hanno un’importanza centrale: ricordiamo a tal proposito che l’azione della Traumnovelle si svolge durante il carnevale, periodo propizio al disordine dei sensi, allo scambio dei ruoli, al turbamento e al ribaltamento delle verità. Tutto questo è incarnato dalle prestazioni degli attori, e in particolare, dalla performance di Marie Rose Tiejten, attrice della compagnia Volksbühne di Berlino, in grado di far rivivere lo spirito delle rappresentazioni dadaiste e quelle di Kurt Schwitters in particolare. Le maschere che indossano Florestan e Albertine dopo la prima estinzione del desiderio coniugale (o il suo ultimo fuoco?), interpretati da Denis Eyriey e Carine Goron, ci raccontano la mascherata di questa serata dove alla fine tutto potrebbe benissimo essere solo una commedia, una farsa, un ruolo da recitare di fronte all’abisso delle passioni e alle profondità oscure dell’anima umana, che risuonano anche nei poemi di Hofmannsthal recitati più volte nel corso della rappresentazione tramite l’utilizzo di un vero e proprio collage testuale.

 

 

Gli anni Venti segnano anche la nascita viennese della psicoanalisi e l’attrazione per il mesmerismo e l’ipnosi. Ancora una volta uno spettacolo nello spettacolo, come un sogno nel sogno. La mise en abyme e il ritorno alla cornice narrativa del primo atto diventano così la variazione teatrale della sfocatura mantenuta da Schnitzler nel suo racconto, come lo sguardo di Nicole Kidman alla fine di Eyes Wide Shut di Kubrick (tratto anch’esso dalla Traumnovelle di Schnitzler). Abbiamo particolarmente apprezzato l’originalità dell’adattamento, che è riuscito a farci dimenticare Kubrick così come le trasposizioni cinematografiche di Fraülein Else, in un secondo atto che intreccia le due trame narrative, senza intoppi e senza forzare i testi. Perché sul palco si vede, soprattutto, una vera e propria celebrazione della letteratura, una dichiarazione d’amore per essa. Le parole, in francese come in tedesco, risuonano con furore, anche se l’ultima parte, dedicata propriamente all’ultimo romanzo di Thomas Bernhard, Estinzione, interroga, tuttavia, la possibilità stessa di concepire una parola feconda. Rosa Lembeck (della Volksbühne di Berlino anch’essa) riprende quindi, da sola sulla scena, il testo di Bernhard per chiudere il ciclo con un lungo monologo che esalta le sua qualità interpretative. In una chiusura che, tuttavia, non è tale, poiché se la letteratura distrugge tutto, se il teatro distrugge tutto nelle parole dell’attrice che si alza e recita, entrambi fanno emergere una luce. La stessa luce che coesiste in Nietzsche, dove si combinano eterno ritorno, nichilismo e superuomo in una rivoluzione che nasce dalle ceneri di un fuoco appena estinto.

« Les mots allemands sont suspendus comme des poids de plomb à la langue allemande, et maintiennent à chaque fois l’esprit à un niveau nuisible pour cet esprit. La pensée allemande ainsi que la parole allemande sont très vite paralysées sous le poids humainement indigne de cette langue qui opprime toute pensée avant même qu’elle se soit exprimée ; dans la langue allemande, la pensée allemande n’a pu se développer que difficilement et jamais s’épanouir pleinement, contrairement à la pensée romane dans les langues romanes, comme le prouve l’histoire des efforts des Allemands durant des siècles. Chaque mot, tire leur pensée vers le bas, inéluctablement, quelle qu’ait pu être leur pensée chaque phrase l’écrase, écrase toujours tout. Aussi leur philosophie, de même que leur poésie, est-elle comme du plomb ».

 

  1. Dopo la fine

Al termine dello spettacolo, prima di rientrare a casa, fumiamo una sigaretta davanti al teatro, facendo attenzione a ben ripararci dalla pioggia scrosciante sotto i portici del Théâtre de la Ville, nella Place du Châtelet. Julien Gosselin esce dal teatro e si mischia anch’egli alla nostra confraternita incappucciata. Gli chiedo se lo spettacolo sarà messo in scena anche in Italia, magari a Roma, dove è in parte ambientato. Mi risponde che prossimamente Extinction girerà per l’Europa, ma che no, in Italia non arriverà. Durante il Festival di Avignone il Teatro Piccolo di Milano si era detto interessato ed entusiasta dal progetto, ma, per farla breve, niente soldi. La periferia dell’Impero è la prima a cadere. (Nota: questo non è un appello. Leggerla alla maniera di Magritte).

Prima di prendere la metro, facciamo due passi sul lungosenna. L’immensa gru che sovrasta il cantiere della cattedrale di Notre-Dame è ancora più bella, stasera, della guglia di Viollet-le-Duc.

«Parigi è un luogo ideale per un’estinzione come quella che ho in testa», sussurro gettando via la sigaretta. Milène alza il viso dall’asfalto bagnato e mi guarda perplessa, chiedendomi cosa voglia dire, prima di iniziare a scendere nella profondità sotterranee della terra e attendere.

*

Trailer: https://youtu.be/tBynqVZjt0Y?si=hHWPOQYREAsnPnxv

Estratti dello spettacolo messo in scena durante l’anteprima al Festival di Avignone: https://theatre-contemporain.net/embed/bsb4x1Ql

*

Extinction

Théâtre de la Ville – Sarah Bernhardt e Théâtre Nanterre-Amandiers, CDN

29 novembre – 6 dicembre 2023

Testi: Thomas Bernhard, Arthur Schnitzler, Hugo von Hofmannsthal

Adattamento e messa in scena: Julien Gosselin

Traduzione dal tedesco al francese: Henri Cristophe, Philippe Forget, Pierre Galissaires, Gilberte Lambrichs, Anne Pernas, Jean-Cristophe Schneider, Francesca Spinazzi

Interpreti: Guillaume Bachelé, Joseph Drouet, Denis Eyriey, Carine Goron, Zarah Kofler, Rosa Lambeck, Victoria Quesnel, Marie Rosa Tietjem, Maxence Vandevelde, Max Von Mechow

Scenografia: Lisetta Buccellato

 

Print Friendly, PDF & Email

1 commento

  1. bellissima composizione a quattro mani (ma si dovrebbe dire due teste, due cuori) effeffe

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Nelle pieghe degli anni Ottanta

di Pasquale Palmieri
Chi scrive parte dal presupposto che quella stessa epoca non sia riducibile alle sole tendenze verso l’ottimismo e l’edonismo, ma sia allo stesso tempo attraversata anche da pesanti conflitti che ridefiniscono il rapporto fra individui e collettività

Scoprire, conquistare, raccontare le Indie. Intervista a Emanuele Canzaniello

di Pasquale Palmieri
"Da un lato il Breviario vive della vertigine dei dati minimi, della pazienza della scienza, della faticosa acquisizione che ci ha offerto la Storia. Vive e omaggia quella moltitudine di notizie, ne fa una sostanza plasmabile che è già narrazione.

L’Africa per noi. Su “L’Africa non è un paese” di Dipo Faloyin

di Daniele Ruini
In apertura del libro di cui stiamo per parlare troviamo, come citazione in esergo, questa indicazione: «Inserire qui un generico proverbio africano. Idealmente, un’allegoria su una scimmia saggia che interagisce con un albero. Fonte: Antico proverbio africano».

I nervi, il cuore e la Storia. Intervista a Rosella Postorino

di Pasquale Palmieri
“Siamo tutti mossi dal desiderio, dubbiosi sulla felicità possibile, tentati da un impossibile ritorno a casa, gettati nostro malgrado nella Storia”. Prendo in prestito queste parole dalla quarta di copertina del nuovo libro di Rosella Postorino

I tre quinti sconosciuti di Charlus

di Ezio Sinigaglia
Charlus è un personaggio fortemente caratterizzato dalla stranezza e imprevedibilità dei comportamenti, tanto che sarebbe difficile trovare, nelle sue innumerevoli apparizioni nel romanzo, una singola occasione in cui il barone non faccia o dica qualcosa di inatteso e sorprendente.

La stanza di Élise

di Michaël Uras
Le due donne piazzano l’albero in salotto. Sembrano felici. Felici di aver portato in casa un albero pieno di spine. Strana sensazione che spiega quella loro furtiva sortita sul far del giorno. Eppure in casa c’è già un alberello, senza foglie, senza spine, liscio e vellutato.
ornella tajani
ornella tajani
Ornella Tajani insegna Lingua e traduzione francese all'Università per Stranieri di Siena. Si occupa prevalentemente di studi di traduzione e di letteratura francese del XX secolo. È autrice dei libri Tradurre il pastiche (Mucchi, 2018) e Après Berman. Des études de cas pour une critique des traductions littéraires (ETS, 2021). Ha tradotto, fra vari autori, le Opere di Rimbaud per Marsilio (2019), e curato i volumi: Il battello ebbro (Mucchi, 2019); L'aquila a due teste di Jean Cocteau (Marchese 2011 - premio di traduzione Monselice "Leone Traverso" 2012); Tiresia di Marcel Jouhandeau (Marchese 2013). Oltre alle pubblicazioni abituali, per Nazione Indiana cura la rubrica Mots-clés, aperta ai contributi di lettori e lettrici.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: