Memorie da Gaza #5
Yousef Elqedra
“Quattro sotto le macerie… yàmma quanto sono belli”.
Nido e Pampers
“Ho ritirato il Nido e i Pampers”, racconta un padre con immensa gioia mentre torna dalla moglie portando una scatola di Nido e una confezione di Pampers per i bambini.
Ti chiederai forse “Com’è che questa cosa merita così tanta gioia”? La risposta è che sì, Nido, il latte in polvere, significa vita per un neonato nei giorni che vengono, e i Pampers vogliono dire la salute di quel bimbo. Le mamme sono state costrette a sostituire i pannolini con un qualsiasi pezzo di stoffa a disposizione, e questo ha provocato strane malattie della pelle; non ci sono i medici per occuparsene nelle condizioni di una “guerra maledetta” che non produce se non ferite gravi e martiri, quindi le madri hanno dovuto affrontare la situazione arrangiandosi con un latte in polvere qualunque oe qualsiasi cosa tornasse utile.
Una cesta alimentare per una settimana
Due scatole di fagioli, una di carne in scatola, due bottiglie di acqua, due vasetti di miele nero e due confezioni piccole di formaggio: questa è la razione che spetta a una famiglia con un numero medio di almeno sette persone. Viene portata alla famiglia da un padre sfollato che ha perso la casa, ed è felice di averla ricevuta. “Finalmente berrò un sorso di acqua dolce”, dice, come se avesse raggiunto il paradiso. “Bontà e benedizioni”, così descrive lo scatolame contenuto nel cartone arrivato come parte degli aiuti passati dal valico di Rafah alla Mezzaluna Rossa Palestinese a Khan Yunis. Sulla parte anteriore del cartone si legge il mittente: Banca alimentare egiziana. “Il cibo si può dividere e può bastare per tutta la prossima settimana”, dice l’uomo, aggiungendo: “Il problema resta il pane”.
Una pagnotta intera
“Solo le donne ce la possono fare!” esulta una donna appena tornata dalla fila davanti al panificio, portando con sé diversi filoncini di pane raccolti in un fascio. È una grande vittoria, come potete immaginare. Con questo fascio di pane, la donna ha provveduto al cibo della famiglia per l’intera giornata, e forse ne rimangono avanzi per la colazione del giorno dopo, fosse fatta anche solo di “pane nudo”, poiché l’economia nel cibo è una necessità assoluta; “wallah sono uscita all’alba, perché i piccoli sono andati a letto senza cena”, dice la donna per spiegare la sua gioia.
Sì, queste piccole vittorie e conquiste sono significative nella vita collettiva, e questo è un popolo che, all’ombra della morte, ama la vita con tutte le sue forze.
Si può lasciare il proprio cuore in un posto?
“Siamo usciti dall’inferno dei missili, del fuoco e della devastazione per arrivare all’inferno della vita. Si entra in bagno in fila, si prende il pane in fila, il cibo scarseggia, si dorme a turni a causa dello spazio ristretto e della scarsità di letti, persino bere acqua potabile richiede un miracolo”, dice una donna di cinquant’anni sfollata da Gaza in un rifugio a Khan Yunis. E aggiunge: “Spero nella shahada da Dio”.
Mentre tenti di consolarla con due parole gentili, scopri che dal suo cuore a porte spalancate è uscito un inferno, al punto di sentirla dire: “I miei nipoti sono sotto le macerie. Non sappiamo se sono vivi o morti, e non sappiamo se li hanno trovati e sepolti, o se sono rimasti là sotto.” Tace per un momento poi riprende, mentre due lacrime le brillano negli occhi ma si rifiutano di scendere: “Quattro… yàmma quanto sono belli, sono ancora piccoli, mi si spezza il cuore, non volevo lasciarli soli e andare via. Mi hanno portata via con la forza. Si può lasciare il proprio cuore in un posto e tuttavia dover continuare a fuggire?”
Sono 1250 i bambini dispersi sotto le macerie, secondo il Ministero della Salute. Sono 1250 le storie di dolore e sofferenza, e la sensazione è che il mondo sia in via di estinzione con la morte brutale di bambini innocenti, che lascia nella desolazione più totale i cuori dei loro familiari sopravvissuti.
“wallah yàmma solo coloro che sono andati dal loro Signore, si sono salvati. Il loro Signore è più misericordioso con loro che questo mondo ingiusto. Noi che viviamo moriamo mille volte al giorno. Moriamo mille volte yàmma.”
Abbiamo bisogno di farina
“Hanno polverizzato il paese, distruggendo il verde e il deserto”, racconta un ventenne tornato deluso dal suo errare alla ricerca di un panificio ancora aperto, per portare almeno una pagnotta alla famiglia. Qui tutti i panifici della zona hanno smesso di funzionare come forni, non c’è gas, distribuiscono la farina alla gente che fa quel che può, cioè impasta e cuoce il pane, si gestisce da sola,” aggiunge esasperato. Un altro replica che c’è una panetteria ancora attiva nel centro della città, ma la gente si accalca raggruppandosi come in un’immagine in miniatura del Giorno della Resurrezione.
“Dai, andiamo. Dove esattamente? Daremo dei biscotti ai bambini. Sono due giorni che non mangiano pane.”
Si sono diretti verso una panetteria che si diceva fosse ancora in funzione, sapendo che li aspettava la lunga attesa, dalla quale non vi è scampo.
Le memorie di Gaza sono la vita sospesa rimasta dopo tutta questa morte, dopo lo sfollamento e la malinconia, o ciò che resta della vita che tenta di continuare in condizioni che ad essa non sono adeguate: sono più adatte alla morte.
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Yousef Elqedra è un poeta palestinese residente a Gaza. Su Nazione Indiana appare nella traduzione di Sana Darghmouni e Pina Piccolo.