Giulia Bocchio: «ti venero come sangue sale e grano»
Testi inediti di Giulia Bocchio
II
Quanto tempo sarà passato davvero?
Le ombre sono cambiate, il preavviso è un tranello inascoltato
c’è sempre stata una certa pigrizia di mezzo
è un torto al mondo:
quel giorno qualcuno uscì dall’acqua
per essere più di un batterio.
Qualcosa ribolle dal fondo di un fiume che sembra anonimo
si dice avesse il potere di addormentare le persone
infatti qualche secolo prima di oggi trovarono un uomo addormentato da giorni
lo pensarono morto
quando si svegliò era certo di aver mutato sangue,
si ferì per verificare: ne uscì del miele.
C’era un merlo lì: bevve dalla ferita.
Cambiò piumaggio. E cominciò a parlare.
Chiederemo a Midjourney di fargli un ritratto.
*
Per trovarlo dovrete percorrere un sentiero di ghiaia
il suono dei passi si fece friabile, infatti.
Cosa si chiede a un oracolo?
Non importa se non parlerà
anche il suo silenzio allude a qualcosa di vero.
È nato il giorno in cui piovvero spine
da allora non si contano più gli inverni
sappiamo solo che fece un sogno
l’unico della sua vita:
uno sciame di api gli invase le viscere entrando dal culo
per poi uscire dalla bocca.
Quando si svegliò
il suo sangue ormai era melassa, s’era trasformato in qualcosa
di molto vicino al miele.
Fu una rivelazione:
cominciò a predicare, a disconoscere il dovere e il lavoro
era la sua stessa pelle a dettare la via della ragione.
Per trovarlo dovrete abbandonare l’io
tornare al tempo precedente la nascita: non esistere
perché qui non esiste prima persona.
Divenne ciò che non troviamo oggi
e se questo è un bene oppure un male ce lo dirà un nuovo sogno.
Caen
C’era una festa molto sudata ai piedi del castello
parlavamo lingue ibride
lingue straniere senza aggettivi
per meglio andare al sodo, al nocciolo della visione.
L’erba era umida
non avevo nulla addosso
i piedi nudi,
la voglia di un tuo tocco umano
segno di ogni liberazione dall’ansia
dal futuro sonno meridiano
nel sangue scorreva il grado di qualcosa
asterisco per l’ipocondriaco
il sollievo per il sifilitico
l’indifferenza del vaccinato.
Sapevo che non ti avrei amato
più di quell’atmosfera
uscita dalla testa di un fratello Grimm
degna figlia di un aborto di Baba Jaga.
Un merlo color panna ci osservava inquieto:
era una festa o un sabba interiore
se al centro l’essenza di chi non era ancora arrivato
danzava con lo spirito di chi non sarebbe mai venuto?
*
Ti venero come sangue sale e grano
che verbo inutile stantio marciforme
furono le sue uniche parole davanti a un fiume in secca.
È quel sentiero di ghiaia
che avrebbe dovuto condurci all’oracolo, all’unica risposta
alla non esistenza dell’essere e del tempo.
Per raggiungerlo abbiamo bevuto il nostro piscio
ingoiato terra cruda in nome di un sogno solarpunk
Le sue parole potrebbero essere lontane dal vero, ma utili.
Tutto prende fuoco
è il precipizio della fine
i ricordi ricompongono spettri che non abbiamo sepolto
non ho voglia di sentire il loro alito
per salvarci dovremo immaginarci nel Medioevo;
non so cosa avremmo venerato laggiù
di sicuro molto sangue e poco grano.
Tutto quello che esce dalla sua bocca viene dal basso e si trasforma.
Sembra sapere che saremo venti miliardi
sa che non esiste rimpianto prima di nascere
manca poco,
manca l’acqua,
manca l’aria
in tutto questo mi resta di umano una vena serpentesca
una safena gonfia che si avvinghia alla caviglia e sale
mi annoda all’ego
L’unico da abbandonare
mi lega alle ossessioni
il dolore non ha perso il vizio.
Uno sciame di api che abbiamo già incontrato fa ritorno dal sogno
oscura l’unica porzione di cielo che riusciamo a vedere:
venti miliardi…
Quel giorno piovvero spine.
***
Giulia Bocchio è scrittrice e giornalista. In poesia ha pubblicato le raccolte Harmattan Poetico (Ass. Talento) e Il vento del vanto (Genesi). Nel 2016 esce il saggio L’Olimpo nero del sentire (Marsilio) e nel 2020 il romanzo La febbre dell’io (Il Ponte Vecchio). È direttrice editoriale di Poetarum Silva. Suoi articoli sono usciti su minima e moralia, Il Fatto Quotidiano, Vernice e altre riviste e blog online. Scrive per Il Piccolo.
Che pena.