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Due casi di claudicazione

di Sergio Oricci

In una città dell’Europa dell’Est, una delle tante città di media grandezza che possono essere percepite come grandissime e piene di opportunità da chi ha sempre vissuto in provincia, oppure piccole e noiose da chi aspetta di trasferirsi in o pensa di essere la persona giusta per una metropoli tentacolare, come si sarebbe detto in una puntata di una serie TV noir di un’epoca passata, due uomini camminano in direzioni opposte su una strada che collega il centro storico alla periferia nord per poi continuare oltre i confini dell’abitato e raggiungere una zona boschiva in cima a una collina.

Sono destinati a incrociarsi, a meno che uno dei due non decida di attraversare e di spostarsi sull’altro lato della carreggiata, ipotesi piuttosto improbabile perché la strada è a scorrimento veloce, o comunque è una strada su cui le vetture – automobili per lo più occupate da un solo passeggero, l’uomo o la donna alla guida, ma anche motociclette di grossa cilindrata e qualche tir di dimensioni ragguardevoli; non si vedono motorini – viaggiano a velocità sostenuta, dando alle corsie l’apparenza di qualcosa che se pure non fosse stato concepito per scorrere velocemente adesso lo sta facendo.

I due uomini che camminano in direzioni opposte e che sono destinati a incrociarsi non hanno molto in comune, le loro vite anzi non potrebbero essere più distanti – quello che sale ha quarantun anni, è sposato, ha due cani, un lavoro a tempo pieno che lo costringe a spostarsi in treno più di quanto vorrebbe, l’altro, che scende, di almeno quindici anni più vecchio, è single da sempre, vive da solo e prova a sopravvivere con una pensione d’invalidità che non basta neanche per soddisfare i suoi bisogni primari, tra cui c’è quello di andare a puttane almeno tre volte all’anno – ma c’è una cosa che li accomuna: entrambi soffrono di zoppia, l’uomo sposato per una patologia neurologica degenerativa destinata nel giro di cinque, forse dieci anni, a paralizzarlo del tutto, e l’uomo single a causa di una dismetria degli arti inferiori di circa tre centimetri e mezzo.

L’uomo con due cani e un lavoro a tempo pieno che lo costringe a spostarsi in treno più di quanto vorrebbe, e che ha una patologia che con il tempo si aggraverà fino a impedirgli perfino di respirare, si accorge dell’altro uomo per primo, e nota subito un’andatura che, seppure con delle differenze visibili anche da quella distanza, gli ricorda la propria. Cerca di immaginare quale sia la causa della zoppia dell’uomo che sta camminando verso di lui, e prova perfino un certo senso di tenerezza nel guardarlo faticare in discesa almeno quanto lui stesso sta faticando a salire quelle poche centinaia di metri che lo condurranno a casa.

L’uomo sposato e con due cani non ha ancora preso in considerazione l’idea di usare un bastone, un deambulatore o un qualsiasi dispositivo che lo aiuti a camminare, e ha deciso che non lo farà fino a quando non sarà strettamente necessario. Inoltre non ha mai preso la patente, cosa di cui oggi si rammarica ma a cui non riesce a porre rimedio per questioni che riguardano un certo senso di inadeguatezza nel fare qualcosa fuori tempo, oltre che l’eventualità, ormai quasi certa, di non passare gli esami clinici e di non risultare idoneo alla conduzione di un mezzo motorizzato. L’uomo single da sempre, sessualmente frustrato e senza neanche i soldi per andare a puttane tre volte all’anno come riterrebbe indispensabile per mantenere la sua frustrazione entro certi limiti e non farla sfociare nel patologico, si accorge a sua volta dell’uomo che cammina verso di lui zoppicando, e pensa che ci sia una probabilità – non riesce a quantificarla né a formulare una percentuale approssimativamente realistica, ma sa che esiste – che lo stia facendo dopo averlo notato, come in una sorta di imitazione grottesca, una presa in giro, qualcosa che in questo momento l’uomo – dopo l’ennesima giornata trascorsa in solitudine, in uno stato d’animo che adesso definirebbe tra l’apatia e una tenue disperazione, per quanto la disperazione possa esserlo – proprio non sente di poter sopportare.

Un cane randagio passeggia risalendo la strada, con il muso rivolto verso l’asfalto, annusando ogni più piccola, infinitesimale molecola odorosa – principalmente feci, urina e resti di cibo – e supera rapidamente l’uomo che sale e quindi incrocia l’uomo che scende, per poi svoltare in una stradina laterale e sparire veloce come era apparso. Si sta facendo buio e i due uomini sanno esattamente che ore sono perché entrambi guardano di frequente i propri telefoni, l’uomo che sale lo fa per essere sicuro di non aver perso una chiamata della moglie – tiene sempre il telefono in modalità silenziosa – mentre per l’uomo che scende si tratta di una sorta di tic, un gesto automatico a cui si aggrappa per far passare il tempo e non pensare ad altro. Fa freddo, sono entrambi soli ed entrambi non aspettano altro che arrivare a casa; uno sarà accolto dai due cani che gli salteranno addosso come se non lo vedessero da settimane, e poi dalla moglie che lo abbraccerà facendogli sentire quel contatto che lui non potrà fare a meno di percepire almeno in parte come definitivo, il bacio sulla fronte che i figli danno al genitore nel feretro, mentre l’altro sarà accolto dal silenzio di una piccola, piccolissima pace, dalla solitudine che precederà di poco la prima e poi la seconda bottiglia, fino alla pace un po’ meno pacifica e un po’ meno piccola del sonno.

I due uomini sono ormai vicinissimi, solo pochi metri separano l’uno dall’altro. Per un osservatore non coinvolto sarebbe evidente che l’uomo che sale stia procedendo con una claudicazione falciante, lo si capisce dal modo in cui circonduce l’anca, mentre la camminata dell’uomo che scende ha i tratti caratteristici di una zoppia di caduta, con la gamba sinistra che tende a lasciarsi andare fino al trascinamento. Ma i due uomini non sono osservatori non coinvolti e adesso non riescono a fare altro che guardarsi a vicenda e specchiarsi in quella coincidenza formulando teorie e ipotesi.

L’uomo che sale, sposato e con due cani, adesso che riesce a guardare negli occhi l’uomo che scende, pensa di riuscire a vedere in lui una tristezza che non crede di avere mai provato, ma allo stesso tempo sa che c’è la possibilità che questa sia una percezione falsata, e di non avere nessun elemento oggettivo su cui basarsi per credere a quel pensiero che in fondo ha prodotto in maniera istintiva. L’uomo che scende, single da sempre e sessualmente frustrato, nell’accorgersi del sorriso dell’uomo che sale, si convince che quella zoppia simmetrica rispetto alla sua sia davvero una maniera per prendersi gioco di lui e inizia ad avvertire un moto di rabbia. Ma anche lui ha ben presente che c’è una probabilità, seppur minima, che si tratti di un semplice caso, e non vuole che la sua parte irrazionale prenda il sopravvento, non tanto perché crede che sia sbagliato lasciarsi guidare dal momento ma perché davanti a sé vede soltanto due possibilità: la prima è che l’uomo stia davvero fingendo, e in quel caso arrivare a uno scontro – verbale e poi fisico – non porterebbe a niente di buono perché non sarebbe in grado, con la sua zoppia, di affrontare una persona sana e così cattiva da fingere di zoppicare per prendere in giro chi davvero fatica a camminare, e la seconda è che l’uomo non stia fingendo e che abbia le sue stesse o ancora peggiori difficoltà, e allora arrivare a uno scontro – verbale e poi fisico – non avrebbe davvero senso e sarebbe soltanto l’ennesima dimostrazione che i suoi problemi non risiedono nella zoppia, nella dismetria di tre centimetri e mezzo dei suoi arti inferiori, ma in uno stato psicologico che – almeno questa è la sua impressione – peggiora di anno in anno e che sta rischiando di trasformarlo in una persona fuori dalla persona, e nonostante la confusione che questo pensiero genera, l’uomo è certo che sia l’immagine più aderente alla realtà dei fatti.

Sopra le teste dei due uomini che procedono zoppicando, un nido di cavi elettrici si annoda tra i lampioni. L’uomo che sale e l’uomo che scende si fermano quasi contemporaneamente, il primo perché viene assalito da un pensiero improvviso mentre l’altro solo per riprendere fiato. L’uomo sposato e consapevole che tra dieci anni sarà completamente – o quasi completamente, o parzialmente perché il concetto di completamente o quasi completamente cambia quando si tratta di fare i conti con le proprie gambe, con le proprie braccia e con il proprio apparato respiratorio, il cuore eccetera eccetera – paralizzato guarda con più attenzione l’uomo che scende e si chiede se nella città in cui vivono non ci sia una percentuale superiore alla media di malattie neurologiche degenerative, prende il telefono e inizia a cercare risultati che confermino o smentiscano il pensiero da cui è stato appena assalito; prova a individuare una corrispondenza tra la presenza di una enorme discarica ai confini della città, la qualità dell’aria, e il numero di persone affette da multipla, laterale amiotrofica, malattie autoimmuni, e finisce per trovare tutto e il contrario di tutto e anche in lui monta una rabbia irrazionale che lo avvicina pericolosamente – o così sente o crede di sentire – a una crisi, un attacco di panico, un momento insopportabile in cui non gli sarà più possibile mantenere l’equilibrio, perfino respirare, rabbia irrazionale che cerca di controllare – è una persona piuttosto equilibrata, o così crede di essere, attacchi di panico a parte – e che a poco a poco si tramuta in una serie di onde che assumono l’aspetto di cali di pressione che non passeranno subito ma che prima o poi verranno assorbiti e lasceranno traccia di sé nella memoria dei muscoli e del corpo, e diventeranno quindi più gestibili, più prevedibili e sembreranno meno terminali anche nel caso in cui lo fossero veramente.

L’uomo che sale cerca di respirare a fondo e stringe i pugni per sentire il proprio corpo, e l’uomo che scende cerca di respirare a fondo e prova a pensare a qualcos’altro, a sua madre, a sua nonna, alla solitudine che lo attende nell’appartamento, a qualsiasi cosa che non sia l’uomo che sale e che forse lo sta prendendo in giro – e che allora non potrà in nessun modo affrontare – o che forse zoppica proprio come lui – e che allora non avrebbe nessun senso affrontare.

I due uomini finalmente si incrociano, e l’uomo che sale fa un passo laterale per mettere dello spazio tra sé e l’altro, abbozza ancora un mezzo sorriso, mentre l’uomo che scende tiene lo sguardo fisso sul marciapiede e, proprio quando l’uomo che sale gli sfila accanto, si piega sulle ginocchia e raccoglie una lumaca che restando lì rischierebbe di farsi schiacciare. La tiene in mano per un po’, stringe il guscio tra le dita aumentando la pressione fino al punto in cui crede di individuare come il limite superato il quale, anche di un niente, il guscio si romperebbe. La lumaca emette una sorta di barrito; l’uomo lo percepisce chiaramente e, interpretandolo come un tentativo di aggrapparsi alla vita, un segnale di una volontà di sopravvivenza, smette di stringere, non perché ne sia impietosito ma perché non aveva idea che le lumache potessero soffiare, barrire, con tanta forza, né che potessero esprimere in modo così chiaro la propria volontà: smettere di premere gli sembra dunque un giusto riconoscimento.

Il guscio non si è rotto, e l’uomo che pur essendo adesso fermo sta ancora in un certo senso scendendo appoggia la lumaca in una zona erbosa al di là di una rete metallica. Si gira e vede l’uomo che sale ormai lontano: zoppica ancora. Poi guarda in direzione dell’edificio poco distante, le luci accese del negozietto di generi alimentari lo rassicurano: comprerà del pane, del latte, una o due bottiglie, magari qualcosa di dolce, pagherà in contanti e saluterà la cassiera augurandole una buona serata o perfino una buona notte. L’uomo adesso smette davvero di scendere e alza lo sguardo: il cielo promette pioggia.

Foto di Hans da Pixabay

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davide orecchio
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Vivo e lavoro a Roma. Libri: Lettere a una fanciulla che non risponde (romanzo, Bompiani, 2024), Qualcosa sulla terra (racconto, Industria&Letteratura, 2022), Storia aperta (romanzo, Bompiani, 2021), L'isola di Kalief (con Mara Cerri, Orecchio Acerbo 2021), Il regno dei fossili (romanzo, il Saggiatore 2019), Mio padre la rivoluzione (racconti, minimum fax 2017. Premio Campiello-Selezione giuria dei Letterati 2018), Stati di grazia (romanzo, il Saggiatore 2014), Città distrutte. Sei biografie infedeli (racconti, Gaffi 2012. Nuova edizione: il Saggiatore 2018. Premio SuperMondello e Mondello Opera Italiana 2012).   Testi inviati per la pubblicazione su Nazione Indiana: scrivetemi a d.orecchio.nazioneindiana@gmail.com. Non sono un editor e svolgo qui un'attività, per così dire, di "volontariato culturale". Provo a leggere tutto il materiale che mi arriva, ma deve essere inedito, salvo eccezioni motivate. I testi che mi piacciono li pubblico, avvisando in anticipo l'autore. Riguardo ai testi che non pubblico: non sono in grado di rispondere per mail, mi dispiace. Mi raccomando, non offendetevi. Il mio giudizio, positivo o negativo che sia, è strettamente personale e non professionale.
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