Il magico potere della danza di comunità
testo e foto di Paola Ivaldi
Il corpo è la nostra casa e la danza è la sua poesia.
Carolyn Carlson
È nato in estate, il gruppo. L’atto fecondante è scaturito dalla call lanciata per i festeggiamenti del ventennale de La Piattaforma – La Città Nuova, il festival teatrale che in quattro lustri ha saputo saldamente radicarsi nel fertile sottobosco del milieu artistico torinese al contempo aprendosi alla cittadinanza e ramificandosi in virtuose quanto inedite azioni creative, una su tutte: la danza di comunità.
Gli incontri, propedeutici alla mise-en-scène della restituzione pubblica programmata per fine ottobre, si svolgono sotto la nobile guida di Raffaella Giordano che, ancor prima del primo giorno, invia al gruppo un messaggio delicato quanto il titolo della performance cui insieme daremo vita: Filo d’Aria.
Quelle di Raffaella sono parole alate, dotate di particolare grazia e luccicano preziose, infondono fiducia: evocano lembi di terra fertile da arieggiare, dissodare, per piantare semi, nutrire il campo, parlano di correnti, spifferi o venti, che ci porteranno suoni, gesti e segreti. I semi del gruppo potranno germogliare verso il cielo o silenziosamente avanzare dentro terre nascoste. Chi può dirlo?
Il gruppo assume dunque, a fine giugno, una propria forma germinale per dare avvio alle prove, inizialmente chiamandosi semplicemente con i nomi di coloro che ne fanno parte ed essendo del tutto ignaro di che cosa sia il campo di cui scrive Raffaella nel proprio messaggio. Il campo lo faremo noi, ma questo lo metteremo a fuoco solo più avanti.
Le prove sono distribuite in tre distinte sessioni: cinque giorni a cavallo tra giugno e luglio, cinque a settembre, un’intera settimana a ottobre che si chiuderà con la restituzione finale di fronte al pubblico nell’ambito di “FESTE”, l’evento che, dal 28 settembre al 31 ottobre, fungerà da contenitore di numerose tappe di celebrazione dell’arte, della comunità, della natura, con il contributo appassionato di dodici coreografi, trenta musicisti, novanta performer.
La danza di comunità si basa sul coinvolgimento attivo di persone con età e abilità eterogenee e comunque non danzatori professionisti. Il gruppo che siamo noi, infatti, risulta molto diversificato sia sotto il profilo anagrafico, che va dai 25 ai 68 anni, sia per provenienza e interessi, ma – e questa è la sensazione straordinaria che fin da subito si rivela quasi tangibile – siamo accomunati dal desiderio di dissodarlo e nutrirlo, quel campo che torna e ritorna nel discorso, non solo coreografico, di Raffaella.
Durante le quattordici giornate dedicate alle prove, in tutto una cinquantina di ore distribuite in un arco temporale di quattro mesi, nel tentativo di dare anima e corpo alla nostra architettura immaginaria, ho appuntato sul taccuino molte domande e poche risposte. Impariamo a familiarizzare con l’apparente disordine del nostro movimento all’interno del campo, entrando in confidenza con il tantissimo poco o il pochissimo tanto. L’incitamento ricorrente di Raffaella è, senza ombra di dubbio, release!
La difficoltà maggiore, almeno per me, è quella di conciliare la vita lavorativa e le esigenze famigliari con la disciplina degli orari; poi c’è il corpo, a volte impacciato, ingolfato, così poco allenato a dare adeguata attenzione e cura al gesto, al movimento, al rapporto tra gli spazi e gli oggetti, tra il vuoto e i corpi, tra noi-soli e noi-insieme… alone together.
Per l’intensità dell’impegno richiesto dalla full immersion di ottobre decido di concedermi qualche giorno di ferie. E mi sorprendo a considerare che non ho valigie da preparare né tantomeno check-in online da effettuare. Mi appresto, infatti, a compiere il tratto finale di un viaggio intrapreso nel raggio di pochi chilometri da casa. Avverto l’intima gioia di un privilegio, quello di addentrarmi, a piccoli passi, nel territorio della prossemica, per esplorare una geografia misteriosa, che dà infinito spazio alla poetica del movimento ed è in grado di nutrire, di un nettare sublime, i rapporti fisici tra gli esseri umani messi così a dura prova dalla crudele velocità e dalla distrazione di massa oltre che dalla graduale dissolvenza dei medesimi in una sorta di impostura virtuale.
Al termine di ogni incontro, la voce carezzevole di Raffaella scioglie come per incanto tutte le tensioni muscolari: dai, forza, facciamo il nostro cerchio… al che noi, stanchi e remissivi, molliamo tutto, morbidamente sedendoci a terra, esprimiamo gratitudine per il lavoro svolto insieme, gratitudine verso il gruppo. Gratitudine, indugiando in un silenzio lieve di piuma. Perdutamente offline e felici, ci teniamo per mano, chiudiamo gli occhi. Stiamo. Siamo.
Il gruppo, che nel frattempo non si chiama più Cristina Gaia Giuseppe Lorenzo Michela Nadia Paola Silvia, essendo stato promosso a “comunità estemporanea di cittadinanza artistica” (così veniamo presentati nella brochure e in conferenza stampa), si esibisce il 29 ottobre nella sontuosa scenografia del Salone d’onore della Palazzina di caccia di Stupinigi, patrimonio UNESCO dal 1997. Nata per il piacere e il divertimento della corte sabauda, luogo di sofferenza e di morte per un numero incalcolabile di animali, l’inconsueta location viene appositamente scelta per essere abitata da dispositivi artistici trasversali, facendosi palcoscenico di riconciliazione per molti degli eventi di “FESTE”.
“Connessi con la domanda se sia possibile che la danza trasformi la nostra relazione con la natura, abbiamo aperto il campo all’ascolto e seminato indizi nella fiducia di potervi accogliere in questo spazio comune”. Le parole di Raffaella sostengono e, a loro volta, sono rinvigorite dal paesaggio sonoro della performance che si apre con il potente bramito di un cervo e si chiude con la voce di Laurie Anderson… love… compassion… le parole si levano alte nell’ampio Salone juvarriano, restando come sospese per poi andarsi auspicabilmente a sedimentare nelle coscienze dei più.
Nel mezzo, tra il cervo e Laurie Anderson: noi, alle prese con i nostri corpi e il filo d’aria che – adesso lo sappiamo – altro non è che il respiro: il gruppo, alleandosi con la forza di gravità, si assume la responsabilità dei propri movimenti, di esserci, stare, in una semplice naturale nudità identitaria, senza cadere nella trappola di una lentezza di autocompiacimento, senza cedere alla tentazione di esibirsi, ma limitandosi a esporsi allo sguardo altrui.
Filo d’Aria ormai alle spalle non posso tacere che il farne parte è stato un dono inatteso e un grande privilegio: il lungo processo di paziente tessitura della sua trama ha acceso sorprendenti scintille creative, scaldato cuori intirizziti, rinnovellando fede nei rapporti umani. Come diceva Pina Bausch? Danziamo, danziamo… altrimenti siamo perduti.
Nella mia città ideale realtà associative come La Piattaforma – La Città Nuova dovrebbero avere davanti a sé una vita lunga e fertile, contribuendo a fare di una città danzante una città più felice. Nella mia città ideale le opportunità di incontro e aggregazione andrebbero incoraggiate e sostenute, alimentando un’attività artistica variamente declinata, supporto inclusivo e generativo di una rete di sostegno su scala locale; l’arte intesa non solo come esercizio di passiva contemplazione, ma concepita anche in plurime forme partecipative.
La danza di comunità, sempre nella mia città ideale – quasi utopistica, ancora invisibile, ma non impossibile – è in grado di esercitare un’azione di resistenza verso quella forte corrente che ci sta spingendo, con metodica ostinazione, in direzione opposta, tendendo a incurvare le schiene e a piegare verso il selciato sguardi sempre più miopi di persone sempre più sole.
Ecco: il magico potere della danza di comunità consiste nella capacità di creare spazi e tempi di gioia collettiva, così utili a coltivare il campo di cui ci scrisse Raffaella in un mese di giugno che pare già così lontano, ma ancora ci vive dentro, soleggiando le nostre terre nascoste.