Memorie da Gaza #1
“Quella è mia sorella minore che riposa in una fossa comune”
di Yousef Elqedra
03:00… il bombardamento
Dormivano, tutto qui, quando alle tre del mattino, gli aerei dell’occupazione israeliana hanno fatto crollare la casa sopra le loro teste, riducendo in un solo attimo tre piani in macerie.
In pochi istanti abbiamo perso ogni singola persona che abitava nella casa, proprio nel centro della città. Sono morti tutti coloro che si trovavano all’interno, per un totale di ventisei martiri, per lo più donne e bambini. Tra le vittime c’erano mia sorella Shaima, sua figlia Marwa e suo marito, tutti uccisi nel brutale bombardamento israeliano.
06:00
A causa delle difficoltà di comunicazione, abbiamo ricevuto la notizia alle sei. Mio fratello ed io ci siamo precipitati sul posto, impotenti di fronte alle macerie che sembravano necessitare di un potere divino per essere rimosse. Fin dal primo momento, sapevo che non c’era speranza, che nessuno sarebbe potuto sopravvivere. L’esplosione aveva schiacciato i vari piani l’uno sopra l’altro. Le squadre della Protezione civile hanno fatto attenzione a qualsiasi rumore, cercato ogni corpo, ogni segno di speranza tra le rovine. Ma lì non c’era altro che un’opprimente impotenza e l’odore della morte.
09:00
Abbiamo aspettato fino alle nove del mattino quando è arrivata una ruspa che ha tentato di rimuovere le macerie. Dopo ore di lavoro attento ed estenuante, sono stati rimossi i corpi di cinque bambini e trasportati all’ospedale Nasser. La ruspa ha continuato a lavorare fino a quando non ha potuto più andare avanti. Purtroppo le macerie potevano essere rimosse solo attraverso macchinari specializzati.
11:00
Alle undici di quella mattina sono arrivati sul posto le ambulanze e gli uomini della protezione civile. Tutti aspettavano con ansia l’arrivo del macchinario “al-Baqir” specializzato nella rimozione di macerie, che aveva impiegato molto tempo per accedere al luogo. Manovrando Al-Baqir hanno iniziato a rimuovere con perizia i soffitti e i muri crollati, in un processo che ha richiesto quattro ore.
15:00…verso la fossa comune
Alle tre del pomeriggio ventisei corpi sono stati estratti da sotto le rovine. Nessuno era sopravvissuto. Le ambulanze hanno trasportato i corpi all’ospedale, dove sono stati controllati, identificati, documentati, avvolti in sudari. Dopo l’ultimo addio, è stata recitata una preghiera per loro nel cortile dell’ospedale. Poi sono stati caricati sul retro di un camion, portati al cimitero e infine sepolti in una fossa comune.
Mia madre… la nonna con il cuore spezzato
La verità è che erano tutti addormentati nei loro letti ed è così che sono rimasti. Mia sorella Shaima era la figlia più piccola, quindi quella più amata e più viziata da mia madre. Essendo l’ultima, era la più vicina a lei negli ultimi 21 anni. Una vita breve, come quella della nipote Marwa, che non aveva ancora compiuto due anni. La notizia della perdita ha spezzato il cuore di mia madre, eppure di fronte a chiunque la guardi, lei è orgogliosa, più forte di una montagna, resistente, paziente, composta, sempre in preghiera e colma di gratitudine. Conserva le sue lacrime per il prossimo inverno, quando nessuno sarà in grado di distinguerle dalla pioggia.
Mio padre… “Ciao Sido”
Per quanto riguarda mio padre, è stata la prima volta che l’ho visto piangere, in ospedale, vedendo Shaima e sua figlia, con i loro corpi spezzati che giacevano lì. Piangeva, piangeva come un bambino. Aveva vegliato insieme a loro fino a tardi quella notte e mentre usciva di casa, sua nipote Marwa si è aggrappata a lui, dicendogli: “Ciao, Sido! (nonno)”. Mio padre continuava a ripetere questa frase più e più volte all’ospedale, al cimitero e al ritorno. Era in uno stato di shock, inorridito. Ho temuto che perdesse la testa, rendendomi conto di quanto fosse profondamente legato a loro e di come fossero il fulcro della sua vita, che aveva dedicato a loro.
Esiliato dalla mia storia a quelle degli altri
Quanto a me, ho lasciato Shaima undici anni fa, quando aveva dieci anni. Al mio ritorno a Gaza, ho scoperto che si era sposata e aveva una figlia che le somigliava incredibilmente sia nell’aspetto che nello spirito. Lei è stata la gioia che mi ha accolto al mio ritorno in patria, e ci ha reso felici, una felicità di breve durata culminata in una lunga giornata in spiaggia il venerdì precedente “la guerra”. La guerra che ha divorato quel poco di vita rimasta in questo piccolo lembo di terra assediato da diciassette anni.
Non ho ancora pianto mia sorella, sua figlia o suo marito. Non ho ancora sparso una sola lacrima per loro. Subito dopo la sepoltura, mi sono preoccupato di raccontare le storie delle persone sfollate dal nord di Gaza al sud, mentre la mia storia è stata dimenticata nel mezzo, come se non ne avessi una mia, come se fossi stato esiliato dalla mia storia verso quelle degli altri.
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Yousef Elqedra è un poeta palestinese residente a Gaza. Questo testo è stato pubblicato per la prima volta in arabo su Raseef22; qui la versione inglese. Su Nazione Indiana appare nella traduzione di Sana Darghmouni e Pina Piccolo.
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Grazie a Sana Darghmouni e Pina Piccolo, e a Renata ovviamente, per permetterci di leggere questo straziante diario. E’ importante non essere costretti soltanto a vedere delle immagini (quelle televisive, di Gaza bombardata, commentate o meno quasi sempre da giornalisti occidentali).
Il poeta-scrittore riesce a rendere il senso di irrealtà, di assurdità dell’accaduto. Intere famiglie, bambini piccoli spariscono sotto le macerie, nelle fosse comuni. Di quello che sono stati sembra non restare nulla. I bombardamenti si susseguono e bisogna parlare solo della fuga, degli spostamenti da una parte all’altra per evitare di essere colpiti. Non c’è tempo per pensare ai propri morti, per elaborare qualcosa di così terribile e ingiusto che si sta abbattendo su così tante persone indifese: “… la mia storia è stata dimenticata nel mezzo, come se non ne avessi una mia, come se fossi stato esiliato dalla mia storia”.