Sotto il cielo del mondo
Gianni Biondillo intervista Flavio Stroppini
Flavio Stroppini, Sotto il cielo del mondo,
Gabriele Cappelli editore, 2020, 168 pagine
Uno dei temi fondamentali del tuo libro è la paternità. Quella all’apparenza negata ad Alvaro, il tuo protagonista, quella che dovrà vivere lui, essendo il tuo romanzo una lettera indirizzata alla figlia che verrà. Credi che oggi sia necessaria una ridefinizione del ruolo paterno?
Viviamo un periodo storico e sociale che ha portato a una ridefinizione del ruolo del padre. Fortunatamente l’autoritarismo del padre-padrone ha perso legittimità e interesse. All’interno del nucleo familiare ciò che è più importante è la coesione dei genitori nelle strategie educative. Credo che nella necessità di aiutare le nuove generazioni a capire, vivere e sognare il mondo che lasceremo loro in eredità la cosa più importante per un padre sia “esserci”.
Sotto il cielo del mondo è, a ben vedere, un viaggio iniziatico. Una sorta di giro per i porti di mare di mezzo mondo fatto da un uomo di montagna. Che rapporto nostalgico esiste, per un ticinese, nei confronti di questi paesaggi conradiani?
Ho sempre trovato la gente di mare simile a quella di montagna. In quei luoghi la grandezza della natura e i suoi tempi portano l’uomo a concepirsi non al centro del mondo ma piccola parte di esso. Gli elementi regolano il vivere delle comunità e l’uomo si adatta creandosi un carattere all’apparenza rude e selvatico. Mi è sempre piaciuto immaginare le isole come montagne capovolte, dove il cielo diventa il mare. Più che un rapporto nostalgico, quello con i paesaggi “di mare” raccontati nel romanzo, è un’occasione per guardarsi allo specchio.
La tua scrittura è continuamente “sopra le righe”, piena di immagini al limite del surreale (penso alle mucche volanti) e con toni trasognati e lirici. È una fiaba, in realtà, quella che racconti?
Ho bisogno di respirare i luoghi che racconto, di sbatterci addosso. Se lavorassi solo seduto alla scrivania di casa mi scatterebbe un allarme ogni volta che “un qualcosa” mi appare “al limite”. Invece è proprio vero che la realtà supera la fantasia. Se stiamo per un po’ fermi da qualche parte e osserviamo… abbiamo sempre delle sorprese. Ogni porzione di mondo riserva dei momenti “sopra le righe”. Ad esempio “la vacca volante”, una bestia ferita trasportata a valle da un elicottero, che ho visto mentre riposavo nei dintorni di un alpeggio.
(se v’interessa, l’incipit del romanzo l’abbiamo pubblicato qui)