Le solitudini smarrite di Paolo Zardi: “La meccanica dei corpi”
di Daniele Ruini
Sopportare la vita: questo è pur sempre
il primo dovere d’ogni vivente.
(S. Freud, Considerazioni attuali sulla guerra e la morte)
Quante sono le circostanze che possono mettere un essere umano all’angolo? E come reagiamo quando siamo alle strette o quando ci sentiamo ormai completamente estranei al mondo che ci circonda? Non so se Paolo Zardi sia partito da domande analoghe, ma di certo nelle cinque storie raccolte in La meccanica dei corpi (Neo edizioni) il prolifico autore padovano –tornato in libreria a due anni dal romanzo Memorie di un dittatore (Giulio Perrone editore)– coglie i suoi personaggi in momenti di profondo smarrimento. E come già per una sua precedente raccolta, Il giorno che diventammo umani, anche in questo caso il titolo –che rimanda alla citazione newtoniana in epigrafe– condensa in maniera suggestiva ciò che Zardi ha voluto raccontare, ovvero il modo in cui funzioniamo quando mettiamo in moto una reazione a una situazione che ci sfugge di mano e che quasi sempre è, in realtà, il prodotto di nostre scelte.
Quelle offerte da Paolo Zardi sono vicende di deragliamento a partire da un momento di crisi; può trattarsi dell’azzardo compiuto per non affogare in un contesto lavorativo sempre più soffocante; della percezione da parte di un vecchio di aver esaurito le motivazioni per rimanere in vita; del tentativo di aprirsi a incontri bizzarri per dare un’ultima chance a un’esistenza solitaria; di un incidente che sposta gli equilibri e sfigura le relazioni più intime; dell’incapacità di sottrarsi a un desiderio tanto travolgente quanto autodistruttivo.
Complessivamente ne La meccanica dei corpi domina un senso di solitudine e scadimento del presente. Il nostro tempo, così come emerge da queste storie di ambientazione contemporanea (si citano lockdown, lavoro a distanza e mascherine), è un’epoca di scarsa socialità, avidità e ultracompetizione; non a caso torna più volte la metafora della lotta per la sopravvivenza, una lotta che riguarda tutti e in cui anche chi sembra trovarsi stabilmente dalla parte dei vincitori, come il protagonista dell’ultimo racconto (Il Signor Bovary), può soccombere.
Curiosamente il libro si apre con la descrizione di una città, ma in verità tutti i racconti si svolgono in provincia. E Zardi si mostra molto abile nel pennellare con pochi tratti dettagli che, da soli, compendiano lo squallore di ambienti ed esistenze ordinarie; penso, per esempio, nel primo racconto, al padre che va a prendere la figlia in stazione «con il pigiama sotto il maglione e un pezzo di salsiccia ancora incastrato tra i denti»; oppure, nel quarto racconto, alla descrizione di una vecchia zona industriale i cui marciapiedi sono occupati da «bottiglie rotte, sacchi dell’immondizia, scarpe abbandonate: ingredienti di un mondo finito chissà quando».
Se è vero che «c’è una calamita piazzata davanti a tutti, e tutti andiamo in quella direzione, ciechi e sordi a ogni distrazione», lo scivolare verso il centro di un imbuto (altra immagine adoperata da Zardi) dei personaggi de La meccanica dei corpi non rappresenta nient’altro che il compimento dei loro destini, un compimento che non ha alcuna spiegazione se non il suo stesso manifestarsi. E il lettore precipita insieme a loro, trascinato da un autore che non lascia respiro e che sa maneggiare come pochi la meccanica del racconto.