Tre testi da Tande, di Rosaria Lo Russo, e una nota

di Renata Morresi

Leggo Tande e mi chiedo come accade. Come fa Lo Russo a raccontare senza racconto? A interrogare le dispotiche autorità del DNA e del caso, così ineluttabilmente alleate insieme, e a implicare – sin dall’inizio, “sulle note dell’inno nazionale” – mezzo secolo di costruzione (e crolli) della società italiana? A favoleggiare in fughe di lemmi che si autogenerano da una stessa scintilla sonica, eppure centrano il vulnus? A demistificare la poesia simbolista, romantica e post, come pure le maschere moderniste, idem le diversioni postmoderne, e rimanere immersa nella pletora di una poesia di mille anni? E niente meno che a sondare “la verità di questo mondo”, come diceva Bardamu, “la morte”. Segreti dell’incastro da maestra d’ascia, scatenamento dell’eccesso d’una ministra del sabba – dovrei saperlo, dopo quasi quattro decenni di scritture in cui Lo Russo convoca vaste molteplicità di soggetti, simboli, allusioni, registri, e per sfidarli tutti. Eppure, in Tande qualcosa di ulteriore accade se nel riandare a “mamma_memento_mori” e “bramebabbo”, indagando il nucleo urticante e sempre sfuggente dell’origine, di sé come della poesia, “la puntura al centro dell’occhio”, Lo Russo scova il modo per perlustrare un furore più vasto del conflitto primario personale. E mostra quei meccanismi psico-sociali perversi che, nell’illusione del completo controllo e dell’eterna perfettibilità, con la scusa di reprimere e ammansire, lasciano dilagare le pulsioni più violente. Esse si scatenano sugli inermi, su chi è fragile e instabile, e prima ancora sui bambini e le bambine, tutti loro doppiamente vittime: sia dell’accumulazione egoista, ossessiva, financo criminale, che produce rovina e soffoca ogni tenerezza, sia di un universo opaco, integerrimo solo a seguire il suo plumbeo arbitrio – “nessun divieto, nessuna legge, nessuno Stato, Nessuno”. Non consolazione ma modalità di resistenza sarà allora il “godere contro” dell’esuberanza linguistica in Tande: l’energia gergale e colta, la parodia grammaticale, i diminutivi e i soprannomi, i regionalismi e le criptocitazioni, il canone e il pop, le parti della frase usate al posto sbagliato e le onomatopee, fino al rastremarsi del verso che sulla pagina cola non l’espressione ma l’esplosione del sé, tutto contribuisce a far riemergere il “grumo” sepolto, a disseppellire risorse spirituali inaspettate. La parola “Tande” stessa, inventata e piena d’echi, acefala o contratta, che suona straniera, che si svela intima, è indefinibile e realissima. Designa un oggetto transizionale e lo è già in sé in quanto neologismo, come lallatio variata della bambina che non sa ancora parlare e come rappresentazione del non dicibile, di un dire che è stato superato. In questo spazio di negoziazione Lo Russo allestisce la scena famigliare, fatta di icone, incubi, visioni mistiche e grottesche, ironie dal feroce al commosso, memorie popolari, fascismi di ritorno, deliri notturni, possessioni del corpo. È una sinfonia in più movimenti, con temi e motivi ricorrenti, e sfidanti performance orali. Lungo questa via matris, tra l’ingoiamento e il rigurgito, prende forma un’orazione per cercare di accettare tutto il male, il miele e la lama – “la vostra lama di miele / m’incide la gola” – e trasformarlo in parola, autoscoperta, comprensione, anche per le struggenti figure passate “nell’Amore Enorme”. Da esso, già nato per eco, attraverso la materia sonora passa un appello: continuare a processare la sostanza del dissesto.

*

 

Porto a spasso il tuo modo di camminare

Io odio mia madre
Mia madre odia me
Un’ecatombe colombiana

La poesia è il vomito
per cui non mi sorregge la fronte
perciò odio la mia poesia

Io ti stimo, dice uno
Io mi uccido, fa l’altro.

 

 

Sospinte dal vocio della piazza, sopraggiungono
lungo la salita accosto al cimitero di Sant’Antonio
note dell’inno nazionale, come da un sogno di sepolti.
I tonfi delle grancasse, attutiti dal silenzio circostante,
una folata lieve, breve il suono si sfoglia dalle cime
dei cipressi, si arresta, recede, ritorna e riposerebbe nella coclea
se non provvedesse lesto a interdire ogni pace un sogghigno di disgusto
dietro la mascherina, che avrei potuto anche sollevare qui all’aperto
se non fosse che i fasci sono tornati solo da voi, da me ci sono
sempre stati. Soppesando con una spallata se meglio cremare e disperdere
i resti o tumulare e lasciare un segno di sé per qualche tempo ancora,
quando succederà, mi dico, spero solamente che la mente sia da tempo
immemore avvolta nella chiocciola muta del corpo come in un sudario.

 

 

Mamma_memento_mori, quante volte me ne sono andata,
lo sguardo fiero e terso, al tre per due dei tuoi panettoni, pagando
poi, a conti fatti, più del dovuto, da costola figlia, a un’idea provvista
di cuccagna? Mammapalazzo senza architettura, puro cemento armato,
grigio trionfo dei colori freddi, a chi debbo ricorrere per reclamarti?
Quale papagna mediti di scodellarmi nella cesta cranica dei giocattoli?
Profumi? Tue secrezioni? Balocchi? La bambola Luca col pisellino?
Vuoi che
Fare pipì? Fare popò? Lavarmi la chicca e il sedere? Questo che vuoi, vuoi
che mi lavi?                           Tu vuoi.
Tu non vuoi me.
Tande
Il Cicciobello che non posso tenere in braccio? La tua camicia di seta lacera
che non devo strusciarmi sulla bocca? Ecco, lacerazione, strappo, sbrego
e sotto sotto
il fondo apatico
di me a scaniconi
di me a ciondoloni
me, lo sfondo atipico
entro cui muovere i primi passi come del resto gli ultimi.
Tande
Volente o nolente te.

 

 

*

Tre testi estratti da Rosaria Lo Russo, Tande, Vydia 2023.

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renata morresi
renata morresi
Renata Morresi scrive poesia e saggistica, e traduce. In poesia ha pubblicato le raccolte Terzo paesaggio (Aragno, 2019), Bagnanti (Perrone 2013), La signora W. (Camera verde 2013), Cuore comune (peQuod 2010); altri testi sono apparsi su antologie e riviste, anche in traduzione inglese, francese e spagnola. Nel 2014 ha vinto il premio Marazza per la prima traduzione italiana di Rachel Blau DuPlessis (Dieci bozze, Vydia 2012) e nel 2015 il premio del Ministero dei Beni Culturali per la traduzione di poeti americani moderni e post-moderni. Cura la collana di poesia “Lacustrine” per Arcipelago Itaca Edizioni. E' ricercatrice di letteratura anglo-americana all'università di Padova.
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