Articolo precedente
Articolo successivo

Freud, la Coca-Cola e gli antidepressivi

 

È da poco disponibile una nuova edizione del saggio di Laurent de Sutter Narcocapitalismo. Vita e psicopolitica nell’era dell’anestesia, pubblicato da Ombre Corte.

Ospito qui alcune pagine in anteprima.

 

5.Una pagina pubblicitaria

 Nel 1863, […] un farmacista còrso con sede a Parigi, Angelo Mariani, lanciava sul mercato un prodotto inedito[1]. Questo si presentava come un “vino tonico”, e consisteva nell’infusione di foglie di coca in un vino di Bordeaux – infusione che liberava gli alcaloidi contenuti nella foglia, tra cui, ovviamente, lo “stimolante” quale era la cocaina[2]. Se Mariani non fu il primo a commercializzare una tale bevanda, fu tuttavia un pioniere nell’uso dello strumento che ne assicurò il successo, rendendo il “vino Mariani” una delle bevande più famose ed elogiate della fine del xix secolo. L’epoca brulicava di ciarlatani che proponevano al pubblico prodotti più o meno adulterati attraverso le “réclame” che apparivano sui giornali, bisognava perciò inventare un metodo pubblicitario che si distinguesse da quello dei suoi concorrenti. Mariani fece in modo che le più grandi celebrità del tempo, tra cui diversi pontefici e capi di Stato, ricevessero in dono delle casse del suo vino, nella speranza di ottenere un complimento in cambio, che avrebbe poi utilizzato nel promuovere il suo prodotto. La strategia funzionò così bene che poté raccogliere le dichiarazioni dei suoi illustri patrocinatori in album illustrati dai più grandi artisti del suo tempo, e poi creare una serie di prodotti derivati e di eventi che assicuravano che non si smettesse di parlare del suo vino[3]. Come il successo di Merck, anche quello di Mariani attirò subito numerosi competitori – ma la qualità incontestabile del prodotto, unita all’irresistibile tecnica di marketing del còrso, impedì che diventassero dei concorrenti temibili. La progressiva adozione di leggi per combattere il consumo di alcol negli Stati Uniti, uno dei più importanti mercati per i produttori di “vino tonico”, non aiutò; lo stesso Mariani finì col risentirne – anche se la sua bevanda alla coca continuò a vendersi fino al 1920[4]. Alcuni, tuttavia, riuscirono a eludere i divieti di cui furono vittime Mariani e i suoi concorrenti; il più importante era un certo John Pemberton, produttore di un French Wine Coca, ad Atlanta, che finì per sostituire uno sciroppo al vino e a commercializzare la sua bevanda con il nome di Coca-Cola[5].

 

  1. The Coke Side of Life

 Come il vino Mariani, la Coca-Cola introdotta da Pemberton nel maggio 1886 conteneva l’equivalente di una decina di grammi di cocaina per litro e si supponeva avesse le stesse proprietà stimolanti e toniche di quello – era semplicemente priva d’alcol[6]. Invece di venderla come un medicinale, il farmacista decise di farne una “bevanda rinfrescante” che si poteva acquistare nei negozi di alimentari; il successo non arrivò, e Pemberton vendette la sua invenzione, prima di morire a causa della sua dipendenza dalla morfina[7]. Se il prodotto conobbe in seguito la fama che sappiamo, fu grazie al genio commerciale di Asa Candler, l’uomo d’affari che acquistò da Pemberton il nome e la formula della “Coca-Cola”, e stabilì la forma della bottiglia, divenuta un’icona, nel 1915. Nel frattempo, nel 1903, la Coca-Cola si era sbarazzata della cocaina che conteneva, anche se l’infusione di foglie di coca continuava – e continua, grazie a una eccezione fatta su misura, che compare nell’articolo 27 della Convenzione unica sugli stupefacenti delle Nazioni unite (1961) – a far parte della sua formula. Questa eccezione, che autorizzava The Coca-Cola Company a importare dalla Bolivia delle foglie di coca per uso proprio, godette del concorso di Harry J. Anslinger, una delle personalità più ambigue della storia della guerra alla droga condotta dagli Stati Uniti[8]. Primo capo dell’Ufficio federale dei narcotici, non smise di dare delle droghe, in particolare della marijuana, la peggiore immagine che ne sia mai stata data, ricorrendo a tal fine alle tecniche di disinformazione più spudorate – con il sostegno dei titoli dei giornali di William Randolph Hearst e del gruppo Dupont di Nemours. Scandali montati di sana pianta, associazione del consumo di droghe con le popolazioni “pericolose” (cioè non bianche) ecc., facevano parte dell’arsenale al quale Anslinger attingeva per giustificare il suo lavoro, e chiedere più fondi per il suo dipartimento. Anche se i suoi metodi avrebbero finito per interrompere la sua carriera, il presidente Kennedy lo nominò comunque, prima del suo pensionamento, rappresentante degli Stati Uniti alla Commissione delle Nazioni Unite sui narcotici[9]. Non era il minore dei paradossi che l’uomo della guerra alle droghe fosse anche quello con cui una delle più grandi industrie che traeva profitto dalla coltivazione della coca ha potuto continuare a fornirsi di materia prima – escludendo qualsiasi concorrenza. Eppure, a pensarci bene, questo paradosso era del tutto logico: si trattava di una dipendenza come un’altra.

 

  1. Introduzione alla farmacologia economica

 Dalla Merck alla Coca-Cola, passando per Mariani e i suoi imitatori, la cocaina ebbe, all’inizio dello sviluppo del capitalismo industriale, un ruolo simile a quello che avrebbe dovuto avere sui suoi consumatori: il ruolo del più potente degli stimolanti. Fu grazie a questa droga (e ad alcune altre della stessa famiglia) che la moderna industria farmaceutica potè iniziare a svilupparsi e che il mercato della lotta contro la nevrastenia divenne un’impresa così redditizia che fece scomparire i piccoli giocatori quali erano i vecchi imbonitori. Era evidente che un tale sviluppo non poteva avvenire senza che imbarazzanti zone d’ombra ne accompagnassero il movimento – e, in effatti, la cocaina si incrocia sempre là dove il capitalismo moderno è più soggetto a sospetti di corruzione, vale a dire nelle sue relazioni con i poteri pubblici. Che si tratti della funzione svolta dalle sostanze narcotiche durante la Seconda guerra mondiale (e, in generale, in tutta la storia delle guerre del xx secolo) o del modo in cui queste sostanze si sono nascoste, sotto altri nomi, nella farmacopea in tempo di pace, il lato oscuro della modernità è impensabile senza di esse. Il progressivo confinamento della cocaina ai margini della legalità non ha cambiato nulla: ancora oggi l’economia del mondo si regge sulla circolazione del denaro prodotto dalla estrazione, dalla trasformazione e dal commercio dell’alcaloide. Al momento della crisi dei subprime, nel 2007, fu anche il frutto del traffico di cocaina che permise alle banche, messe in difficoltà dalle loro stesse martingale, di sopravvivere, il tempo che gli Stati mettessero mano al portafoglio per toglierle dai guai. Per alcuni mesi, mentre gli investitori tradizionali ritiravano i loro soldi dalle banche, solo i trafficanti di droga continuarono a iniettare liquidità nel sistema – di cui essi avevano bisogno per dare a quest’ultime un aspetto legale[10]. Così come la cocaina aveva reso possibile il capitalismo industriale, ad essa era affidato il compito di salvarlo da se stesso, dopo essersi ubriacato della sua stessa potenza, dopo la svolta della finanziarizzazione – nata, da un altro paradosso, nello stesso periodo della War on Drugs. Ciò non poteva che ricordare gli argomenti di vendita avanzati da Merck quando la compagnia di Darmstadt cercò di persuadere i medici europei che la cocaina aveva principalmente lo scopo di trattare la dipendenza dalla morfina – cosa che, da un certo punto di vista, non era falso[11]. In ogni caso, si trattava di aspettarsi da un veleno che diventasse il suo stesso rimedio.

 

  1. All’alba sorgerò

 Le conclusioni delle ricerche di Freud erano inequivocabili: la cocaina era una sostanza il cui effetto principale era di rendere possibile un’attività che non lo era senza di essa – realizzando una sorta di allontanamento da ciò che lo impediva. In altre parole, la cocaina era un operatore di efficacia: quando un individuo soffriva di difficoltà associate a uno stato depressivo, o a disturbi fisici, la sostanza permetteva di sconfiggere questa sofferenza. Era in questo senso che poteva essere detta “stimolante” (o, come nel caso del vino Mariani, “tonica”): spingeva all’azione – rendendola possibile rimuovendo tutto ciò che resisteva alla stimolazione. Per “resistenza” bisognava intendere tutto ciò che era associato al freno che la materia può sempre porre – o meglio: il freno che la materia, per sua stessa natura e densità, non può impedirsi di costituire, come il corpo e i suoi organi. Grazie alla cocaina, il luogo dell’azione si spostava dal corpo motore alla pura volontà, all’esercizio delle facoltà mentali distaccate da ogni contingenza diversa da quella della propria potenza, come se fosse possibile che la materia non ne fosse nient’altro che la serva. Quando Freud sosteneva che la cocaina consentiva di ricreare l’“eccitazione” dove questa sembrava essere svanita, probabilmente intendeva dire che il prodotto che ordinava a prezzo d’oro alla Merck lo liberava da tutto ciò che gli impediva di agire – cioè da se stesso. La cosa più importante, tuttavia, non era il fenomeno di ablazione che osservava, ma il fatto che questo conduceva a una mobilitazione; la cocaina rendeva mobili, attivi, efficaci; consentiva di svolgere i compiti più difficili e urgenti senza il minimo sforzo. Insomma, la cocaina era il carburante del cervello – era ciò che permetteva al cervello di essere se stesso, quando il resto di sé (vale dire il corpo) era ignorato, in modo che esso potesse dedicarsi senza riserve al godimento del proprio funzionamento. Freud non arrivava a dire che l’assunzione di cocaina lo rendeva più intelligente o più chiaroveggente; non aveva ancora raggiunto lo stadio megalomaniaco del cocainomane – ma c’era tuttavia un po’ di questo nei suoi scritti sull’argomento. In realtà, era piuttosto nell’intimità della corrispondenza che intratteneva con la sua fidanzata, Martha, che dava libero sfogo alla descrizione lirica di ciò che la cocaina gli faceva fare durante le cene mondane – ma i suoi articoli scientifici non erano meno elogiativi[12].

 

  1. Della stessa materia dei sogni

 Che la cocaina costituisse un principio di efficacia soggettiva, e che questo principio assumesse la forma di una sorta di astrazione rispetto alla materia e al suo carattere di vincolo, era la principale lezione che si poteva trarre dai testi che Freud aveva dedicato alla sostanza. Ma i suoi rapporti con la Merck, così come il modo in cui la compagnia poteva servire da metonimia del funzionamento del capitalismo industriale, avrebbero già dovuto far sospettare che probabilmente c’era qualcosa di più. Ciò di cui si parlava, con la cocaina, era di una sorta di logica del distacco – una sorta di processo di dematerializzazione generale, che toccava tutte le dimensioni della realtà, tanto che si trattasse di quelle di un soggetto come di quelle di un universo sociale. La cocaina era il principio di efficacia di un mondo diventato fluttuante – mondo in cui più nulla contava, se non il libero dispiegamento delle potenze permesse dall’oblio di tutto ciò che poteva reprimerle, in qualunque campo. Del resto, questo è ciò che la storia del commercio della cocaina finisce per rivelare: non c’era alcun limite o regola che potesse opporvisi – oppure, se c’era, si poteva fare altrettanto bene come se non esistesse, dal momento che nessuno aveva un senso. Quando Richard Nixon lanciò la sua War on Drugs, in una conferenza stampa nel giugno 1971, sapeva benissimo che sarebbe stata una guerra senza speranza, poiché ogni nuovo tentativo di contenere il commercio della cocaina lo avrebbe visto sfuggirgli ancora di più[13]. Del resto, forse questo era il suo scopo: fare in modo che fosse attuato una sorta di movimento di lotta astratto, la cui esistenza e consistenza fosse solo puro flusso o pura forza – puro gesto di decisione senza alcuna relazione con la realtà che doveva combattere. Sintomaticamente, fu sempre nel 1971 che Nixon decise di sospendere la convertibilità del dollaro in oro, decidendo così sia la fine degli accordi di Bretton-Woods, che avevano più o meno stabilizzato l’economia mondiale, sia quella di ogni rapporto della moneta americana con il suo standard di riferimento[14]. Improvvisamente, il sistema economico mondiale si trovò immerso in una specie di plastica follia, il cui primo effetto fu il dispiegamento della finanza, gigantesca macchina per produrre denaro che non ha altro riferimento che il proprio valore. Così come la guerra alla droga ebbe come unica conseguenza l’evaporazione di ciò che restava di materialità nel commercio della cocaina, la fine degli accordi di Bretton-Woods sancì l’ingresso del capitalismo nell’era della sua dematerializzazione.

 

  1. Zero, zero, zero

 Nella terrificante inchiesta sui meccanismi mafiosi dell’economia della cocaina, che pubblicò nel 2013, Roberto Saviano propose un’ipotesi ancora più radicale – secondo la quale quella che poteva sembrare essere solo una coincidenza era in realtà una natura comune[15]. Il ruolo svolto dal commercio del coke nella storia dello sviluppo industriale, e poi il modello che ha costituito la sostanza nella svolta verso la finanziarizzazione, avrebbero dovuto far sospettare che con il capitalismo si trattava di qualcos’altro della semplice amoralità. Piuttosto che come un sistema che accompagna (e anche, in larga misura, sostenuto da) la polvere che tanto affascinava Freud, il capitalismo deve essere considerato come interamente innervato da essa – poiché costituisce la sua energia, la sua sostanza, il suo scopo e il suo modello. Non solo la finanza internazionale è inseparabile dal commercio della droga, ma tutto si svolge come se fossero la stessa cosa – come se fosse impossibile distinguere le due cose, come già testimoniavano le manovre di Nixon. C’è solo capitalismo della cocaina – così come c’è cocaina solo in quanto richiede un sistema economico adeguato alla sua volatilità, alla sua illegalità, alla sua assunzione e alla sua immaterialità, cioè un sistema nervoso astratto diventato perfetta eccitazione. Ogni capitalismo è, necessariamente, un narcocapitalismo – un capitalismo in tutto e per tutto narcotico, la cui particolare eccitabilità non è che il rovescio maniacale della depressione, che non cessa di originare, pur presentandosi come suo rimedio. In realtà, non si tratta di un rimedio, ma solo di un oblio – di quella rimozione della sensazione degli organi sottolineata da Freud, e che finisce per trovare la sua forma ideale nell’anestesia praticata ogni giorno sui milioni di consumatori di antidepressivi. Del resto, non è certo un caso che la maggior parte degli antidepressivi disponibili sul mercato condividano con la cocaina molto più della loro natura di prodotto sintetico e dell’effetto anestetico derivante dal loro consumo. A rileggere Freud, quello che ci si aspettava dalla cocaina era proprio quello che gli abitanti stressati delle rovine del capitalismo globalizzato sperano di ricavare dalle pillole che inghiottono tutto il giorno: non sentire nulla – soprattutto il loro stomaco. Il narcocapitalismo è il capitalismo della narcosi, il sonno forzato nel quale gli anestesisti immergono i loro pazienti per liberarli da tutto ciò che impedisce loro di essere efficienti nell’ordine del presente – cioè di lavorare, lavorare, e lavorare ancora.

[1]             Aymon de Lestrange, Angelo Mariani. 1838-1914. Le vin de coca et la naissance de la publicité moderne, Intervalles, Paris 2016, p. 29 ss.

[2]             Ivi, p. 30.

[3]             Ivi, p. 70 ss.

[4]             Ivi, p. 138 ss.

[5]             Cfr. Mark Pendergast, For God, Country & Coca-Cola. The Definitive History of the Great American Soft Drink and the Company that Makes it, Basic Books, New York 2013, p. 20 ss. Per un resoconto più polemico, si veda William Reymond, Coca-Cola. L’enquête interdite, Flammarion, Paris 2006, p. 44 ss., che aggiunge tuttavia qualche elemento inedito al racconto di riferimento di Pendergast.

[6]             Pendergast, For God, Country & Coca-Cola, cit., p. 53 ss.

[7]             Ivi, p. 43.

[8]             Su Anslinger, leggere John C. McWilliams, The Protectors. Anslinger and the Federal Bureau of Narcotics (1930-1962), University of Delaware Press, Newark 1990.

[9]             Ivi, p. xx.

[10]           Questa almeno era la tesi del difensore di Antonio Maria Costa, Direttore dell’ufficio delle Nazioni unite sulle droghe e la criminalità, in una intervista pubblicata il 13 dicembre 2009 da “The Observer”. Cfr. Rajeev Sival, Drug Money Saved Banks in Global Crisis, Claims UN Advisor, in “The Guardian”, 13 dicembre 2009. A oggi, le prove di cui Costa pretendeva di essere in possesso non sono ancora state rese pubbliche. Si veda Joras Ferwarda, The Effects of Money Laundering, in Brigitte Unger e Daan van der Linde (a cura di), Research Handbook on Money Laundering, Edward Elgar, Cheltenham-Northampton 2013, p. 40.

[11]           Cfr. H. Richard Friman, Germany and the Transformations of Cocaine, cit., p. 90.

[12]               Freud, Sulla cocaina, cit., p. 109 ss.

[13]           Cfr. Johann Hari, Chasing the Scream. The First and Last Days of the War on Drugs, Bloomsbury, London 2016. Sulle conseguenze della War on Drugs nelle Ande, cfr. Frédéric Faux, Coca! Une enquête dans les Andes, Actes Sud, Arles 2015.

[14]           Sulla storia e l’importanza della fine del sistema di Bretton-Woods, cfr. Yanis Varoufakis, I deboli sono destinati a soffrire? L’Europa, l’austerità e la minaccia alla stabilità globale, trad. it. di L. Matteoli, La nave di Teseo, Milano 2016; Peter Sloterdijk, Aprés nous le déluge. Les Temps modernes comme expérience antigénéalogique, trad. fr. di O. Mannoni, Payot, Paris 2016, p. 178 ss.

[15]           Roberto Saviano, ZeroZeroZero, Feltrinelli, Milano 2013.

Print Friendly, PDF & Email

articoli correlati

Oltre Tony Effe: sottomissione, liberazione, ambiguità degli immaginari

  Sulla stupidità della supposta "censura" a Tony Effe si sono già espressi in molti ( anche se sarebbe meglio...

IPNOCRAZIA. Trump, Musk e la nuova architettura della realtà

Edizioni Tlon presenta l'8 dicembre in anteprima mondiale a PLPL  IPNOCRAZIA. Trump, Musk e la nuova architettura della realtà di Janwei Xun in...

Marinella Perroni: «la teologia è queer»

 «Non si tratta di "rendere queer" la Bibbia, ma del fatto che essa è già in se stessa, originariamente...

Adriano Ercolani: «Don Giovanni, eroe tragico della rivolta antidivina»

Pubblichiamo alcuni estratti dal saggio di Adriano Ercolani Don Giovanni, eroe tragico della rivolta antidivina, pubblicato nel volume Le...

Il fascino indiscreto degli scacchi

di Maurizio Corrado
Cos’hanno in comune Dante, Leonardo da Vinci, Napoleone, Voltaire e Duchamp? Un gioco. Uno dei pochi giochi che da più di cinque secoli ha le stesse regole...

Mariano Tomatis: «l’insegnamento del mago»

Il 20 Novembre 2024 è arrivato in libreria Il mio libro di magia di Mariano Tomatis (Edizioni Tlon), una guida pratica e insieme una sfida a ripensare l’idea di arte magica, contaminare la modernità e ispirare una magia conviviale e antifascista. Proponiamo un estratto in anteprima.
Giorgiomaria Cornelio
Giorgiomaria Cornelio
Giorgiomaria Cornelio è nato a Macerata nel 1997. E’ poeta, regista, curatore del progetto “Edizioni volatili” e redattore di “Nazione indiana”. Ha co-diretto insieme a Lucamatteo Rossi la “Trilogia dei viandanti” (2016-2020), presentata in numerosi festival cinematografici e spazi espositivi. Suoi interventi sono apparsi su «L’indiscreto», «Doppiozero», «Antinomie», «Il Tascabile Treccani» e altri. Ha pubblicato "La consegna delle braci" (Luca Sossella editore, Premio Fondazione Primoli, Premio Bologna in Lettere) e "La specie storta" (Tlon edizioni, Premio Montano, Premio Gozzano Under 30). Ha preso parte al progetto “Civitonia” (NERO Editions). Per Argolibri, ha curato "La radice dell'inchiostro. Dialoghi sulla poesia". La traduzione di Moira Egan di alcune sue poesie scelte ha vinto la RaizissDe Palchi Fellowship della Academy of American Poets. È il direttore artistico della festa “I fumi della fornace”. È laureato al Trinity College di Dublino.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: