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Intrecci di vite e di opere

di Pasquale Vitagliano

“Ne sono rimasto molto addolorato ma penso che i suoi ultimi cinque anni o sei anni siano stati molto felici”. Questo dice James Joyce alla Weaver quando viene a sapere della morte di Italo Svevo. Rendere felice un amico: questo è il senso del sostegno che mai gli fece mancare. È anche la firma di un rapporto umano e letterario intricato e generativo. La vita dell’altro. Svevo, Joyce: un’amicizia geniale è il racconto di questa relazione. Enrico Terrinoni ricostruisce l’inedita amicizia tra questi due “mostri” della Letteratura del Novecento. Joyce, in fuga dall’oppressione politica e culturale che a Dublino non gli permette di vivere, insegna inglese a Trieste. Svevo inizia a frequentarlo come allievo. Lo sosterrà economicamente, ricevendo in cambio un sincero sostegno al suo talento letterario.

L’intreccio delle loro vite e delle loro opere, che si scambiano, apprezzandole reciprocamente, costruisce una rara connessione, quasi un entanglement quantistico, tra biografie, tratti letterari, luoghi e coincidenze numeriche. Per esempio, l’ironia è un passaggio cruciale nell’incontro delle loro arti. “Riguardo all’Ulisse”, scrive Terrinoni, “possiamo esser certi che sarà proprio l’ironia l’architrave dell’Ulisse”. Ed ha ragione Brian Moloney, che fa risalire questo carattere proprio a Svevo, al suo modo di comportarsi e di scrivere. Un altro punto di contatto è la città: Trieste e Dublino, con le loro aree misteriose in cui la “distanza tra il corpo l’anima si dissolveva, e le contraddizioni tra la vita diurna e quella notturna si ricomponevano in un’unica esistenza fluida, nascosta e sognante”.

Ha ragione la moglie di Svevo, Livia, quando afferma che attraverso la conoscenza della sua vita si può penetrare maggiormente il suo mistero d’artista. Nessuna interpretazione dell’opera di questi due giganti può prescindere da una ricerca dentro la loro esistenza privata. Né sarà mai possibile inoltrarsi fino a svelare il segreto più intimo e riposto che costituisce il nesso profondo tra finzione e realtà, rappresentazione e vita vissuta. Anche perché “nel farsi vita narrata, una vita di sublima e si modifica”. Ci vengono svelati insieme due tra gli scrittori più autobiografici di sempre, autori non di narrative ma di “narravite”, come scrive Terrinoni, l’una la cartina di tornasole dell’altra.

Attraverso la narrazione di questi eventi, resoconti, impressioni, incroci, e simultaneità, questo libro ci accompagna dentro il mistero stesso della letteratura che germoglia oscuramente dentro le esistenze umane. Le vite e le opere di Joyce e di Svevo di riflettono le une nelle altre rimandandoci all’infinito il riflesso sorprendente di due esperienze uniche. Come lettori, per un verso, partecipiamo ad un’intensa e autentica storia d’amicizia “tra due geni di grande cuore”, la cui natura continua a mantenere per noi una natura segreta. Per altro verso, proviamo la sensazione di aver raggiunto il limite estremo delle possibilità conosciute fino ad allora. Ma superate queste colonne d’Ercole scopriamo che il mondo non è finito. Anzi, siamo approdati alla Modernità.

 

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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