Aria (sillabario della terra # 18)
di Giacomo Sartori
Noi inconsciamente pensiamo che nella terra ci siano soli i morti e le marcescenze e le rovine dei passati polverosi, pensiamo che nella terra si soffochi. E invece la sua pancia è un colabrodo di pori, canalicoli e cavità: un sistema di aerazione più o meno efficiente che ossigena il formicolare di attività e di vita. Le radici respirano, i lombrichi e gli insetti respirano, i batteri respirano, tutto il pigia pigia di organismi presenti ha bisogno d’aria. Deve farlo vivere, per lei è primordiale.
Non bisogna quindi immaginarsi uno zoccolo di roccia, ma piuttosto qualcosa come i ridondanti corridoi di un centro commerciale, con i loro saliscendi e curve e meandri non sempre comprensibili, il loro utilitario o forse anche in parte capriccioso portare da qualche parte. Nessuno soffoca, nei corridoi di un centro commerciale, nessuno sta in apnea. Certo poi magari la sera del sabato l’aria risulta bella pesante, richiamando quella di un cinema pienissimo, un cinema con strati sovrapposti di poltrone fino al soffitto, se tutti respirano e ci danno dentro, e se l’umidità trasuda dalle pareti, nessuno però stramazza.
Quando camminiamo sulla terra camminiamo sull’aria, o insomma su una gruviera costituita per una metà d’aria, è per quello che i nostri piedi tendono a sprofondare. Se non affondano è perché ci sono tante radichette che rinforzano e sostengono la terra, un po’ come succede con i materassi a molle, e perché le particelle di questa sono riunite in grumi ben costituiti e ben solidi. Non è un caso che su un prato si ha l’impressione di calpestare un soffice tappeto, e vengono tante belle idee riposanti. La terra buona è un materasso fresco e ben areato, che si presta ai sogni più incoraggianti.
I problemi nascono quando i trattori passano e ripassano sulla terra senza difese, nuda come Dio non l’ha fatta. I trattori e gli altri marchingegni meccanici sono sempre più pesanti, e la strizzano, fanno collassare i suoi preziosi grumi, occludendo i pori e le cavità. Sotto il peso degli pneumatici il suolo da spugna si trasforma in muro impenetrabile, senza più un briciolo di aria. È per quello che poi ha bisogno di essere arato e sbriciolato, la terra dei boschi non ha nessun bisogno di essere smossa dall’uomo. Con le arature e le scarificature riappaiono fessure e crepe, l’assembramento di organismi tira il fiato. Non sono più belle e solide cavità, l’ospitale intrico di grotte e cunicoli, sono frammenti taglienti, come palazzi squassati da un terremoto, dove l’aria non può irradiarsi dappertutto. Ma insomma è sempre meglio che niente.
È un rimedio solo apparente, perché ai primi nuovi passaggi si è daccapo. E anzi la terra è adesso fiaccata, si difende peggio: si compatta ancora di più, diventa ancora più dura e impenetrabile. Adesso sì che assomiglia al cemento armato. E non parliamo di cosa succede in superficie quando piove: non potendo penetrare in profondità l’acqua provoca ruscellamenti che si portano via tutto. Gli addetti dei campi, che non sono più contadini, e non capiscono più la lingua della terra, la rompono e la spezzettano allora ancora e ancora con i loro potenti mezzi, sempre più potenti, senza accorgersi che così facendo bruciano la poca sostanza organica che resta, che è la colla che tiene assieme i grumi, e che nutre tutti gli organismi. Vanno avanti così, come portando le bombole di ossigeno a un malato terminale. Bombole che subito finiscono, mentre l’aria non arriva.
La terra non vuole essere lacerata dall’acciaio inossidabile, ambirebbe a essere lasciata in pace, a potersi affidare ai lombrichi e agli altri esserini che la abitano e la lavorano, dei quali sa che si può fidare. Già attaccati dai pesticidi, loro sono però sempre meno pimpanti, sempre più in difficoltà, sempre meno abbondanti, e lei si sente sempre più esausta. Non ha proprio la forza per resistere al peso di quei pneumatici duri e pesantissimi.
In Inghilterra si è trovata una soluzione palliativa, che negli ultimi decenni si è diffusa molto negli Stati Uniti e ancor più massicciamente in Sud America (meno in Europa). Invece di lavorare i suoli li si innaffia generosamente di erbicidi, in modo che malerbe e i resti delle colture precedenti secchino. Il che permette di seminare direttamente in mezzo ai seccumi, senza lavorazioni, o con leggerissime rastrellature.
Agricoltura di conservazione, viene chiamata. Negli ultimi tempi viene decantata a destra e a manca, presentandola non sempre in buonissima fede come una panacea ecologica, e questo crea molte confusioni. Davvero per molti aspetti ha permesso di arginare le devastazioni dell’erosione e il flagello delle perdite di sostanza organica, paradigmatiche dell’agricoltura industriale, lasciando una terra ariosa, è un suo risultato importantissimo. Non si può però in nessun modo assimilarla alle pratiche agroecologiche: i diserbanti e i composti che si formano dalla loro degradazione sterminano gli organismi del suolo e avvelenano l’ambiente, è poco onesto negare o minimizzare il problema. Certo, l’aria nella terra è fondamentale, ma ci vuole anche che sia buona.
(la fotografia: Santerre (Somme, Piccardia), terreni preparati per la semina delle patate, maggio 2020)
Certo: l’immagine della Piccardia arata mi ha evocato un deserto africano… E mi hai fatto, anche, venire in mente le “mie” strade di campagna monferrina disastrate sovente e terribilmente dai cingoli dei trattori pesanti che creano fosse che nessuno colma più e quando piove diventano pozze piene d’acqua marcia, anche per mesi, ed è molto difficile transitarvi a piedi. Mi hai fatto sognare l’aia della mia infanzia in cui giocavo seduto per terra a scavare vermini, formiche e simili creaturine.