Andare in Chiesa / Church Going (1954)
di Philip Larkin
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Church Going, in The Less Deceived (1955)
Traduzione di Jacopo Masi
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Andare in chiesa
Appurato che non c’è nulla in corso,
entro, lasciando la porta richiudersi
in un tonfo sordo. Ancora una chiesa:
tappeto, banchi, e pietra, e libricini;
una pletora di fiori recisi
per la domenica, ora già imbruniti;
in fondo, alla sacra estremità, robe
varie d’ottone e altro; l’organo piccolo
sobrio; ed un silenzio teso, stantio
che non si può ignorare, fermentato
Dio sa quanto. Senza cappello, tolgo
con un gesto di goffa riverenza
le mollette da bici, avanzo, passo
la mano sul bordo del fonte. Visto
da qui, il soffitto sembra quasi nuovo –
ripulito, o restaurato, chi può
dirlo? Altri, forse: non io. Mi avvicino
al leggio, contemplo alcuni versetti
imperiosi vergati a grandi lettere,
dichiaro “Qui termina” a voce più alta
di quanto volessi. L’eco sghignazza
per un breve istante. All’uscita firmo
il registro, lascio un mezzo scellino
irlandese in offerta. Il posto, mi dico,
non valeva la sosta. Eppure, sosta
l’ho fatta: e in verità spesso mi accade
e puntualmente finisco, come oggi,
spaesato, a cercare cosa cercare
e a chiedermi poi cosa ne faremo,
delle chiese, quando saranno tutte
cadute in disuso, se manterremo
qualche cattedrale in cronica mostra,
le pergamene, gli argenti e la pisside
in teche protette e il resto ceduto
in uso gratuito a pecore e pioggia.
Le eviteremo come luoghi infausti?
O, scesa la sera, donne dall’aria
equivoca verranno a far toccare
ai figli una pietra particolare;
cogliere erbe e piante contro un tumore;
vedere, in notti designate, un morto
che cammina? In modo apparentemente
casuale, ancora perdurerà
un qualche tipo di potere in giochi
e indovinelli; ma come la fede,
così morirà la superstizione
e svanita l’incredulità, cosa
resta? Prati, pavimenti infestati
d’erbacce, rovi, contrafforti, cielo,
una forma meno riconoscibile
di settimana in settimana, un fine
più oscuro. Mi chiedo chi sarà l’ultimo,
l’ultimissimo a visitare il luogo
per quel che è stato; sarà della schiera
di chi picchietta e prende appunti e sa
cos’era un jubé? Un qualche rovinomane
che sbava dietro a cimeli e anticaglie,
un maniaco del Natale che spera
in un sentore di talari, canne
d’organo e mirra? O sarà uno a mia immagine,
invece, annoiato, disinformato,
che pur sapendo ormai disperso il limo
spettrale, tende fra incolti sobborghi
a questa croce di terra, perché a lungo
e serenamente tenne raccolto
quanto da allora si trova soltanto
nella separazione – matrimonio
e nascita e morte e il pensiero di questi –
cose per cui questo guscio speciale
fu edificato? Perché, sebbene io
ignori a che valga questa baracca
ben attrezzata che odora di chiuso,
stare qui in piedi, in silenzio, mi aggrada;
Una dimora seria su una terra
seria è questa; qui, in un’aria composita,
i nostri impulsi si incontrano, sono
riconosciuti e ammantati di un’aura
di destino. E tutto ciò mai potrà
essere obsoleto poiché qualcuno
sempre sorprenderà una brama in sé
di essere più serio e, assieme, un richiamo
a gravitare verso questo suolo
adatto, gli giunse voce, a far crescere
in saggezza, se non altro per tutti
questi morti che giacciono qui attorno.
*
Church Going
Once I am sure there’s nothing going on
I step inside, letting the door thud shut.
Another church: matting, seats, and stone,
And little books; sprawlings of flowers, cut
For Sunday, brownish now; some brass and stuff
Up at the holy end; the small neat organ;
And a tense, musty, unignorable silence,
Brewed God knows how long. Hatless, I take off
My cycle-clips in awkward reverence,
Move forward, run my hand around the font.
From where I stand, the roof looks almost new –
Cleaned, or restored? Someone would know: I don’t.
Mounting the lectern, I peruse a few
Hectoring large-scale verses, and pronounce
‘Here endeth’ much more loudly than I’d meant.
The echoes snigger briefly. Back at the door
I sign the book, donate an Irish sixpence,
Reflect the place was not worth stopping for.
Yet stop I did: in fact I often do,
And always end much at a loss like this,
Wondering what to look for; wondering, too,
When churches will fall completely out of use
What we shall turn them into, if we shall keep
A few cathedrals chronically on show,
Their parchment, plate and pyx in locked cases,
And let the rest rent-free to rain and sheep.
Shall we avoid them as unlucky places?
Or, after dark, will dubious women come
To make their children touch a particular stone;
Pick simples for a cancer; or on some
Advised night see walking a dead one?
Power of some sort will go on
In games, in riddles, seemingly at random;
But superstition, like belief, must die,
And what remains when disbelief has gone?
Grass, weedy pavement, brambles, buttress, sky,
A shape less recognisable each week,
A purpose more obscure. I wonder who
Will be the last, the very last, to seek
This place for what it was; one of the crew
That tap and jot and know what rood-lofts were?
Some ruin-bibber, randy for antique,
Or Christmas-addict, counting on a whiff
Of gown-and-bands and organ-pipes and myrrh?
Or will he be my representative,
Bored, uninformed, knowing the ghostly silt
Dispersed, yet tending to this cross of ground
Through suburb scrub because it held unspilt
So long and equably what since is found
Only in separation – marriage, and birth,
And death, and thoughts of these – for which was built
This special shell? For, though I’ve no idea
What this accoutred frowsty barn is worth,
It pleases me to stand in silence here;
A serious house on serious earth it is,
In whose blent air all our compulsions meet,
Are recognised, and robed as destinies.
And that much never can be obsolete,
Since someone will forever be surprising
A hunger in himself to be more serious,
And gravitating with it to this ground,
Which, he once heard, was proper to grow wise in,
If only that so many dead lie round.