Balla balla ballerino
di Pasquale Vitagliano
L’11 settembre più drammatico per un’intera generazione, che sognava un mondo libero e giusto, è stato nel 1973, l’anno del colpo di stato in Cile. Non quello del crollo delle Torri Gemelle nel 2001. Quanti “11 settembre” ha conosciuto l’Italia dalla bomba di Piazza Fontana nel 1969 a Milano all’esplosione nella stazione di Bologna il 2 agosto del 1980? Basta soffermarsi a pensarci un istante per cogliere l’anomalia storica del nostro paese. Paolo Morando con la sua ricostruzione della Strage di Bologna – Bellini, i Nar, i mandanti e un perdono tradito (Feltrinelli, 2023) va oltre e più a fondo. Ormai si fa fatica a ricordare, ci sollecita, che prima del 1980 le bombe esplodevano ancora numerose, anche se non facevano morti, “in giornate punteggiate dalle azioni che il terrorismo di sinistra dispiegava in tutto Italia”. Non tutti, tuttavia, furono assopiti dalle prime onde di riflusso. Un magistrato, Mario Amato, cui il libro è dedicato, si rese conto che la “guerra” non era ancora terminata. Senza di lui (ucciso dai Nar il 23 giugno 1980), oggi non conosceremmo mandanti ed esecutori dell’attentato terroristico più grave nella storia italiana.
La parte più intensa del libro di Morando, però, s’incentra su quello che viene definito il “perdono tradito”. Sì, Francesca Mambro poté uscire prima dal carcere grazie alla lettera di perdono di Anna Di Vittorio e Gian Carlo Calidori (nell’esplosione aveva perso un amico). Ciò non impedì a lei e a Valerio Fioravanti di accodarsi alla comoda tesi innocentista che sosteneva la responsabilità di Mauro Di Vittorio (vicino a Lotta Continua e fratello di Anna), vittima della bomba che trasportava. In verità, sono poi arrivate altre inchieste e altre sentenze di ergastolo. Quella a carico di Gilberto Cavallini, dei Nar come Mambro e Fioravanti, e quella a carico di Paolo Bellini, dell’area di Avanguardia Nazionale. Mentre la prima smonta per sempre la narrazione dell’azione di un gruppo di esalatati ideologizzati; l’altra accerta i mandanti nella P2 e l’esistenza di un’operazione a lungo studiata e preparata nei dettagli, con imprevedibili coperture da parte di pezzi infedeli dello Stato. Morando, infine, ricorda l’infondatezza della “pista palestinese”, già raccontata nell’ottobre del 2012 da un’inchiesta de Il Manifesto, e fino alla richiesta di archiviazione dell’indagine presentata e ottenuta nel 2014 dalla Procura della Repubblica di Bologna.
Rivivono i veleni di una stagione che ancora non vuole concludersi: la quarta di copertina scrive una facile profezia. Ancora quest’anno, sempre in occasione delle celebrazioni, il portavoce della Regione Lazio, Marcello de Angelis, rilancia la tesi innocentista. “Calunniate, calunniate, qualcosa resterà”. Le sentenze, invece, hanno parlato.
Con l’autore di questo libro importante condividiamo molti ricordi. Lo ringrazio per avermi ricordato che Lucio Dalla dedicò alle vittime di Bologna la canzone Balla balla ballerino. Ferma con quelle tue mani il treno Palermo-Francoforte/ Per la mia commozione c’è un ragazzo al finestrino/ Gli occhi verdi che sembrano di vetro/ Corri e ferma quel treno/ fallo tornare indietro. Non è sentimentalismo se alla constatazione che Mauro Di Vittorio sia stato ucciso molte, vorrei lasciare la suggestione che il treno poi si sia potuto fermare. E tutti i passeggeri scesero sani e salvi.