Nel nome del padre, del figlio e dell’umorismo

di Corrado Passi

Nel nome del padre, del figlio e dell’umorismo. I romanzi di John Fante, il saggio di Emanuele Pettener pubblicato nel 2023 da Oligo Editore, è un libro a più dimensioni, un bassorilievo scolpito da una luce intensa, californiana, che ne pone in risalto le numerose sfaccettature e ne modella il gioco di chiaroscuri. Pettener, romanziere e docente di Lingua e Letteratura Italiana alla Florida Atlantic University, USA, indaga criticamente gli aspetti peculiari – alcuni dei quali inesplorati o fraintesi dalla critica ufficiale – di un autore rimasto per troppo tempo nell’ombra e i cui meriti sono quasi del tutto postumi.

John Fante, nato a Denver, Colorado, nel 1909, figlio di un muratore abruzzese e di una casalinga americana di origini lucane, iniziò a pubblicare negli anni Trenta; per quasi cinquant’anni, in America, le sue opere furono guardate con diffidenza e solo negli anni Ottanta, soprattutto in Europa, iniziò a crescere l’attenzione del pubblico e della critica verso la sua vasta produzione letteraria che include generi quali il romanzo, il racconto e la sceneggiatura cinematografica.

L’umorismo, evocato nel titolo del saggio, è per Pettener il dispositivo narrativo centrale nella produzione di John Fante. L’autore si riferisce all’umorismo di pirandelliana memoria, distinto dall’ironia in quanto basato su quel “sentimento del contrario”, avvertito sia dallo scrittore sia dall’autore, che sottolinea la bipolarità della vita, la sua relatività; l’ironia, al contrario, implica un inganno, è una figura retorica che sottende una contraddizione fittizia tra ciò che si dice e ciò che il lettore deve intendere. L’analisi relativa all’umorismo viene approntata da Pettener considerando le scelte lessicali di Fante, le sfumature del testo, le ambiguità narrative. «In un lavoro umoristico sorriso e amarezza sono quasi simultanei, mentre in un’opera ironica o satirica sono sempre separati: si ride o si piange…», si legge nel saggio (p.33). Si tratta di un umorismo genuino, insito nella scrittura di Fante, connaturato ad essa: egli, come spiega Pettener, si sofferma sulla realtà non per giudicarla né per ritrarsi, sdegnato; suo intento è cogliere l’intrinseca contraddizione dell’esistenza, la sua incoerenza, e narrare con spontaneità e freschezza, generando riso e amarezza insieme, inducendo nel lettore sentimenti diversi, contrari.

Questa tensione dialettica, uno degli elementi portanti di tutta la produzione letteraria di Fante – fatta eccezione per Full of life, pubblicato nel 1952, suo unico successo editoriale e considerato dalla maggior parte della critica il suo peggior romanzo –, si alimenta attingendo ad alcuni topoi onnipresenti nelle sue opere: l’ambiguità, l’incongruenza, il ridicolo. Pettener compie un’operazione precisa e dettagliata che si articola in modo duplice: analizzando in modo comparativo le teorie di alcuni suoi colleghi, critici americani (Fred Gardaphé, Anthony J. Tamburri), e concentrando l’attenzione sulle caratteristiche antropologiche dei personaggi. Fante, nonostante sia nato in America, è sempre stato considerato, soprattutto negli USA, uno scrittore italoamericano, e questo aspetto ha notevolmente influenzato, in senso negativo, l’atteggiamento della critica statunitense. Ma l’italianità dei personaggi di Fante e gli stereotipi etnici ad essa collegati – l’ingenuità, il desiderio di affermarsi socialmente, il senso di inferiorità, di rabbia e di ribellione nei confronti di una terra straniera spesso ostile, refrattaria all’integrazione, che soprannominava gli immigrati italiani con epiteti quali Dago, Wop o Guinea – non sono, afferma Pettener, che tratti descrittivo-coloristici: non rappresentano l’argomento centrale, nucleare della narrazione, costituito invece dalla rappresentazione di un’America intesa come luogo immaginato, sognato, rappresentato e vivo nella memoria poetica universale; l’America carica di valenze culturali ed epiche che interessò Cesare Pavese, Italo Calvino e molti intellettuali; la madre dell’American Dream e della cosmologia letteraria ad esso correlata. Il protagonista di Ask the dusk, Arturo Bandini, seduto al tavolo di un caffè legge la classifica dei migliori battitori d’America, i campioni della Baseball National League, e si sente orgoglioso che un italoamericano, Joe DiMaggio, tenga alto l’onore degli italiani: dietro l’apparente ingenuità di questo pensiero si cela, stratificata, l’epica del sogno americano, dell’appartenenza a un mondo divenuto, in poco tempo, archetipo indiscusso e potente evocatore simbolico.

L’approccio critico di Pettener apre infatti numerose finestre sulla valenza simbolica, epica, del mondo americano inteso quale cosmo generatore di un mito. L’autore analizza il rapporto fra padre e figlio, un altro topos fondamentale nei romanzi di Fante e predominante in Aspetta primavera, Bandini e Un anno terribile. Il saggio ci riporta alle figure letterarie di Don Chisciotte e di Sancho e alla loro relazione ambivalente. Si tratta di un rapporto simbiotico, di mutuo soccorso, nel quale si realizza una cooperazione immaginativa: il servitore, reduce da avventure e fallimenti e deluso dal male del mondo, nei momenti di crisi che affliggono Don Chisciotte si sostituisce al cavaliere nella produzione visionaria di scenari, di sogni che possano sostenere cavaliere e servitore nel loro viaggio esistenziale. Allo stesso modo, la figura dei padri – Svevo Bandini e Peter Molise – moderni Don Chisciotte italoamericani, anch’essi ispirati da un sogno originato da racconti e leggende, è fonte di ispirazione per i figli che li seguono così come Sancho segue Don Chisciotte; i figli, moderni Sancho Panza, si ritrovano a perpetuare il cammino dei padri in un’America irta di ostacoli e di suadenti canti di sirene. La tensione psicologica padre-figlio, ci spiega Pettener, è nelle opere di Fante un riscontro costante; essa si svela attraverso una narrazione epica, eroica. E non si tratta solo di una dialettica padre-figlio ma di un conflitto che si pone su due temporalità più ampie, antropologiche: una è legata alla differenza di età e di esperienze, appunto, e l’altra è connaturata al fatto di essere figli di due mondi diversi, della vecchia Europa e del Nuovo Mondo. E, afferma Pettener, dietro la trama e l’intreccio, oltre il paesaggio, traspaiono le forze ancestrali, totemiche, di due culture contrapposte: l’una è percepita dai protagonisti come tradizione statica, stratificata, e l’altra quale dimensione onirica, immaginativa e, per questo, attinente alla libertà e all’american dream.

Grande attenzione è dedicata da Pettener alla figura della madre: egli indaga in modo approfondito le relazioni familiari dei protagonisti in Full of Life, il maggior successo letterario di Fante e il romanzo più discusso e controverso; l’autore stesso, in Selected Letters, a pagina 294, a molti anni di distanza dalla pubblicazione confessa: «Scrissi Full of life per soldi. Non è un gran romanzo». In esso l’elemento etnico, privo di un substrato umoristico, è utilizzato per generare curiosità e interesse nel lettore e resta limitato a questa funzione, creando uno scenario perfettamente compatibile con l’America degli anni Cinquanta, un ambiente caratterizzato da stereotipi quali la casa borghese, la famiglia, il matrimonio e la fedeltà coniugale. Si tratta di valori indiscutibili, fondanti della società statunitense di quel periodo e condivisi dagli immigrati italoamericani che, in essi, riconoscevano gli strumenti indispensabili per il loro riscatto esistenziale e per la conseguente ascesa sociale. Pettener sottolinea alcune scelte stilistiche e narrative di Full of life, attuate dall’autore al fine di ingraziarsi il pubblico e suscitare riso, simpatia: la madre del protagonista è infatti descritta in modo caricaturale, forzando l’elemento etnico fino a renderne il profilo melodrammatico; si tratta di una donna priva di istruzione, subordinata al marito, così religiosa da apparire quasi superstiziosa, innocua e bonaria. Un cliché perfetto della donna immigrata di origini italiane che si guarda le mani callose e, confrontandole con quelle delle modelle ritratte sulle riviste patinate, capisce che non potrà mai essere un’americana. Questa rappresentazione introduce, come in un gioco di scatole cinesi, la presa di coscienza di una nuova identità etnica acquisibile solo a metà: diventare americani in tutto e per tutto, per un immigrato italiano, appare missione quasi impossibile e foriera, in termini generazionali, di futuri sensi di colpa e di inferiorità, una nemesi che marchierà l’italo-americano per sempre.

Ancora una volta l’autore si oppone alla critica ufficiale – americana e italiana – e sottolinea i rischi di un’analisi talvolta frettolosa, basata su stereotipi e preconcetti, mettendo in guardia il lettore ed esortandolo a mantenere l’attenzione sull’umorismo presente in Fante e sull’utilizzo dello stesso in altri autori quali Knut Hamsun, Charles Bukowski, Sandro Veronesi, Marco Vichi. John Fante confessò fedeltà assoluta a Knut Hamsun, da lui considerato padre letterario, e Bukowski si dichiarò profondamente ispirato dalle opere di John Fante. Nella propria analisi comparativa Pettener approfondisce la scrittura umoristica di Hamsun e di Fante, sottolineando il loro “divertimento della scrittura”, “l’istinto giocoso” che ne caratterizza lo stile (pg. 170), l’aspetto ludico che potenzia l’intreccio e l’architettura narrativa. In Bukowski, al contrario, l’umorismo è spesso assente (fatta eccezione per Pulp), prevalendo il sarcasmo verso il mondo e il disprezzo verso i suoi abitanti; i protagonisti di Hamsun e Fante sono coinvolti dal mondo, ne sono attratti o respinti e la loro scrittura è un mezzo per comprendere la contraddittorietà del mondo; in Bukowski, al contrario, l’egocentrismo cinico trova forma, sovente, in una scrittura meccanica, priva di quella forza evocativa che in Fante origina vibrazioni, risonanze.

L’analisi comparativa – riguardante critici, altri romanzieri, John Fante e Dan Fante, figlio di John e a sua volta scrittore – è certamente un punto di forza del saggio ma il valore di questo libro non si riscontra solo in essa. Pettener, con passione, indaga le cause dell’assenza, durata decenni, delle opere di John Fante dal panorama letterario internazionale. Il maggior imputato di questo scarso successo in terra americana è proprio l’umorismo e la conseguente assenza, nei romanzi di Fante, di un messaggio, di un insegnamento, di una risposta. La vita di Arturo Bandini, alter-ego scrittore di John Fante e protagonista di quattro dei suoi romanzi – Wait Until Spring, Bandini, The Road to Los Angeles, Ask the Dusk e Dreams from Bunker Hill – non offre al lettore alcuna verità né lezione di vita. Il successo tardo, spesso postumo, è avvenuto in epoca postmoderna, in un periodo caratterizzato dal crollo della fiducia nelle verità assolute; il riscontro maggiore, da parte dei lettori, si è avuto in Europa, madre storica dell’umorismo letterario e lontana anni luce, per tradizioni estetiche e antropologiche, da quel paese romantico che è l’America, tempio della fede nell’assoluto, nella verità e nelle certezze politiche ed esistenziali. Milan Kundera, al quale sono dedicate alcune pagine del saggio, afferma che ogni romanzo trova la sua ragione di essere nella scoperta esistenziale; che la conoscenza da esso generata non ha a che fare con una verità assoluta ma con l’incertezza, con il dubbio, le ambiguità. Il genere romanzo non offre risposte ma pone interrogativi; non giudica ma rappresenta; non si pone come affermazione dogmatica, apodittica, ma è relativo, ambiguo.

Il saggio di Pettener è, per il lettore, un viaggio circolare. Esso prende l’abbrivio partendo dalla poetica di John Fante, dalla Los Angeles di Arturo Bandini e, dopo aver attraversato i territori canonici della letteratura novecentesca – e non solo – approda nuovamente alla costa californiana tracciando itinerari ampi, rigorosi per il procedimento analitico che li sostiene e per la chiarezza di intenti.

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1 commento

  1. Bell’analisi di un bel testo, grazie. Per me è stato illuminante ripensare a Fante sotto questa luce.

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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