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Le stanze di Emily

di Lella de Marchi

I.

Sto guardando un cassetto.
Un raggio di sole filtra dalla persiana semichiusa e attraversa la stanza.
Ci sono cose che posso mettere o togliere da dentro al cassetto.
Se il cassetto è aperto o chiuso quello che penso non cambia.
Sto guardando un cassetto mentre penso quello che sto pensando.
Il cassetto che sto guardando non è da solo.
Io sto guardando solo quel cassetto. Lo scelgo. Lo metto a fuoco.
E tutti gli altri cassetti scompaiono. Scompare la cassettiera.
Un cassetto che resta da solo mi spaventa.
Mi costringe a pensare che sia io a doverlo svuotare o riempire.
Provo a chiudere gli occhi. A non pensare.
Provo a inserire nel mio pensiero un moto diverso dal mio pensiero.
Il cassetto che resta da solo scompare e riappare la cassettiera.
Un cassetto che non resta da solo non mi spaventa.
Perché non è un cassetto, ma una cassettiera.
Per un’inspiegabile timore del dettaglio preferisco la visione d’insieme.
Per un’ancestrale propensione alla riflessione mi pongo domande
apparentemente inutili e senza risposta.

 

II.

Un raggio di sole filtra dalla persiana semichiusa e attraversa la stanza.
Sto guardando un cassetto.
Lentamente qualcosa che prima non c’era mi appare. Riemerge alla vista.
Si allarga in visione ciò che manca in chiarezza.
Il cassetto che sto guardando è in una stanza precisa. Che riconosco.
Il cassetto che sto guardando è nella camera da letto.
Ma so che ci sono tanti altri cassetti sparsi in tutte le stanze della casa.
Aperti o chiusi. Vuoti o pieni. Che io li guardi o no.
Una casa è sempre piena di stanze e le stanze di cassetti.
Per un‘insopprimibile desiderio di fuga mi spingo oltre la messa a fuoco.
Se penso a tutti gli altri cassetti smetto di pensare solo a quel cassetto.
Smetto di pensare quello che sto pensando.
Ed ogni cassetto ritorna quello che è sempre stato.
Il contenitore che più si adatta al suo contenuto.
Il cassetto di una camera da letto per esempio può contenere:
mutande e calzini maglie magliette maglioni tute da ginnastica
cinte canottiere pantaloncini.
Vuoto o pieno. Chiuso o aperto. Che io lo guardi o no.

 

III.

Sto guardando un cassetto.
Il raggio di sole si allarga al centro della stanza. Diventa un fascio di luce.
Per un’innata necessità di cambiamento scosto un po’ la persiana semichiusa.
Spostandomi nello spazio provoco lo spostamento degli oggetti nello spazio.
M’imbatto nel cassetto che è rimasto da solo. Lo sfioro. Lo tocco.
Il cassetto adesso è aperto.
Era aperto anche prima che lo toccassi? E’ stata la luce ad aprirlo?
Ci sono cose che posso mettere o togliere da dentro il cassetto.
Non provo nessun particolare interesse a sapere quali siano.
Né a sapere se sono stato io a metterle o toglierle da dentro al cassetto.
Nè mi è dato di poterle vedere mancando i presupposti di piena luminosità.
Per tutti i cassetti sparsi per tutte le stanze vale lo stesso ragionamento.
Un cassetto esiste anche solo come oggetto pensato.
Un cassetto esiste anche solo guardato.
Un cassetto rimane un cassetto. Per quello che può o non può contenere.
Chiuso o aperto. Vuoto o pieno. Che io lo guardi o no.
Al momento preferisco pensare che non sia io a guardare il cassetto.
Ma il cassetto a guardare me.

 

IV.

Il cassetto che sto guardando mi sta guardando.
Il sole inonda oramai tutta la stanza. Mi accorgo di essere guardato.
Per un’imprescindibile verità del tempo, il tempo passa.
Un cassetto che mi guarda a lungo andare mi procura imbarazzo.
Allungo una mano dentro al cassetto e ci pesco dentro.
Il cassetto è chiuso e ci sbatto contro.
Quello che pensavo aperto può essere chiuso. E viceversa.
L’imprescindibile natura di ogni cosa è l’istinto a fare qualcosa.
L’imprescindibile natura di ogni cosa è la vita.
L’istinto finale di una cosa come me che sta guardando un cassetto
che resta da solo è quello di aprirlo.
Che sia vuoto o pieno. Chiuso o aperto. Che io lo guardi o no.
Apro il cassetto e ne estraggo mutande e calzini maglie magliette
Maglioni cinte tuta da ginnastica e pantaloncini.
Il tempo non è un cassetto. Non si accontenta di restare a guardarti.
Mi vesto ed esco nel sole. Fuori dalla stanza.
Quante storie per un cassetto che resta da solo! Penso.
Preso da un’inafferrabile moto di nostalgia.

 

*

Le stanze di Emily è un libro inedito di Lella de Marchi.

 

 

*

L’immagine in evidenza è un’opera su vetro di Judith Schaechter

 

 

 

 

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renata morresi
renata morresi
Renata Morresi scrive poesia e saggistica, e traduce. In poesia ha pubblicato le raccolte Terzo paesaggio (Aragno, 2019), Bagnanti (Perrone 2013), La signora W. (Camera verde 2013), Cuore comune (peQuod 2010); altri testi sono apparsi su antologie e riviste, anche in traduzione inglese, francese e spagnola. Nel 2014 ha vinto il premio Marazza per la prima traduzione italiana di Rachel Blau DuPlessis (Dieci bozze, Vydia 2012) e nel 2015 il premio del Ministero dei Beni Culturali per la traduzione di poeti americani moderni e post-moderni. Cura la collana di poesia “Lacustrine” per Arcipelago Itaca Edizioni. E' ricercatrice di letteratura anglo-americana all'università di Padova.
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