Madre nel cassetto
di Giorgio Mascitelli
Sergio La Chiusa Madre nel Cassetto, Industria & Letteratura, Massa, 2023, euro 10
Madre nel Cassetto è un racconto lungo di Sergio La Chiusa che si riconnette al clima letterario e morale del suo romanzo d’esordio I Pellicani. Alludo, oltre che all’impianto stilistico di una voce monologante che raccontandosi si autogiustifica, a una caratteristica modalità tematica che si potrebbe definire il mondo in una stanza. Vi è infatti una dimensione privatissima, addirittura intima, del personaggio e della vicenda che però riflette gli echi della società, in altre parole, nonostante si possa dire che ogni nevrosi sia nevrotica a modo suo, il testo riconduce naturalmente, senza alcuna petizione di principio ideologica, al quadro generale, che è poi quello della società presente, la specifica nevrosi del protagonista e la sua devozione postuma alla genitrice. Luigi Loperfido, questo il suo nome, è tecnicamente uno sfigato, uno dei perdenti nella competizione meritocratica che popolano le nostre città e i nostri incubi, tuttavia il personaggio ha una sua grazia malinconica e chiaramente tra i pagliacci del circo contemporaneo prende la parte dei clown bianchi, dei Pierrot, che con mesta dolcezza propendono più elegantemente alla fuga, al sogno e alla fannullaggine anziché alla meritocrazia. La madre sia nel cassetto sia nel pieno esercizio delle sue funzioni, come la compagna Arianna del resto, si preoccupa di riportare saldamente sul terreno concreto questo sognatore pericolosamente astratto; eppure proprio nello sforzo di compiere questa missione la madre finisce con il produrre, inavvertitamente, l’evento traumatico che spinge il figlio definitivamente verso la dissociazione dal mondo così com’è: a un certo punto degli studi di Loperfido la signora, ottemperando ai suoi obblighi di ordinatrice e pulitrice massima della Casa, finisce con il rastrellare e buttare via i soldati Atlantic appartenenti a Luigi, ritenendo falsamente che la prole sia troppo cresciuta per questo genere di giochi. Così Loperfido cercherà nei seni femminili un disperato recupero di quel mondo immaginario che gli è stato sottratto, ma ciascuna coppia di seni vanta una proprietaria che pretende un adeguato e fattivo impegno nella realtà, magari addirittura facendo carriera, e questo, dopo l’evento traumatico, Loperfido proprio non lo può garantire.
Non vorrei però che si sviluppasse un giudizio troppo severo verso la madre, che resta un polo di umanità, rispetto al padre del protagonista, che della maschilità pratica solo l’aspetto manesco, orripilante, fallico e afasico, dunque manca completamente al suo compito di offrire una base di partenza simbolica per il percorso del figlio. Ma chi è il padre di Loperfido? E’ il tipico rappresentante della prima generazione delle classi popolari che hanno attraversato quello che Pasolini chiamò il genocidio culturale italiano. Ed ecco che nel destino del protagonista leggiamo il destino di una generazione, quella che ha fatto in tempo a giocare, negli anni settante e ottanta, con i soldatini Atlantic.
Mi sembra che con Madre nel cassetto La Chiusa confermi di avere una sua voce ossia uno sguardo poetico personale adeguatamente alimentato da nuclei tematici talvolta ossessivi, ma rivelatori e sostenuto da istanze stilistiche coerenti, segnatamente un io narrante che presenta se stesso, gli altri personaggi e le varie situazioni con un understatement che può assumere sia una curvatura ironica e/o autoironica sia drammatica ( esemplari le pagine dedicate al lavoro in ufficio di Loperfido). Dietro La Chiusa si sente la tradizione della modernità novecentesca letteraria ( Beckett, Gombrowicz solo per indicarne alcuni, e in questo racconto in particolare Bianciardi), e anche cinematografica e pittorica, ma essa non è evocata in una dimensione citazionistica, al contrario è calata dentro il nostro presente, del quale è la muta antagonista che consente all’autore una salutare presa di distanza dalla quotidianità materiale, permettendogli di gettare uno sguardo realisticamente straniato, che diviene quasi un suo marchio di fabbrica, sul mondo attuale in dissoluzione e sulle vite che vi si trascorrono. Ne segue che l’opera dell’autore è innanzi tutto ambientata in un paesaggio di rovine, ne I Pellicani letteralmente rappresentate con un allegorismo di gusto piranesiano, qui evocate metaforicamente nel frantumarsi dei rapporti e dei vincoli affettivi e sociali.
Recensione molto bella, ispirata direi.
Mentre nella la precedente recensione (quella ai Pellicani) tendevi – mi rivolgo direttamente al Masci – a evidenziare temi sociali che io non avrei messo in primo piano, in questa mi ritrovo totalmente. In particolare quando dici: “una caratteristica modalità tematica che si potrebbe definire il mondo in una stanza. Vi è infatti una dimensione privatissima, addirittura intima, del personaggio e della vicenda che però riflette gli echi della società”.
Impagabile il “tecnicamente uno sfigato”: se penso che una volta si sarebbe detto “un inetto”, ritrovo in questo iato il viatico del passaggio dal Novecento al Duemila.