È ancora troppo umana questa umana rivoluzione

 

 

Segno di Giuditta Chiaraluce

 

“Così nel 1394, a Mortain, in Normandia, un maiale viene posto alla berlina e offerto al ludibrio del pubblico prima di essere impiccato, non soltanto per avere ucciso un bambino, ma anche per avere a metà divorato le sue carni quando si trattava di un venerdì, giorno di magro”

Michel Pastoureau, Medioevo simbolico

 

Succede un veleno.

Succede              nel largo dei tronchi,

nella rimessa sbilenca,      nella casa di

ghiaia,          nelle tubature indaffarate.

 

Cresce l’amianto.             Chiucchiurla,

impiglia.          È furia di rabbia ruvida.

Ce l’abbiamo dentro.

 

E tu, bestiaccia d’azzardo,         volpe scura,

che mordi l’orecchio,    che tanto squaderni,

che hai occhio e benda   e non dai la zampa,

che metti al mondo

cose azzurre,       cose affilate,

e fai lo screzio e la sbeccatura:

 

se solo sapessi            – se solo –

in che guaio si è ficcato l’umano!

 

Vedi: quello con l’accetta e la pala,

quello coi grovigli d’acciaio

– coi grovigli di vetro -,

quello   è l’Uomo,

senza  rammendo,

per via      dei Padroni.

 

Volpe: se solo.    Allora

capiresti.

 

Ma tu non vuoi.

Ti ho sentita parlare      davanti

all’oca.               Pestavi il muso.

Raccontavi:

 

«Otto secoli      sono trascorsi        da

quando processarono la prima scrofa.

 

Vestita di unto,                  di giacca,

di brache alle zampe          di dietro,

di guanti             alle zampe davanti.

Mozzato il grugno, tagliata la coscia,

messa la lugubre maschera,           la

impiccarono per aver divorato

un lattante.

 

E non di lunedì,

e non di martedì,

e non un giorno qualunque,

ma il giorno di magro

– quando la bocca

risparmia la carne.

 

Se questa è la loro   giustizia,

se questo è il loro  tribunale,

noi cosa c’entriamo?

 

Dovrebbe, il guaio, toccarli più

a fondo,     spaurire e dare sera,

con macerie       in grandi tozzi.

 

Invece guarda: è di nuovo sicuro il

piede che calpesta.   Come fossimo

cosa diversa,                   nata secca.

 

Potrebbero,            allora, salvarci?

 

Rinunciano all’erpice, ma non al campo.

Lo pretendono. Temono ortiche e dardi,

l’impiastro senza nome,              il punto

d’ incrocio,

di giuntura.        Tutto in loro languisce,

s’incorsa,    e va dritto in cima al malore.

 

È ancora troppo    umana

questa umana rivoluzione.»

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