Avevano ragione i soliti guastafeste?
di Sergio Violante
Finalmente, era ora! Ci è voluta una napoletana come Lucia Tozzi per far sorgere anche nell’elegante e felpato mondo dell’”intellighenzia progressista” meneghina qualche dubbio sul cosiddetto “Modello Milano”. Ho letto con attenzione prima sulla rivista del Mulino, ieri su Doppiozero due recensioni al libro della Tozzi L’invenzione di Milano ( Napoli, Cronopio, 2023, euro 15) che incominciano a mettere in discussione la propaganda sulla Milano città modello, città all’avanguardia in Italia, in Europa e, se possibile, nel mondo. Le analisi di Alberto Saibene per il Mulino e Luca Molinari per Doppiozero prendono finalmente atto che il punto di svolta nell’attuale modello di sviluppo della città è stato l’”evento” Expo 2015, che ha impresso a Milano una traiettoria da cui la sinistra al governo cittadino non si è mai più discostata. Il modello magnificato da Matteo Renzi, che veniva considerato a quel tempo il nuovo messia della sinistra del fare, che superava e svecchiava la politica del ‘900 portandoci nella dimensione postindustriale, il nuovo sol dell’avvenire, tutto mercato (tanto) e solidarietà (poca). Oggi la sinistra progressista cittadina si accorge che la città è piena di contraddizioni, che il livello degli affitti è insostenibile, che i prezzi delle case aumentano secondo una curva esponenziale, che “Milano diventa una città per ricchi ed espelle, oltre alle classi popolari, la parte più debole del ceto medio” ( Saibene, art. cit.). Si certifica che la qualità dell’aria è tra le peggiori al mondo ma che le poche aree ancora non edificate vengono immediatamente coperte di cemento, che non esiste una politica dello spazio pubblico, dello spazio sociale, se non in funzione subalterna degli interessi dei colossi immobiliari internazionali. Si parla della costruzione ideologica di una massa di cittadini-consumatori e ci si ricorda finalmente del sinistro spot “Milano non si ferma” che fu offerto ai tempi della crisi pandemica. Ci si interroga sul ruolo dell’intellettuale oggi, categoria a cui appartengono entrambi gli autori, “che ha smesso di essere apocalittico ed è comodamente integrato…” ( Molinari art.cit.).
Tutto bene direi, ottimo anzi! Ma mi sorge birichina e un po’ maliziosa una domanda: ma dove eravate voi, che fino a ieri avete magnificato questo modello, che avete irriso come utopisti folkloristici quello “sparuto gruppo di critici antagonisti” ( Molinari art. cit.) che da sempre, non da oggi, hanno lottato per le posizioni che voi oggi, sembra, stiate abbracciando?
Un minimo riconoscimento credo sia loro dovuto.