Nanni Balestrini – Millepiani
[Questo articolo è apparso sull’“Indice”, n°2, 2023, e tratta del volume collettivo Nanni Balestrini, Millepiani, DeriveApprodi, Roma, 2022, p. 309.]
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di Andrea Inglese
Per Nanni Balestrini potrebbe valere la formula dell’identità moderna che Pirandello coniò per Vitangelo Moscarda, uno dei suoi più celebri protagonisti. Ma per l’autore siciliano, uno, nessuno e centomila esprime ancora uno scandalo della ragione, un paradosso che tende a paralizzare l’azione, laddove, applicata a Balestrini, tale formula sembra conseguire da una consapevole strategia produttiva d’opere e iniziative. Nell’intitolare un volume a lui interamente dedicato, il curatore Sergio Bianchi utilizza la traduzione italiana di Milles plateaux, titolo dell’opera filosofica di Gilles Deleuze e Félix Guattari. Di soggetto plurimo, però, ancora si tratta, in questo Nanni Balestrini Millepiani, corposo volume di una delle nostre case editrici più politiche, DeriveApprodi, che per altro, senza contraddizione, si è impegnata nella pubblicazione integrale dell’opera letteraria (poetica e narrativa) dello stesso Balestrini. Fedele al suo titolo, il volume di trecento pagine non fa una scelta di omogeneità nella selezione e nella raccolta dei materiali. Vi troviamo testimonianze dirette di sodali poetici e politici, ricostruzioni documentate di contesti e progetti culturali, letture critiche della sua produzione letteraria e artistica, il tutto corredato da cinquanta immagini a tutta pagina di opere plastiche e grafiche, ritratti individuali e di gruppo, copertine di libri o riviste, ecc. Tutto ciò non vuole essere un semplice omaggio a uno scrittore tra i più importanti del secondo Novecento, e che è stato attivo e presente fino a pochi mesi dalla sua scomparsa, nel 2019. Nanni Balestrini Millepiani è anche il tentativo di cartografare lo spazio senza contorni certi di una personalità e di un’opera, che si confondono con una quantità di soggetti e di creazioni collettive nel corso di sessant’anni almeno di vicende letterarie, culturali e politiche del nostro paese. Questa “confusione” (di piani di realtà così come di generi letterari e forme artistiche) è ciò che distingue il percorso di Balestrini, ma lo rende anche sfuggente e in parte enigmatico, per chi pretendesse di coglierlo attraverso una sola chiave di lettura. L’eterogeneità dei materiali raccolti nel volume di DeriveApprodi lascia comunque apparire una sorta di baricentro, di punto di convergenza e passaggio, delle tante e diverse esperienze che vi sono documentate. Questo baricentro è dato dall’anomalo e lungo decennio che prolunga il ’68 italiano fino alla vasta e indiscriminata repressione innescata dal processo del 7 aprile 1979, che vide lo stesso Balestrini imputato e poi assolto. Il Balestrini che incontriamo qui ha l’esperienza della neoavanguardia e la stagione delle polemiche letterarie alle spalle, così come l’attività di redattore del “Verri” e delle collane di narrativa per Feltrinelli, e si appresta a divenire uno dei più infaticabili e innovativi attori dell’editoria di movimento, a partire dall’esperienza della rivista “Quindici” e subito dopo di “Potere operaio”. Ed è in questo contesto di rivolta diffusa, rivolta esistenziale ancor prima che politica, che Balestrini sembra individuare un nuovo terreno di sperimentazione dei linguaggi verbali e visivi, in cui le esperienze collettive sembrano nutrire le invenzioni individuali e viceversa. (È il caso esemplare di Vogliamo tutto del 1971, romanzo sperimentale che, meglio di qualsiasi narrazione “realistica”, documenta l’avvento dell’operaio-massa e delle nuove lotte nelle fabbriche della Fiat alla fine degli anni Sessanta.)
Buona parte degli interventi raccolti nei due primi capitoli del libro (Sguardi e Percorsi), sono dedicati alle testimonianze dirette o alla ricostruzione più analitica di questa fase dell’attività di Balestrini, che si chiude con l’esperienza della prima “alfabeta” (nata nel 1979). Nella seconda parte, troviamo una serie di testi divisi per “genere” (Visive, Audiovisive, Suoni, Scene, ecc.) che trattano dei vari ambiti del suo agire artistico e letterario, abbordati in una prospettiva più tradizionalmente critica. Abbiamo saggi e interviste di Fabbri, Cortellessa, Lorenzini, Bello Minciacchi e altri. Nella prima parte, invece, abbondano le voci provenienti dalla militanza politica (Mario Tronti, Toni Negri, Sergio Bologna, Jaroslav Novák, Giairo Daghini, Franco Berardi Bifo, ecc.).
Un po’ come era successo a Debord, con il Maggio parigino, la marginalità di matrice letteraria e avanguardistica, nata nel corso della seconda metà degli anni Cinquanta, finisce per intercettare un movimento giovanile (studentesco e operaio) di massa, che alle soglie degli anni Settanta elabora una critica politica e culturale delle istituzioni e dell’organizzazione del lavoro, in seguito a un decisivo ventennio di modernizzazione capitalistica. La ricchezza e la singolarità del libro curato da Sergio Bianchi nasce dal tentativo di dare conto di questa tangenza, rara sul piano storico, ma anche su quello delle esperienze artistiche e intellettuali. Non sarà mai sufficiente dire, nel caso di Balestrini, era il poeta giusto nel momento storico giusto. La giustezza del caso è venuta dalla straordinaria capacità di adattamento del poeta e dell’intellettuale nei confronti di un ambiente culturale inedito nella storia nazionale, che permetteva la presa di parola di una molteplicità di soggetti che mai l’avevano esercitata nello spazio pubblico (studenti, operai, immigrati, donne, omosessuali, detenuti). A quelle tante (e nuove) parole non sue, Balestrini è stato capace di dare con grande efficacia la propria voce.