Tundra e Peive
di Vanni Santoni
Francesca Matteoni, pistoiese classe ’75, è ormai un punto di riferimento imprescindibile nel mondo della poesia dopo il successo di Ciò che il mondo separa, uscito due anni fa per Marcos y Marcos, non è nuova a incursioni nella prosa: dopo il primo romanzo, Tutti gli altri, uscito nel 2014 per Tunué, torna oggi in libreria per Nottetempo con Tundra e Peive.
Matteoni, come nasce questo romanzo e cosa significa questo titolo così inusuale?
Tundra e Peive sono i due personaggi principali, il cui legame è il centro della storia. Tundra è un folletto; Peive il gatto che lo accompagna. La storia si svolge in una città, ma la provenienza di alcuni personaggi è il nord, da cui la scelta del nome Tundra e di quello Peive:Peive è la variante meno nota del nome della divinità solare presso i sami: Beaivi, di solito femminile, ma qui maschile, come tributo al poeta Nils-Aslak Valkeapää, autore di una raccolta dal titolo Il sole, mio padre.
Prima dell’inizio si legge: “Questa non è una favola”: è un po’ come la pipa di Magritte?
È certamente una fiaba. Anzi, è l’incontro e la rielaborazione di molte fiabe: Il pifferaio di Hamelin, Hansel e Gretel, Peter Pan, i miti della selkie e alcuni racconti sciamanici. Queste storie interagiscono con i luoghi del mio abitare, con la persecuzione delle streghe nell’età moderna, con la questione ecologica. Perché quella frase, allora? Perché non finirò mai di dire che le fiabe sono vere. È il mio manifesto contro un interesse eccessivo per la cronaca come unica realtà, quando la realtà è complessa e fatta dell’invisibile. Volevo anche affrancarmi dalle etichette come: “romanzo fantasy”. Che senso ha?
Come è nato e come si è sviluppato questo romanzo?
Ho avuto la prima visione di questa storia intorno al 2005, quando abitavo a Londra. Non sapevo che ne avrei fatto, ma avendo una memoria tenace, l’ho tenuto lì, da parte. Ho buttato giù la prima stesura nel 2013. Non andava bene, anche se avevo già definito i personaggi e i luoghi. Ci ho rilavorato negli anni, lasciando, riprendendo, pensando nuove strutture, fino a capire che la storia non poteva piegarsi a nessuna esigenza esterna: per esempio quella di farne un libro per bambini, secondo le regole di un certo mercato, ovvero annacquando la cupezza. Ma cosa esiste di più oscuro dei bambini? Ho pensato molto al ruolo dell’infanzia in quanto scrivo e vivo: la sostanza non è tanto diversa da quella che potevo sognare a cinque anni, solo che allora non avevo attraversato lutti e delusioni. Credo che in genere, nelle mie parole, il tentativo sia piuttosto quello di tornare bambini. Certe storie, come è capitato a questa, possono restare nella nostra testa per anni, come amici immaginari. Poi è accaduto tutto in un lampo. Ho detto al mio editor, con cui stavo parlando di un altro libro da scrivere: avrei un romanzo, è un po’ strano. Ed eccoci qua.
Si sente forte la presenza del mondo animale.
L’amore più grande della mia vita sono e restano gli altri animali (anche noi siamo animali, ricordiamocelo). Questa è la parte più fedele alla me bambina, quando mi dicevo di proteggerli dalle cattiverie umane, miei coetanei compresi. Mica tutti i bambini sono buoni. Come non sono buoni gli animali: vanno lasciati stare. Con alcuni si innescano legami d’affetto non necessariamente ricambiato. Gli animali custodiscono la nostra capacità di creare un linguaggio nuovo, ma nella nostra ottusità, poiché non li capiamo, pensiamo siano inferiori, oppure siano innocenti complementi d’arredo.
Che rapporto c’è, se c’è, con il suo libro di poesie Nel sonno?
C’è un forte legame temporale e formale. Ho scritto Nel sonno poco prima di sprofondare nell’universo di Tundra ed ero nel solito luogo: a Londra, per due anni di ricerca universitaria. Le poesie e le prose di quel libro nascono allo stesso modo: spegnendo l’attenzione e lasciando fluire le parole. Lì, il riferimento letterario è Alice. C’è poi una connessione più nascosta: Nel sonno si tiene attraverso legami familiari femminili. Questa linea è fortissima anche in Tundra e Peive. Gli uomini si perdono, feriscono, sbagliano, cercano redenzione. Le donne tessono riscatto, memoria, possibilità.
E col suo precedente romanzo Tutti gli altri?
Insieme alla questione femminile di cui ho detto sopra, la presenza dei fratelli perduti. Sono gli stessi, in un certo senso, che troviamo in Tundra e Peive, solo che nel mio nuovo romanzo racconto anche quello che non si vede, perché in più c’è la magia. Sono entrambi libri costruiti sui personaggi e sull’intreccio delle loro storie individuali. E in entrambi vale la memoria. Il passato è la terra che veniamo costruendo, quella che forse può salvarci, in questo pianeta che abbiamo tanto martoriato.
Nei ringraziamenti figura il centro per scrittori e traduttori nella città di Visby sull’isola di Gotland, in Svezia.
Sono stata ospite nel 2019, poco prima che la pandemia stravolgesse le nostre vite; lì ho riscritto buona parte del libro. In quei giorni ho riletto la versione integrale di Il viaggio meraviglioso di Nils Holgersson di Selma Lagerlöf. Scrivere, leggere, passeggiare prima del crepuscolo che nell’inverno arriva verso le 15:00, nella città di Pippi Calzelunghe, affacciarsi sul Baltico nel vento notturno, condividere le serate con scrittori di ogni provenienza è una di quelle cose che ti fa sentire a casa. E poi, ero a nord. La mia bussola punta sempre a nord.
*intervista apparsa sul Corriere Fiorentino il 2 marzo 2023