Hitch, l’architetto
di Gianni Biondillo
Christine Madrid French, The Architecture of Suspense. The Built World in the Films of Alfred Hitchcock, University of Virginia Press, 2022.
Bruno Zevi si fidava poco di piante e sezioni per capire l’intima essenza dell’architettura. Credeva, ottant’anni fa, che forse il mezzo cinematografico sarebbe stato il più corretto per rappresentarla, laddove non se ne potesse avere un’esperienza diretta. Tempo e spazio. Cioè architettura (e cinema). Gli architetti hanno sempre amato il cinema, dispositivo perfetto per rappresentare il mondo, più ancora della fotografia. Gli architetti scrivono di cinema da sempre (si consultino, per capire cosa intendo, i numeri di Domus o di Casabella degli anni Trenta, dove giovani avanguardisti ne scrivevano con passione e competenza). Chi scrive di cinema, invece, di architettura ne capisce poco. Ecco perché ho apprezzato questo lavoro di Christine Madrid French, pubblicato dall’University of Virginia Press.
The architecture of suspense è un libro che inverte la polarità sul tema. L’autrice si occupa di conservazione del patrimonio architettonico negli Stati Uniti, è insomma una specialista, che però ha compreso quanto il cinema non sia solo un dispositivo per l’interpretazione del paesaggio, ma il creatore perfetto di immaginari architettonici. E il maestro, il guru, l’architetto assoluto di questa disciplina è stato (ed è tuttora, a ben vedere) Alfred Hitchcock.
Gli edifici, nei suoi film, non sono solo scenari dove far muovere i personaggi, ma spazi attivi, attori partecipanti, snodi narrativi: scalinate oscure e minacciose, motel diroccati, ville decò incombenti, cortili urbani panottici, campanili vertiginosi. Spazi emotivi. Che nella maggior parte delle volte non sono mai esistiti, tutti ricostruiti negli studios hollywoodiani, ma così veri – più veri del vero – che sono entrati prepotenti nel nostro immaginario.
Caso esemplare, per capire cosa intendo, è quello raccontato da Christine Madrid French nel secondo capitolo del libro, dove si tratta della “tana del cattivo”. Hitch è praticamente il primo che forza il tropo narrativo dell’abitazione del vilain trasformandolo da castello gotico, oscuro, figlio di una letteratura ottocentesca (da Frankenstein a Dracula, gli esempi sono infiniti) a luogo limpido, razionale, organico, modernista, colto. Il mostruoso architettonico, correlativo oggettivo del suo proprietario, è algido e chic, raffinato e contemporaneo. In North by Northwest (il nostro Intrigo internazionale), Phillip Vandamm, l’antagonista di Cary Grant, vive in una villa lussuosissima e wrightiana alle pendici del monte Rushmore. Edificio, ci ricorda French, talmente iconico, da essere stato cercato da anni dai turisti di passaggio.
Senza mai trovarlo, dato che è un set disegnato dallo scenografo Robert F. Boyle negli studi della Metro-Goldwyn-Mayer a Los Angeles. Eppure, insisto, questa architettura più vera del vero, ha saputo diffondere a livello pop un’idea di modernismo (elegante e inquietante) che ha segnato ogni futura interpretazione dell’idea di spazio costruito contemporaneo. Grazie al grande architetto e illusionista che fu Alfred Hitchcock. Hitch, per gli amici.
(precedentemente pubblicato su Abitare, gennaio 2023, n 621)