Dentro una frase di Chris Marker
di Ornella Tajani
con la partecipazione di Serena Cacchioli
Ricevo da Serena questa frase, tratta da Sans soleil di Chris Marker, che non avevo mai visto e che ho guardato subito dopo. La trovo magnetica, nei giorni successivi continuo a rileggerla, ad attraversarla, quasi che nello spazio di poche righe possa prendere corpo (è sempre e solo questione di corpi) una verità fondamentale, il senso stesso di un’esistenza; ma, quando arrivo al punto finale, mi sembra di averla persa, come se intanto si fosse bruciata.
Qui a dit que le temps vient à bout de toutes les blessures ? Il vaudrait mieux dire que le temps vient à bout de tout, sauf des blessures. Avec le temps, la plaie de la séparation perd ses bords réels. Avec le temps, le corps désiré ne sera bientôt plus, et si le corps désirant a déjà cessé d’être pour l’autre, ce qui demeure, c’est une plaie sans corps.
Sento il bisogno di appropriarmene, di penetrare il significato in qualche modo, quindi faccio l’unica cosa che mi viene in mente: la traduco.
Chi ha detto che il tempo guarisce ogni ferita? Sarebbe meglio dire che il tempo guarisce tutto, tranne le ferite. Col tempo la piaga della separazione perde i margini reali. Col tempo il corpo desiderato scompare in fretta, e se il corpo che desidera (— — —), resta solo una piaga senza corpo.
È una stesura di getto, ci avrò messo mezzo minuto — e si vede: è tutto un po’ traballante, non mi convince fino in fondo aver eliminato una ripetizione, quel “venir à bout” iniziale pare uno scoglio insormontabile, così visivo e al contempo astratto, così infinito e insieme perfettamente banale. Per giunta, io che di solito traduco sempre tutto sin dal primo momento, lascio uno spazio bianco: lascio in bianco il corpo desiderante che “a déjà cessé d’être pour l’autre”, forse perché è un pezzo di frase in cui sprofondo.
Mentre cerco on line il nome giapponese che nel film porta il presunto autore di questa frase, mi imbatto in una traduzione italiana, può darsi che sia quella del doppiaggio o della sottotitolazione ufficiale:
Chi ha detto che il tempo cura tutte le ferite? Sarebbe meglio dire che il tempo cura tutto tranne le ferite. Con il tempo, la sofferenza della separazione perde i propri reali limiti. Con il tempo, il corpo desiderato scompare in fretta, e se il corpo desiderante ha già smesso di esistere per l’altro, quello che rimane è una ferita… disincarnata.
La traduzione mi colpisce: mi colpisce che la “plaie” sia intesa in senso figurato, che i “bords” siano diventati “confini” (sono i “bords de la plaie”, i due lembi — i due corpi che si separano). Non è una brutta frase: “col tempo, la sofferenza della separazione perde i propri reali limiti”; forse sono persino d’accordo, ma mi sembra che stia dicendo qualcosa di piuttosto diverso da quello che recita il testo francese.
Leggo: “il corpo desiderante ha già smesso di esistere per l’altro”. È detto semplicemente, ed è esatto, riconosco il baratro: l’inaccettabilità di un corpo desiderante che non esiste più per chi è desiderato.
E poi la “ferita… disincarnata”: chi ha tradotto ha usato una bella soluzione per ovviare al problema di non aver scelto “plaie” per “piaga” poco prima. Seduce, la ferita disincarnata, ma dista anni luce dalla “plaie sans corps”: la “plaie sans corps” è il correlativo oggettivo dell’assenza, che non è mai assenza di sofferenza. La “ferita disincarnata” è letteraria, trasfigurata; i puntini sospensivi, che producono enfasi, creano una tonalità emotiva lontanissima dalla concretezza tragica che la frase di Marker esprime.
Scrivo a Serena e, senza anticipare granché di quanto detto finora, le chiedo una sua traduzione. Eccola:
Chi ha detto che il tempo cura tutte le ferite? Sarebbe meglio dire che il tempo cura tutto tranne le ferite. Con il tempo la ferita del distacco perde i contorni reali. Con il tempo, il corpo desiderato presto smetterà d’esistere e se anche il corpo desiderante smette di esserci per l’altro, quel che resta è una ferita senza corpo.
Poi commenta:
Ho tradotto sia blessure, sia plaie con ferita… non trovavo sinonimi migliori. All’inizio avevo messo «il segno» del distacco, ma la ferita è una ferita, non un segno… e nemmeno una piaga.
Serena ha inoltre tradotto “séparation” con “distacco”, che è una soluzione cui riflettere. Non sono invece d’accordo sul non scegliere il termine “piaga”: la piaga è visiva, è l’apertura infinita, la voragine. Quando mettiamo il dito nella piaga tocchiamo il punto focale della sofferenza, l’assenza da cui originano dolori e desideri.
Prima di farmi leggere il suo testo mi aveva mandato un vocale in cui stava per commentare la traduzione di “venir à bout” nei sottotitoli portoghesi al film, rivisto quella sera in un centro culturale di Lisbona: è un vocale che, per evitare di farmi influenzare, avevo interrotto. Lo ascolto ora:
Inizialmente avevo visto il film con i sottotitoli in italiano, quindi sono influenzata da quella traduzione; proverò a dimenticarmela. Quando poi l’ho visto con i sottotitoli in portoghese, c’era quel venir à bout che in portoghese era tradotto… insomma, mi ricordo che in italiano era tradotto con “cura”. E infatti il tempo cura le ferite.
Così, la traduzione portoghese si perde nel non detto. Il tempo forse cura le ferite, è vero: ma non le guarisce, è proprio questo che la frase francese indica. La cura implica un lavoro costante, potenzialmente ininterrotto; non è un venir à bout, non c’è necessariamente una riuscita, una risoluzione. Marker forse concorderebbe sul fatto che il tempo cura le ferite, ma qui gli preme sottolineare che non le guarisce.
Mi viene voglia di guardare una delle traduzioni spagnole del testo:
¿Quién ha dicho que el tiempo vence a todas las heridas? Mejor sería decir que el tiempo vence a todas las cosas, excepto a las heridas. Con el tiempo, la herida de la separación pierde sus contornos reales. Con el tiempo, el cuerpo deseado ya no lo será más, y si el cuerpo deseado ha dejado de ser para el otro, lo que queda es una herida sin cuerpo.
Un nuovo scarto dalla norma: se di solito in spagnolo «el tiempo cura las heridas», qui addirittura il tempo vince le ferite, forse sul modello di «el amor todo lo vence».
L’idea del superamento del dolore, che non implichi un vero attraversamento, è una delle più errate e nocive narrazioni del contemporaneo: superare il dolore come se si trattasse di un ostacolo, di un intralcio, e non di uno stato fondamentale dell’essere; il corollario evidente è che il mancato superamento del dolore costituisce un fallimento senza appello.
Su questa scia, l’immagine della «vittoria» contro la ferita rimanda a un modello esistenziale in cui regna il mito del successo a tutti i costi: il successo come una colata di cemento sopra ogni caduta o strappo, sulle asperità inevitabili di cui è costellato il quotidiano.
Almeno, la ferita è rimasta «sin cuerpo», senza corpo, mentre nella traduzione inglese ritorna ciò che trovavamo nella versione italiana:
Who said that time heals all wounds? It would be better to say that time heals everything except wounds. With time, the hurt of separation loses its real limits. With time, the desired body will soon disappear, and if the desiring body has already ceased to exist for the other, then what remains is a wound… disembodied.
Durante questi andirivieni linguistici ho ripensato la mia traduzione, pur non avendola ancora appuntata. Il finale che avevo scelto all’inizio («resta solo una piaga senza corpo») non funziona, non chiude magnificamente il cerchio come in francese: è troppo repentino, è piatto. Provo così: “ciò che/quello che resta è una piaga senza corpo”. Ma manca sempre qualcosa, manca la pausa data dalla virgola, che prepara al colpo di grazia: ed è una virgola possibile solo in francese, per via della struttura col presentativo; in italiano mai inserirei una virgola tra soggetto e verbo, o tra proposizione soggettiva e proposizione principale, come in questo caso.
Mi chiedo come mai ho un’immagine grafica dell’ultima frase: di colpo mi ricordo che, nel copia e incolla fatto da Serena, qualcosa era stato inavvertitamente messo a capo. E allora:
Chi ha detto che il tempo guarisce le ferite? Bisognerebbe dire che il tempo guarisce tutto, tranne le ferite. Col tempo la piaga della separazione perde i margini reali. Col tempo il corpo desiderato scompare, e, se il corpo che desidera ha già smesso d’esistere per l’altro, ciò che resta è una piaga
senza corpo.
Non è una fine, ma un inizio. La traduzione come avvicinamento, continuo attraversamento: on n’en vient jamais à bout. In fondo, anche la traduzione è una piaga senza corpo.
Grattare la piaga perché non si chiuda! Grazie Ornella Tajani. Bello anche che corps è singolare e plurale assieme. Quello che resta è una piaga senza corpi. Il plurale spiazzante alla fine potrebbe forse recuperare il valore di quella virgola impossibile? L’importante è non venirne mai a capo!
è vero, che “corps” sia anche plurale apre ulteriori suggestioni :)