La vie en bleu ( France): laboratorio di scritture
Frutto della collaborazione tra l’Università di Bologna e l’Associazione Emilia-Romagna di Parigi, grazie al contributo dell’Assemblea legislativa – Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo, l’atelier tenutosi alla librairie italienne Tour de Babel è stato ideato e organizzato da Giulia Molinarolo (sua l’introduzione al dossier) per consentire la fruizione comunitaria di uno spazio libero, dialogico e formativo nel quale raccontarsi. Qui di seguito l’ouverture firmata da Wu Ming 2 che lo ha animato.Vi proponiamo a seguire gli incipit dei diversi racconti offrendo la possibilità a chi lo volesse di leggerli per intero nel pdf che è possibile scaricare qui. Le foto che accompagnano gli articoli fanno parte del progetto Parigots, di Sergio Trapani.
Patrizia Molteni & effeffe Rivista Focus-in
Storia di un sabotaggio
di
Wu Ming 2
I nove racconti che seguono sono il prodotto di un laboratorio di scrittura che ho cercato fin da subito di sabotare. Un obiettivo che suonerà schizofrenico dal momento che ho anche accettato di prendermene cura. Lettori e lettrici giudicheranno quale proposito mi sia riuscito meglio e se esista davvero una contraddizione fra i due.
Scopo dichiarato del laboratorio era la stesura di testi narrativi, autobiografici, basati sull’esperienza migratoria di chi avrebbe partecipato, ovvero persone d’origine (o d’adozione) emiliano-romagnola residenti in Francia, per studio o per lavoro, per molti anni o per pochi mesi.
Il mio scopo inconfessabile, invece, era quello di evitare il racconto di sé. Non perché provi una particolare antipatia per il memoir o l’autofiction, a parte le loro derive più ombelicali. Il punto è che sono generi in cui mi muovo con imbarazzo e scarse competenze: prova ne siano queste poche righe.
Si dirà che allora avrei fatto meglio a lasciar perdere. Un vegetariano non vorrebbe mai condurre uno stage sul ragù alla bolognese. Ma mentre le alternative senza carne della famosa salsa petroniana sono considerate veri e propri vandalismi, la letteratura consente di rappresentare il proprio vissuto con tante tecniche e linguaggi diversi, travestendo e stemperando quello che Gadda considerava il più lurido dei pronomi, un vero e proprio «pidocchio del pensiero».
Ora, dal momento che otto racconti su nove sono scritti in prima persona, sarebbe facile dedurre che l’ego, nel caso di specie, non è stato né travestito né stemperato, con buona pace dei miei inutili intenti.
Ma andiamo con ordine.
Abbiamo dedicato le prime due giornate del nostro laboratorio a una raccolta di aneddoti, storie ed episodi tratti dall’esperienza migratoria di ciascuno. Un modo per “partire da sé”, come ci hanno insegnato i movimenti delle donne, sforzandosi così di arrivare a un “noi”. Prendere le mosse dalla propria quotidianità per raccontare chi siamo oltre gli stereotipi e le etichette che vorrebbero definire cosa siamo (emigranti, cervelli in fuga, italiani all’estero, generazione Erasmus…)
Qualunque narrazione, anche la più istintiva, si distingue dalla pura cronaca perché, come scriveva già Aristotele, «mira all’universale pur ponendo nomi propri», ovvero racconta una vicenda particolare non per comunicare quel che è accaduto, ma in virtù del suo significato, cioè di quanto potrebbe accadere ancora.
I brevi testi raccolti ci sono quindi serviti per seminare il terreno del confronto, coltivare la condivisione e raccoglierne i frutti, sotto forma di una nuvola di parole, un inventario di ingredienti e principi attivi nella chimica della migrazione.
Il passo successivo doveva consistere nello sceglierne alcuni per declinarli di nuovo in un racconto, anche di fantasia, non per forza riferito a vicende reali e vissute in prima persona.
Chi può stabilire se questa consegna – il mio piccolo sabot infilato nell’ingranaggio dell’autobiografia – è stata più o meno rispettata da chi ha partecipato al laboratorio?
Non mi dilungherò sull’importanza di distinguere l’autrice, la voce narrante e la protagonista di una novella, anche quando il testo è scritto in modo da identificarle con la stessa persona. A prescindere dalle finezze accademiche, mi chiedo fino a che punto sia possibile determinare, ad esempio, se Elisa C. sia davvero scesa nelle catacombe di Parigi, e dove stia il confine, in Buio nella città della luce, tra l’esperienza vissuta e la finzione. E mi chiedo, soprattutto, perché lo si dovrebbe stabilire, dal momento che il racconto sarebbe vero anche se fosse finto, appurato che il suo oggetto non sono le comunità dei cataphiles, ma i riti di passaggio che l’emigrante ricerca per trasformarsi in una del posto. Lo stesso si può dire per il conflitto (culturale, ideologico e forse anche di classe) che anima l’intreccio di Appuntamento a Saint Raphaël, a prescindere dalla reale identità di Benjamin e dei suoi genitori, così come lo scontro e l’eccesso di culture – per riprendere un titolo di Marco Aime – sono al centro di Parigi – Xanax solo andata, un sarcastico manuale di istruzioni per affrontare la ville lumière con pochi soldi in tasca, alla maniera del George Orwell di Down and out in Paris and London. Volendo, si potrebbe usare il righello dell’analisi critica per misurare la distanza che separa Arcangela Dicesare dalla narratrice omodiegetica di Casa, ma anche in questo caso – a meno di non essere biografi dell’autrice – si spenderà meglio il proprio tempo riflettendo sul tema suggerito dal titolo del racconto: un concetto, peraltro, che non è centrale solo per chi abbandona la propria dimora abituale, o la terra d’origine. E d’altra parte, non è un desiderio specifico del migrante nemmeno quello di poter vedere in anticipo, come in un trailer cinematografico, i futuri possibili generati dalle proprie scelte, come si augura la protagonista di La metropolitana. Partendo da sé, in quanto individui trapiantati in terra straniera, si finisce non soltanto per moltiplicare quel sé e ottenere un noi, ma anche per suggerire che quel noi può diventare tutti e tutte. Questo non significa che tutti e tutte conosciamo i pro e i contro del lavoro stagionale in un vigneto della Borgogna (Raccolto), né che abbiamo sperimentato il viaggio di Federico, dalla “benamata provincia” alla capitale di Francia (Faccio un salto a Parigi, tanto poi torno…), ma certo ci coinvolge la forza archetipica di simili avventure, come di quelle, non meno evocative, di chi scopre una nuova amicizia (I tramonti a Parigi hanno un che di speciale) o accetta di diventare adulta grazie a una visione di morte e rinascita, in uno dei cimiteri più famosi d’Europa (Père-Lachaise).
Quando l’io gira lo specchio e lo punta sul mondo, il mondo (vi si) riflette.
Mi racconto, dunque siamo.
E il sabotaggio non è più necessario.
Elisa C., Buio nella città della luce
C’era questo brutto film del 2007 intitolato Catacombs – Il mondo dei morti. Quando lo vidi era appena uscito, avevo diciannove anni e mi ero trasferita da poco a Bologna. Avevo iniziato una nuova fase della vita, basta adolescenza, era tempo di passare all’età adulta. In quel brutto film c’era Pink, sì, la cantante, e una spaurita Shannyn Sossamon che sterminava tutti i suoi amici nelle catacombe di Parigi. Un film assurdo, esagerato e così distante da quello che stavo vivendo che me ne dimenticai in fretta, ormai lanciata nella mia nuova vita. Il tempo passò, mi abituai alla nuova città, mi formai e misi a fuoco i miei obbiettivi. Dieci anni dopo decisi che Bologna mi stava stretta e mi trasferii a Parigi.(…)
Eugenia Leonardi, Appuntamento a Saint Raphaël
Caro Benjamin, spero che tu non me ne voglia, perché questa storia merita di essere raccontata. Spero che possa farti sorridere, anche se forse sarà un sorriso amaro.
Luglio 2020, Parigi, Gare de Lyon, sei del mattino. Io e Benjamin aspettavamo. Il TGV arrivò in orario, destinazione Saint Raphaël. Era il momento di conoscere i suoi genitori. Ero agitata, avevo già incontrato Bérénice e Pierre. Quella volta mi avevano fatto una buona impressione, ma purtroppo ero reduce da un colpo di sole, con annesse allucinazioni e febbre alta. Nonostante le mie sensazioni fossero state positive, mi restava un tocco di angoscia. Sul treno rimuginavo: mi esprimerò decentemente? Spero di non fare troppi errori e di non incepparmi durante le conversazioni. Ho dimenticato tutto il francese che ho imparato in due anni. Panico. Di solito faccio sempre una buona impressione, sembro innocua, gentile, ben educata. Nulla da temere per un genitore. (…)
Lisandra Coridon, Parigi – Xanax solo andata
Quando sento un italiano dirmi “come fai a vivere a Parigi, che non hanno il bidet?”, penso subito “ah, beata ingenuità, fosse il bidet il problema”. Sul serio, voi pensate che il disagio più grosso sia non potersi lavare il culo e questo la dice lunga sulle vostre priorità e su come affrontate la vita in Italia. Ma a parte il bidet, nemmeno io avevo idea dei problemi che avrei dovuto affrontare in un paese tutto sommato simile al nostro. Per cominciare, non mi abituerò mai ai prezzi delle case e alla loro dimensione. Vivo in uno sgabuzzino che pago quanto i 110 metri quadri che avevo a Bologna, una delle città più care d’Italia. A Parigi il minimo abitabile per legge sono 9 metri quadri e se volete provare la stessa ebbrezza che proviamo noi, prendetevi un fornellino da campo, un materasso, un mini-frigo e chiudetevi a vivere nel cesso di casa vostra. (…)
Arcangela Dicesare, Casa
A Parigi sono finita per scherzo del destino. Una pagina della vita aperta a caso. Abito in una palazzina che non sembrerebbe molto ricca, ma so che il signore del piano di sopra ha un Matisse appeso al muro, un Matisse vero. In più, si capisce che il condominio brulichi di persone con un buono stipendio dalla presenza dell’ascensore. Il difficile rapporto che i parigini hanno con gli ascensori è per me incomprensibile, sembra che s’impuntino contro il progresso tecnologico, una scelta di vita radicale per perseguire i sani e onesti principi di altri tempi. Dal canto mio, continuo a non capire e mi rifiuto – un rifiuto politico – di salire anche un solo scalino pur abitando al secondo piano. (…)
Linda Marabini, La metropolitana
Chissà perché mi viene così difficile prendere decisioni. Sempre, anche quelle più banali. Ogni volta che mi trovo davanti a un bivio il cervello si blocca, anzi no, più che altro corre tanto veloce che inciampa e cade. Allora stilo una lista infinita di “se” e di “ma” e a quel punto è la fine. Come posso sapere che si tratta della scelta giusta? Sarebbe più semplice la vita se prima delle grandi decisioni si potesse guardare un piccolo trailer dei futuri possibili in modo da capire in che direzione andare. Un giorno mi trovavo in metro, un quadernino davanti e una lista dei pro e dei contro da riempire. Il titolo in stampatello era “MASTER A PARIGI”, una prospettiva magica e terrificante al tempo stesso. (…)
M., Raccolto
Caro lettore e cara lettrice, nell’estate del 2017 le folate di vento rinfrescavano il caldo torrido di Roma. Ero iscritto all’Accademia di Belle Arti nella capitale e ormai preparavo il rientro estivo nella provincia di Ravenna. La sera frequentavo spesso il quartiere universitario San Lorenzo dove conobbi Luca, studente della Sapienza che mi parlò di un suo viaggio in Francia. Mi disse di essere partito per una settimana di lavoro e, grazie a varie scartoffie, alcune mail all’Inps e al Centro dell’impiego, di aver ottenuto una disoccupazione di ben tremila euro. Agli occhi di un povero studente fuori sede come me era una miniera d’oro. (…)
Federico Zambelli, Faccio un salto a Parigi, tanto poi torno…
– Mamma, papà, c’è una cosa importante che devo dirvi…
Tutto ebbe inizio così, il 13 luglio del 2013.
Quel giorno Federico ebbe la sua ultima cena di classe. La quinta superiore era ormai al termine. Di lì a poco, il 19 giugno, avrebbe sostenuto la prima prova dell’esame di maturità. Tutto procedeva in modo tranquillo se non fosse che Federico, mesi prima, navigando tra le pagine web delle università, aveva deciso di compilare il modulo di iscrizione a un’università francese. Ma non una qualsiasi: la Sorbona, la seconda università più antica e rinomata nel mondo. (…)
Maria Francesca Bottari, I tramonti a Parigi hanno un che di speciale
È giovedì, sono le 17 e sono seduta da Starbucks in cerca di ispirazione. Lo so che a Parigi sembrerà assurdo scegliere una costosa catena americana invece di un elegante e tipico caffè, ma provate voi a studiare su quei piccoli tavoli rotondi, tutti appiccicati e traballanti, col brusio dei turisti e un giovane violinista intento a suonare La vie en rose. Insomma, tutto molto bello, ma concentrarsi è fuori discussione.
A Parigi non potrò mai dimenticare il momento in cui… in cui cosa? Quando sono arrivata, è stato bellissimo… no, non funziona. Magari è stato molto interessante… e poi? (…)
Caterina Baldini, Père-Lachaise
Il sole si intrufolava tra coltri di nuvole troppo spesse che ne impedivano il passaggio. In un tentativo estremo di sconfiggere quell’atmosfera plumbea alcuni raggi si facevano strada nel cielo di Parigi. Aprivano uno stretto passaggio dal quale si poteva intravedere la lotta perpetua tra luce e ombra, l’inizio di una nuova cosmogonia. Fissavo lo spettacolo dalla finestra di casa mia nel quinto arrondissement e pensavo a come organizzare la giornata. Ero arrivata a Parigi da poco e ancora mi stavo ambientando. Vivevo in uno studio di quattordici metri quadri, bagno e cucina inclusi. Era febbraio e le piastre della cucina, l’unica fonte di calore in cui potevo sperare, non funzionavano.(…)