Francis Scott Fitzgerald il sognatore
di Stefania Brivido
Quando si sente parlare di “Generazione Perduta” e di letteratura americana, la figura di Francis Scott Fitzgerald giunge lampante nei pensieri di un lettore. Lo scrittore originario del Minnesota è famoso per avere scritto sui “ruggenti anni Venti” e in particolare sulla cosiddetta età del jazz. Il luogo di cui Fitzgerald scrive è un’America nuova fondata su Wall Street, immersa in balli sfrenati a suon di jazz, fiumi di champagne, vacanze in Riviera, ville ed hotel di lusso, uno sfarzo febbrile che si traduce in quella che verrebbe definita la joie de vivre. Forse molti saranno a conoscenza del fatto che quasi tutti i romanzi di Fitzgerald rappresentano la trasfigurazione della sua burrascosa vita sentimentale con la moglie Zelda. I protagonisti creati dallo scrittore sono dei veri e propri sognatori. Quanto di Francis Scott Fitzgerald c’è in Jay Gatsby o in Dick Diver? Moltissimo, forse tutto. Ecco che entra in gioco il filo sottile tra realtà e finzione, tra la vita vera e il romanzo, tra la veglia e il sonno, ovvero il sogno di un sogno. Un sognatore vive la propria vita possedendo delle aspirazioni, dei desideri e cercando di realizzare se stesso, ma i personaggi di Fitzgerald, per quanto siano sognatori, finiscono per autodistruggersi: Jay Gatsby, da Il grande Gatsby, troverà la morte illudendosi di ritrovare l’amore che aveva provato un tempo con una messinscena magistrale; Dick Diver, da Tenera è la notte, troverà la solitudine, e Anthony Patch, da Belli e dannati, troverà la dolorosa realtà davanti allo svanire dei sogni. Persino la felicità è transitoria e Fitzgerald lo sa benissimo. Nei Racconti dell’età del jazz, lo scrittore decide di mostrare l’altra faccia della medaglia: la povertà e la miseria, figlie della Grande Depressione e del primo dopoguerra, il lato illegale della ricchezza che sfocia in corruzione e l’illusione della giovinezza eterna. La crisi esistenziale che vive il matrimonio di Dick Diver e sua moglie Nicole in Tenera è la notte è lo specchio della Grande crisi avvenuta negli Stati Uniti nel 1929. Dunque, è facile comprendere quanto sia labile il confine tra la vita vera e la realtà fittizia del romanzo per Fitzgerald, che – con la sua prosa mai monotona, ma elegante, ricca di dialoghi estremamente intelligenti e spesso provvisti di una meticolosa analisi psicologica – decide di assegnare le proprie passioni ed ambizioni a personaggi memorabili, degni di rappresentare quella che è l’accezione di Lost Generation: un termine coniato dalla scrittrice Gertrude Stein per definire quella generazione di giovani sopravvissuti alla Prima Guerra Mondiale, che si trova a fronteggiare la vecchia aristocrazia agraria e il nuovo ceto emergente industriale e imprenditoriale. Una generazione che prova un senso profondo di smarrimento e che affronta la vita con un’immaturità sentimentale. Stava nascendo la società di massa e il consumismo capitalista come oggi noi lo conosciamo e Fitzgerald, Hemingway, Faulkner, Dos Passos, Anderson, Steinbeck ed Eliot sono i degni rappresentanti di questa nuova età. Del resto c’è una frase molto importante ne Il Grande Gatsby, la frase finale del romanzo, nella quale è possibile ravvisarvi una sorta di epitaffio per tale generazione: “così remiamo, barche controcorrente, risospinti senza sosta passato“.
Ma la citazione fa anche riferimento al ruolo del personaggio Gatsby, il ruolo di chi perde nella vita e non riesce a rialzarsi. In fondo, che cos’è che rende questi perdenti così degni di essere ammirati? Il fatto che è tipico dei perdenti essere sognatori. L’azione stessa del sognare, del desiderare, dell’aspirare a qualcosa o a qualcuno li fa sentire vivi, potenti e immortali anche soltanto per un breve istante.
Matthew J. Bruccoli, studioso di letteratura americana, afferma che Fitzgerald possedesse la cosiddetta “strenght of weakness“, cioè la forza della debolezza ed è l’apprezzamento più grande che lo scrittore del Minnesota possa meritare. In Maschiette e filosofi, egli glorifica un’America vitale, fedele ai miracoli e all’arte, romantica e anticonformista nella quale le maschiette celebrano se stesse con la vanità, l’eccesso, la ritrosia e l’anticonformismo. Come afferma Ardita, la protagonista del primo racconto:
“Avere coraggio per me significava aprirmi un varco tra quella nebbia grigia e insulsa che scende sulla vita […] , non solo passare sopra alle persone e alle circostanze, ma passare sopra alla desolazione dell’esistenza“.
Le maschiette descritte dall’autore sono personaggi emblematici che anticipano quelli successivi nei suoi romanzi come Daisy Buchanan o Nicole Warren e sono donne caratterizzate dal culto di una bellezza scintillante e della mercificazione, specchio della jazz age e del Welfare State. Fitzgerald dice in Tenera è la notte che:
“La bella Nicole […] è il prodotto di una macchina i cui congegni sono le ferrovie transcontinentali, le cinghie di trasmissione …“.
La vita di Fitzgerald è stata costellata da continue cadute come l’alcolismo, la schizofrenia di Zelda e la competizione artistica crescente fra i due, i fallimenti con le sceneggiature a Hollywood, i lutti e la perdita di preziose amicizie. Perciò, la letteratura rappresentava l’unico mezzo per esorcizzare questa desolazione di un’esistenza di squallida apparenza, per condurlo alla gloria terrena da sognatore quale era.
La Villa in cui Francis Scott Fitzgerald soggiornava quando veniva in Costa Azzurra ora è il meraviglioso Hotel 5 stelle lusso Belles Rives ad Antibes – Juan Les Pins. Vi consiglio soprattutto una sosta al suo ristorante stellato ‘La Passagere’. Merita davvero una visita.
Mah, troppi luoghi comuni avendo forse condensato troppa carne al fuoco. Il commento di cui sopra appare di un fuori luogo incredibile col ristorante stellato…Si poteva e forse si doveva dire di piú e con piú devozione. Punto.