La situazione dell’agricoltura biologica
Utilissime queste note di Roberto Pinton sulla situazione dell’agricoltura biologica, in particolare in Germania e in Italia. Si parla molto di crisi del biologico, ma le flessioni – che seguono a molti anni di grande crescita, e che riguardano in realtà soprattutto il canale di vendita specializzato (a fronte di aumenti nel discount) – sono in realtà relativamente limitate:
“Su 25 categorie di prodotto secco per i dodici mesi terminanti a ottobre 2022 in ipermercati, supermercati, discount e libero servizio si registra (NdR: in Italia) un calo medio del 6.4% in valore e del 7.9% in volume rispetto ai dodici mesi terminanti a ottobre 2021 (il che sta a dire che, nella media, non si registrano aumenti di prezzo).
Se ci concentriamo sui discount, invece, registriamo un aumento di vendite del 6.3% in valore e del 3.5% in volume (quindi in media con un incremento di prezzo, anche se nettamente inferiore all’inflazione); il tasso di crescita è superiore a quello registrato nel canale per l’assortimento complessivo delle categorie in esame (bio e non bio), che è del 4.2% in valore.
Escludendo i discount, in iper, super e libero servizio il calo è del 10% in volume e dell’8.2% in valore.
Visto l’andamento, tra i buyer non serpeggia soddisfazione, ma per ora nemmeno il panico (per le stesse categorie nel complesso bio e non bio non c’è alcuna variazione in valore, ma il volume è calato del 3.9%), sono ancora possibili nuovi inserimenti, mentre si rinviano ampliamenti di gamma.
Per l’ortofrutta si usciva da un triennio con vendite medie intorno ai 300 milioni e volumi intorno ai 68 milioni di kg (relativamente ai prodotti a peso imposto, sia a marchio del produttore che a private label).
Il 2022 era partito bene, ma l’invasione dell’Ucraina ha cambiato le carte in tavola, con pesanti rincari in primis per l’energia, poi per gasolio, carta e altri materiali per imballaggio, personale e manutenzioni, per finire con la minor propensione all’acquisto.
Mentre produttori e trasformatori subivano questi rincari, la GDO si è lanciata in sconti e promozioni per dimostrare la sua vicinanza alle famiglie. Come investimento a tutela dei consumatori e del mercato, produttori e grossisti non han scaricato gli aumenti sui clienti, salvo qualche correzione in casi eccezionali di prodotti ricercati, ma di difficile reperibilità (le proverbiali zucchine ad agosto e settembre e i limoni a giugno, gli avocado siciliani che, con il blocco dei container, si sarebbero potuti vendere a peso d’oro).
Nel frattempo, nonostante le difficoltà in molti mercati, l’export ha tirato ed è stato redditizio, il che ha comportato qualche difficoltà a garantire le quantità e la pezzatura richieste dalla GDO nazionale.
Il 2022 ha visto un incremento dei costi dei trasporti del 25/30%, dal 20 al 70% per il materiale da imballaggio, con enormi difficoltà di reperimento dei materiali biodegradabili o compostabili ormai standard nella GDO.
Un’altra criticità da non sottovalutare è stata l’aumento della frequenza delle assenze del personale per malattia, con il corollario della difficoltà a trovare sostituti a chiamata, della necessità dei distanziamenti e di formazione continua.
Anche a causa del lancio del residuo zero (che, come in Francia il marchio patacca Haute Valeur Environnementale HVE, confonde i consumatori) e della scelta di alcune catene di inserirlo in assortimento come categoria intermedia tra il prodotto di massa e il biologico, le vendite di ortofrutta a novembre sono intorno al -1% in volume e al -2% in valore, ma questo grazie al circa +15% del primo semestre.”
In Germania invece:
“Anche se l’eco-attentitività dei tedeschi è da sempre nettamente superiore a quella mediterranea e non cala (bene o male, alle elezioni federali del 2021, i Grünen hanno sfiorato il 15%, esprimono il vicecancelliere, guidano i ministeri dell’economia e clima, dell’agricoltura, dell’ambiente e della famiglia; dovrebbero fischiare molto fastidiosamente le orecchie dei responsabili della distruzione del potenziale del movimento verde italiano) si sta vedendo un divario tra i valori dei consumatori e i loro comportamenti d’acquisto.
Nonostante i prezzi al consumo dei prodotti biologici siano aumentati meno (5,2%) rispetto a quelli dei convenzionali (8%), si registra lo spostamento verso prodotti più economici (con un ritorno agli ingredienti biologici a scapito dei prodotti trasformati, se non ai prodotti convenzionali locali: complice una narrativa ruffiana, al “km zero” è riuscita la magia di posizionarsi come alternativa ai prodotti biologici) o verso altri canali, come supermercati, discount e on-line, dove alle considerazioni legate ai prezzi, si aggiunge l’opportunità di one-stop shopping: vai a far la spesa solo una volta e trovi quanto ti serve per la settimana, pazienza se ti devi accontentare di quel che c’è.”
Ma come sempre – nota dolente finale – riusciamo a distinguerci:
“Da questa parte delle Alpi il settore biologico è invece affetto da almeno trent’anni dalla malattia infantile del frazionismo e dell’interesse particolare.
È funestato dal fatto che, magari dopo averci provato senza gran costrutto, gli imprenditori han smesso di impegnarsi nelle organizzazioni e s’impegnano nelle loro imprese, lasciando spazio a galletti sazi di essere primi in Gallia piuttosto che secondi a Roma.
Le collaborazioni sono sporadiche, tattiche e non strategiche; dopo che IFOAM Organics Europe è riuscita a far istituire l’European Organic Day di settembre per celebrare il biologico continentale e per promuovere la transizione agroecologica non si è nemmeno stati capaci di organizzare unitariamente una giornata biologica italiana richiamando i riflettori dei media sul settore.
No, correggo, qualcosa di corale si è visto: il plauso alla legge 23/2022 (ex DDL 988) che non ci tutela, non sostiene lo sviluppo e la competitività del settore e rischia di regalarlo –acciaccato- a chi per anni lo ha visto come fumo negli occhi e non ha affatto mancato di dimostrarlo, ampio archivio a disposizione degli studiosi…”
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