Umiliare e ubbidire

di Franka Mente 

Umiliare per non morire. Le maestre i maestri sono operai e questo spesso è dimenticato. Nelle scuole di città gli ambienti sono spesso miseri: le aule anonime, i muri sporchi, nessuna possibilità di avere luoghi propri in cui sentirsi al sicuro, dove lasciare tracce e costruire tra me e noi percorsi significativi di apprendimento. Chi fa l’anno di prova spesso è sotto ricatto, chi è a scuola da più tempo è più prepotente. Le bambine e i bambini lasciati con le mani inerti e costretti nei banchi urlano e intanto incamerano rapidi il modello che li guasta: zitto e lavora nei margini, rapido, questa è la scuola. Appena stai con gli altri corri urla esaltati ché quella finestrina di spazio è breve. La cooperazione costa fatica, cura, tempo, organizzazione e autonomia: tutta roba rara e di lusso, che ti procuri lottando e grazie alla cultura. Perché le prime volte che la provi ti pare di fallire e ti guardano male. Quindi dopo gli intervalli sfrenati e assurdi si torna ai banchi, a ubbidire e ascoltare. Le maestre i maestri soffrono il chiasso, la miseria, e reagiscono cercando di dominare secondo l’antica pedagogia nera di adulto contro bambino. Premi punizioni giudizi e parole taglienti, state fermi state zitti imparate. La lim, se c’è, sta sempre accesa, così blocca anche lei il corpo e c’è sollievo: silenzio, quiete. Le scuole non somigliano ad atelier, a cantieri organizzati in cui lavori di senso portano gruppi di pari ad apprendere con tutto il corpo e le emozioni. Non lo sono e non lo saranno, se non c’è l’organizzazione di base di maestre e maestri che la vedono diversamente e che, con la faticosa routine politica di riunioni, spazi di formazione, opera di formazione di base, ricavano occasioni di sovvertimento e diffusione di un’altra visione di istruzione. Per la maggioranza di genitori e insegnanti è così: “incontri la durezza e la cattiveria perché il mondo è crudele e cattivo e quindi armati fatica sopporta e fai quello che devi, anche noi abbiamo avuto maestre terribili e siamo vivi e belli”. Tu puoi rispondere che siamo così vivi e belli da avere i giorni contati e che l’unico senso è ridurre la violenza e l’ingiustizia per avanzare nella pace e nella conoscenza. Ma quel che conta è come lotti per questa idea, come stai accanto alle alleate e alleati. La scuola è un luogo di impegno politico e culturale, e anche qui si combatterà nei prossimi anni tra la visione di forza, aristocrazia, dominio, guerra, patria di destra e quella democratica. Ci serve tutto, la moda in accademia di bell hooks e trascinare una maestra a usare per una volta le mani e le marionette, ci serve tutto e tra poco ancora di più. Tutto tranne stare sui social a fare finta che umiliare non sia il metodo più diffuso per stare a scuola. A volte non per cattiveria ma perché ti hanno formato così e perché devi salvarti il culo. Se non hai le tecniche e i metodi, se non hai gli spazi e colleghi e colleghe esperte che ti portano, una classe di infanzia o una prima primaria possono essere una galera. La fatica e la solitudine e gli ambienti miseri rendono brutti docenti e bambini, che si fan la guerra. E vince l’adulto. Molto altro si potrebbe dire per le secondarie. In alcuni gruppi di base lavorano assieme docenti di primo e secondo ciclo e lo scambio è fertilissimo, e a partire da questo tanto si potrebbe dire e fare. Qui diremo che: le basi per la violenza si mettono fin dalla scuola d’infanzia.

Print Friendly, PDF & Email

1 commento

  1. L’alternativa positiva all’umiliazione sta nell’insegnamento alla competizione. Quella gara seria e corretta che non soltanto educa alla doverosa ricerca dell’eccellenza ma soprattutto insegna a vivere migliorandosi. Il giusto insegnamento non è quello di liberarsi dalle catene per fini romantici bensì quello di farlo per raggiungere quei traguardi che renderanno l’individuo felice perché realizzato nella vita.

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

OBIT. Poesie per la fine

5 testi da OBIT di Victoria Chang, nella traduzione di Adele Bardazzi, con un estratto dall'introduzione.
Quando il lobo frontale morì, si risucchiò le labbra come una finestra serrata. Al funerale delle sue parole, mio padre non smise di parlare e il suo amore mi trapassò, cadde a terra, una terra che non c’era.

Ana Gorría: un’altra lingua, un altro sogno

Di Anna Papa
Procedere a cancellare (male) parti di uno dei primi testi di Nostalgia dell’azione è un gioco che serve a isolare ed evidenziare le parole che con più forza legano il lavoro di Ana Gorría a quello di Maya Deren: gesto, fiore, mano, ombra, chiave, coltello.

Per Anne Sexton, nell’anniversario della sua morte

Di Rosaria Lo Russo
Oggi, cinquant’anni fa, moriva Anne Sexton, suicidandosi com’era vissuta, con ironia e strazio, sfarzosità sensuale e tenerezza infantile [...] una morte-denuncia, come quella di Amelia Rosselli, di Sylvia Plath, tutte donne e poete suicidate dalla Storia (quella di tutti più quella particolare delle donne).

Tribunale di Milano, 9 novembre 2022

Il 2 ottobre 2024, presso il Tribunale di Milano avrà luogo l’appello del processo a carico del Comitato Abitanti Giambellino-Lorenteggio. Come manifestazione di solidarietà con le persone imputate e con la loro lotta, presento una serie di testi da Parte Lesa di Massimiliano Cappello (di prossima uscita per Arcipelago Itaca). (rm)

Prati generali

Incontro di poesia
[primo di cinque]


Girfalco di Fermo, Marche – domenica 15 settembre 2024

[...] le nostre scritture stanno insieme a questo tempo di emergenza programmatica, di perpetua crisi della democrazia, di stato di guerra e di eccezione assurti a norma, di assalto ai diritti al lavoro e impoverimento economico dei più: possiamo dirlo? possiamo ragionare? su come le cose si tengono? su come le cose non si tengono?

Il bel tempo

di Luisa Pianzola
Questo è il bel tempo.
Il tempo che non c’è, che leva le tende e sparisce
si solleva da terra e sfuma nel primo strato
dell’atmosfera. Nessuno va più su
o di lato, o indietro.
Non maturano i gigli e le pesche, acerbe.
renata morresi
renata morresi
Renata Morresi scrive poesia e saggistica, e traduce. In poesia ha pubblicato le raccolte Terzo paesaggio (Aragno, 2019), Bagnanti (Perrone 2013), La signora W. (Camera verde 2013), Cuore comune (peQuod 2010); altri testi sono apparsi su antologie e riviste, anche in traduzione inglese, francese e spagnola. Nel 2014 ha vinto il premio Marazza per la prima traduzione italiana di Rachel Blau DuPlessis (Dieci bozze, Vydia 2012) e nel 2015 il premio del Ministero dei Beni Culturali per la traduzione di poeti americani moderni e post-moderni. Cura la collana di poesia “Lacustrine” per Arcipelago Itaca Edizioni. E' ricercatrice di letteratura anglo-americana all'università di Padova.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: