Notarella sullo sgonfiamento della mazza
di Andrea Inglese
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Buone notizie dal mondo del pene, il cazzo si sta sgonfiando. E quando si parla di cazzo, non siamo mai in un regime puramente fisiologico, letterale, ma si naviga nella caverna platonica del simbolico e delle sue ombre. Se tutto ciò è vero non posso che felicitarmi con le nuove generazioni, poco importa come si considerino dal punto di vista del genere. D’altra parte, il problema del cazzo riguarda innanzitutto chi ce lo ha, fisiologicamente parlando. Questo lo sapevamo anche noi, giunti alla pubertà nei remoti anni ottanta. Non so per quale vie collettive, esplicite o implicite, ce lo fu incalcato, ma ogni adolescente finiva poi col capirlo chiaramente che, per essere un “maschio”, un “uomo”, mica bastava averlo un sesso maschile. Con il sesso floscio eri un uomo in potenza, un’ipotesi di uomo, una vaga e umbratile possibilità. Con il cazzo in tiro, diventavi uomo in atto, degno di un più alto, ultimativo, destino. Quale? E qui sorge l’enigma. A cosa diavolo serviva il cazzo in tiro? Credo che non ce lo siamo, allora, chiesto abbastanza. Siamo stati un po’ creduloni. Ci siamo accontentati delle indicazioni molto generali, senza preoccuparci di scendere nei dettagli.
D’altra parte, dal 1962, anno di pubblicazione del Maestro di Vigevano di Mastronardi, ai post-moderni anni Ottanta, lo slogan del giovane maschietto era praticamente rimasto intatto: “Funziona la mazza? E quando funziona stai a posto!” A farne uno dei tormentoni del romanzo, è il maestro Filippi, collega del protagonista nel romanzo di Mastronardi. Ma in fondo era pure la nostra preoccupazione di adolescenti: avere dapprima abbastanza peli, poi averlo abbastanza lungo (o illudersi di), poi riuscire a drizzarlo, poi a mantenerlo dritto nelle torbide e losche circostanze del primo rapporto amoroso con penetrazione inclusa. La fase che va dalle prime forme di autoerotismo o di omoerotismo (quest’ultime passate sotto un prudente silenzio) alle forme di un compiuto e ormai banale rapporto eterosessuale era densa di leggende, che si concentravano ovviamente tutte intorno al funzionamento della “mazza”. Non va, con ciò, sottovalutato, sempre per i giovani maschi, il fiabesco, ma anche un po’ horror, mondo del sesso femminile. Che poi sia venuta per tutti, appunto, la fase diurna della sessualità genitale, non toglie che intorno al sesso maschile siano rimaste appiccicate ombre più o meno lunghe.
In soldoni, si potrebbe dire che, a tredici anni, tra i miei coetanei dello stesso sesso, vigeva un’indiscussa miscela di omofobia & sessismo. Era l’aria ideologica che respiravamo. Naturalmente avranno fatto eccezione figli e figlie di cerchie avanguardistiche in politica e nei costumi, ma per la grande massa la faccenda era così. Poi le solite controculture giovanili (nel mio caso il punk anarchico) rimisero le cose abbastanza a posto, stabilirono legami con le esperienze degli anni Settanta, ecc. Però l’imperativo della mazza si era nel frattempo infiltrato negli ingranaggi della personalità.
Oggi pare che, anche quando il più insospettabile degli eterosessuali è coinvolto in un’inchiesta sui costumi erotici delle gioventù, e si trova al riparo da occhi indiscreti davanti a un’intervistratrice magari di solo dieci anni più vecchia di lui, ebbene l’insospettabile etero svuota subito il sacco. Non attende neppure di essere lavorato un po’ per via subdola e psicologica. Lo dice senza tentennamenti che a lui la faccenda della mazza gli sta sul cazzo, che la sopporta male, gli produce angosce, ansie, ripugnanze. E siccome l’equazione funziona ormai da lunga data, ci si vuole liberare della mazza e di tutto quello che essa rappresenta: mascolinità o semplice appartenenza al genere maschile e alle sue prerogative. Certo, qualcuno si alzerà per dire: “Non vorrete buttare via con il cazzo in tiro, anche l’uomo che sta al suo seguito!” Ma ormai il bambino è già finito per lo scarico con l’acqua sporca. D’altra parte si capisce. Avete identificato per un’eternità bambino e acqua sporca, e ora volete che ci mettiamo lì a fare i pignoli?
Tutti questi figli nostri che già giovanissimi sbandierano identità non-binarie, bi, pansessuali o asessuali forse ci preoccupano un po’. (Sono escluse dalla lista le cerchie avanguardistiche dei costumi, che non conosco preoccupazioni mai.) O forse ci sembra tutta una moda. In ogni caso, ci incitano a capire, studiare, leggere, decifrare questo nuovo mondo che viene, che viene con la faccetta amabile dei nostri figli, fino a ieri balbettanti e camminanti su gambette insicure. Ora, questo aggiornamento sui costumi erotico-identitari può anche farsi per semplice anamnesi, come ho cercato di mostrare. Tutti i genitori di oggi, che non sono stati educati in ambienti strettamente progressisti, possono ricordarsi ad esempio – se uomini – del fardello della mazza, fardello con cui ognuno ha patteggiato a suo modo nel corso dell’esistenza adulta. In ogni caso, non mi stupisce troppo che a un certo punto, passata acqua sotto i ponti del nuovo millennio, quel fardello non sia più di così universale gradimento.
Che cose ne verrà poi fuori da tutta questa riconsiderazione e reinvenzione delle identità sessuali? Su questo noi non siamo più, in termini generazionali, i timonieri della vicenda. Possiamo metterci in ascolto con empatia, cosa che in genere il buon genitore cerca di fare. Possiamo anche mantenere un occhio un po’ ironico e distaccato, perché anche la rivoluzione delle identità sessuali, come tutte le rivoluzioni, è disseminata di trappole e vicoli ciechi. Di certo, se anche una minima anamnesi l’abbiamo fatta sulla nostra prima gioventù, non avremo allora gli occhi intorbidati di orrore e spavento, come accade a coloro che vedono in tutto ciò uno dei turpi effetti del moloch liberal-capitalistico, e hanno nostalgie di colleghi che nel corridoio ti domandano: “Funziona la mazza?”
Glossa 1
L’imperativo (e l’assolutismo) dell’erezione (per gli etero) ha comunque qualcosa di enigmatico, come se si trattasse di un’antica strategia diversiva. Questo imperativo acquista senso fintantoché siamo in una logica puramente riproduttiva: niente inseminazione senza efficace penetrazione. Ma poiché il vero terreno su cui si giocherebbe la partita della mazza (in società a natalità controllata) è quello della soddisfazione femminile, perché mai si è rimasti fissati al primato della penetrazione? Si è trattato, nel migliore dei casi, di una rottura di scatole per entrambi. C’erano così tante altre cose che si potevano fare o non fare per essere felici e stare bene assieme. (Con ciò non ho nessunissima intenzione di sputare sulla penetrazione e sui magici mondi del piacere che essa apre, quando questo accade. D’altra parte, l’esistenza di orgasmi & piaceri affini, fanno parte dei più alti principi che si possono opporre alle teorie schopenhaueriane dell’auto-annichilimento come traguardo massimo.)
Glossa 2
Il non binarismo una moda? Si potrebbe avvicinare tutta questa faccenda delle ridefinizioni dell’identità sessuale, che funziona secondo una velocità epidemica, alle riflessioni condotte dal filosofo della scienza Ian Hacking, a proposito della “costruzione sociale della personalità”. In un magnifico libro, tradotto anche in Italia, La riscoperta dell’anima. Personalità multipla e scienze della memoria (Feltrinelli, 1996), l’autore canadese s’interrogava sull’avvento di una nuovo disturbo psichiatrico, la sindrome della personalità multipla, e notava come essa fosse stata diagnosticata in rarissimi casi negli anni Settanta, per diventare poi una malattia estremamente diffusa a partire dagli anni Ottanta. La sua ricerca sulla psichiatria ottocentesca e novecentesca, che prendeva le mosse da Foucault, gli ha permesso di formulare la tesi del “nominalismo dinamico”, per caratterizzare i fenomeni che avvengono nell’ambito delle scienze umane. In parole semplici, le persone sono “trasformate” dalle descrizioni che sono loro offerte dalle istituzioni e più in generale dal contesto sociale. Questa trasformazione non è da concepire in senso lineare, come un’imposizione o una manipolazione. Sono le persone stesse che decidono di “entrare” in certe categorie comportamentali, e che finiscono per appropriarsene, per organizzare in funzione di esse la loro personalità o – nel caso di un disturbo psichiatrico – la loro sofferenza psichica. Questo discorso ovviamente ha senso anche al di fuori del terreno di esplorazione scelto da Hacking, ossia la sfera dei disturbi mentali e la tipologie di malattie che l’istituzione riconosce in relazione ad essi. Per cui bisognerebbe cominciare a pensare le nostre identità sessuali nei termini “storici” del “nominalismo dinamico”, e considerare che esse si declinano secondo descrizioni, categorie, “forme” più o meno disponibili all’interno di una certa epoca e società. Queste descrizioni, poi, possono incontrare un particolare successo, ma questo dipende dalla scelta e dalla capacità dei singoli soggetti di farle proprie, di adattarsele.