Sette poesie
di Simone Zoppellaro
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Prayer
Benedici tutti i miei peccati, o Signore,
liberami dal bene, sradica
ogni pietà o speranza dal mio cuore: fammi
perfetto per il mondo che tu hai creato
come gli uomini che hai insufflato dal fango;
rimuovi da me ogni scintilla
di virtù o conoscenza, spronami
a perseguire il buio di ogni dogma, portami
a godere, come una iena all’inferno,
di ogni sbranato, di ogni violenza,
nella pura ferocia che sprigiona
dall’abbaglio delle cose del tuo mondo;
benedici tutte le mie voglie, o Signore,
inclusa quella di farti fuori.
Ludwigsburg, 3 maggio 2021
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Frozen
Ma ho rovesciato il mio sguardo, dirigendolo
verso costellazioni ignote. Amore, fatti sentire:
affondo, affogo. Trepidazioni di termiti,
lampi laceranti, lance e lancette affilano,
grumi di luce, buio di marmo. Pietà, mercede.
Sguscia, scivola via il corpo
con tutte le torture impercettibili,
con tutte le storture della psiche
che si anima, rialza e cade,
fa un tonfo, risuona nella grotta,
dà forma al vuoto. τέλος:
è rigettare la polvere che ti nutre.
Madre-polvere, padre-palude.
Io non sono la ferita che si cuce. Io non sono
l’orbita esplosa di una pietra incenerita. Io
non sono un nome, una rivelazione biometrica.
Tocca i limiti del silenzio con le lame del palato.
Stratificazioni dello spirito. Balbetta, esala,
esulta. Per una caduta che ti declina in tutto.
Povero nodo o nucleo di materia assiderata:
tu fissa il cielo, le viscere notturne delle stelle.
Stoccarda, 30 agosto 2020
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Die Wellen
Corpo dopo corpo, il mare
restituisce alle sue sponde
(perplessi, alcuni si fermano
a guardare, un paio di loro urlano,
altri scattano foto con gli smartphone)
arti scomposti, visi neri invisibili,
fradici jeans e camice strappati; anch’io
sono lì, in sogno. Non smettono
più di toccare terra, lenti, uno dopo l’altro,
sotto un sole che si accascia al tramonto,
pallido e esausto. I loro capelli,
ad avvicinarsi, sono alghe, i loro
occhi meduse: non appartengono
più a questo lato del mondo, ma al ventre
infinito del mare. Fermo, trattengo il respiro, prego
che ora anche le onde finiscano.
Stoccarda, 2 settembre 2020
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Der Siebenschläfertag
“Saranno sette settimane di tempesta”,
sbuffano al vento i sette
dormienti – murati vivi
come da leggenda – il ventisette
di giugno, loro festa. “Saranno sette settimane
di lacrime e fango, di sangue e lampi
in tutta Europa”, sbuffano al vento
i sette redivivi, sbucati da una grotta
subito prima di morire.
Ludwigsburg, 28 giugno 2022
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Area postrema
L’uomo che si prende cura del proprio giardino
commette un atto impuro. I suoi muti margini
coincidono con un cielo terrestre. A ogni ramo
dello scheletro della conoscenza, le teste degli impiccati:
frutti delicati, primizie di morte. Da ogni singolo tronco
spezzato si sprigiona il loro grido. Vertigine del ritorno,
intimità dell’abbandono. Il giardino è la memoria del futuro;
labirinto che conchiude luce e putredine, riconduce il respiro
in un seme nudo che condensa ogni passato, ogni possibile.
Stoccarda, 17 aprile 2020
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Il contagio
Questa è l’alba dei soli che cadono.
This is the dawn of the falling suns.
Unerträglich, quando i numeri non tornano,
sono incommensurabili. Andrebbero
moltiplicati per l’umanità. Alle Straßen,
che portano a Milano, münden
in schwarze Verwesung. Il contagio
è una parentesi senza contenuto,
a esclusione del lutto. This is the dawn
of the black sun. Un fremito, so unheimlich.
Stoccarda, 22 marzo 2020
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Il respiro
A Narine Abgaryan
Tace la guerra, e tacciono i morti. Il respiro di chi resta non è più lo stesso. Il tempo è disumanato, turgido. Le frontiere appaiono mutate, non le nuvole. Le stelle brillano come distese di tombe.
Dio è morto il giorno in cui siamo nati.
Alcuni uomini continuano a vivere. Tra altri sipari, altre porte, altre finestre che danno su un muro. Sempre lo stesso muro. Il mondo ruota, una danza di pavone, attorno al muro.
Mi arrampico sugli specchi: respiro. Navigo sugli abissi: respiro. Precipito, nuoto, affogo: respiro sempre.
Oppure non respiro.
Vergine vertigine. Cattedrale di edera elettrica e rumore. Occhi verdi, duri come pietre, morbidi come prati. Il vento sospinge gli uomini-soffioni. Il seme non è più un seme, ma solo una minuscola lapide di lingua.
Jerevan, 24 gennaio 2021
densità e nitore di scrittura, con qualche solido vezzo nei rimandi.
bei testi!