Diario di Saragozza: forever Jung
di
Francesco Forlani
1. Qui in Spagna, a Saragozza è come se la storia si fosse fermata per un ventennio, anni 50-70, periodo cruciale di cambiamenti per poi riprendere da dove ci si era fermati. Ecco perché quando cammino per queste strade illuminate a lampione, giro per salumerie un po’ imperfette, ho come l’impressione di rivivere l’infanzia trascorsa in Italia, rivedere le facce da italiano in gita, quella leggerezza italica sempre in famiglia, banda, comitiva, quel quarto stato, nel senso di comunità e non di dolore, che con il tempo, in questi tempi sembra essere andato perduto. Solo qui si può vedere una riproduzione della famosa opera di Volpedo affissa su una veranda.
2. Il teatro de las Esquinas
Quanti anni ha Carlos Martín? Abbastanza da poterti raccontare della Transición democrática española, il non facile periodo seguito alla morte di Franco, della rinascita del paese, e quando ti dice della Spagna degli anni dieci e venti, e cita Garçia Lorca o Louis Buñuel, Salvador Dalì, gli brillano gli occhi come chi vi fosse stato anche allora.
La transizione copre il periodo che va dal 20 novembre 1975 al 28 octobre 1982, dunque quarant’anni fa si concluse. Dieci anni fa due compagnie, molto in voga a Saragozza, a quella transizione regalarono momenti di pura gioia, assoluta libertà creativa, partecipando alla Movida, La Nueva Ola che avrebbe infiammato di speranza le città spagnole, la felice stagione di Pedro Almodovar e Victoria Abril, della fotografa Ouka Leele e di tanti altri, come appunto le compagnie “Teatro del Temple” e “Teatro Che y Moche” che nel 2012 inventarono un progetto ambizioso e sociale, Il Teatro de Las Esquinas di Saragozza.
Carlos è molte vite, forse per questo non se ne indovina l’età sospesa come accade per i sognatori pragmatici. Me lo ha presentato Cesare Capitani, amico di lunga data e straordinario attore e commediografo da molti anni residente a Parigi. Si sono frequentati a Milano, fine anni ottanta quando Carlos insegnava alla Paolo Grassi regia e recitazione.
A Carlos racconto tutto quello che ho visto e sentito a Saragozza, l’anima surrealista racchiusa nel Gran Milagro in cui si racconta di un giovane contadino, Miguel Juan Pellicer, a cui la Vergine del Pilar il 29 marzo del 1640 aveva fatto ricrescere la gamba che gli era stata amputata due anni e mezzo prima. Come ricorda Vittorio Messori che all’evento ha dedicato un romanzo, si tratta del miracolo dei miracoli. Aveva scritto Émile Zola: “Crederei ai miracoli solo se mi dimostrassero che una gamba tagliata è ricresciuta. Ma questo non è avvenuto e non avverrà mai” .
Abbiamo messo su tipo 99 progetti, come le tesi protestanti, che in una città cattolica come Saragozza pare quasi una cosa naturale. Progetti da realizzare con il Liceo dove insegno, dall’Edipo messo in scena dalla compagnia e a cui assisteranno le nostre “secondes” in novembre, a uno spettacolo su Nietzsche, Ecce homo, da fare a inizio marzo con le classi dell’ultimo anno per il théâtre philosophique. Ma anche di progetti nostri , in particolare tre: il primo su una riduzione teatrale del romanzo Il fascista , con il titolo provvisorio La torre de los italianos .Il secondo su Errico Malatesta e la sua turné spagnola a Barcellona, Saragozza e Madrid, e un terzo di cui si dirà poi.
In una di queste ditirambiche e luculliane riunioni, nella magnifica cuisine del ristorante del teatro, è accaduta una cosa un po’ particolare. Eravamo leggermente alticci, del resto come non esserlo in una città il cui fiume si chiama Ebro, e mentre fumavamo una sigaretta sul terrazzino ci siamo entrambi resi conto che una farfalla, grande come una falena, ma dalle ali colorate di certe introvabili maripose, era rimasta prigioniera tra due vetri e disperata sbatteva le ali tentando di uscire. Don Carlos, con estrema cura e controllo dei gesti ha dapprima cercato di capire come fare per non schiacciarla tra le due finestre a scorrimento e una volta scoperto il dispositivo l’ha affrancata dall’angusto spazio catapultandola nel mondo. Ecco, ho detto, da oggi per me sarai Don Carlos, el liberador de las mariposas.
3. Un nodo papillon.
“Delle farfalle che riposano le ali si dice che siano chiuse a libro. Spetterà al lettore adesso fare in modo che di nuovo il soffio di vita, ineffabile lo schiocco, il battito, faccia giungere altrove le parole che vi sono contenute, perché psiche in greco vuol dire sia anima che farfalla. E che tra le pagine possa scorgervi come una debole e impercettibile traccia del passaggio di un angelo minore o di una farfalla dal manto merlettato di bianco e nero.” Questo avevo scritto in una prefazione, preludio, al bel racconto fotografico di Rino Bianchi su vino e scrittura. L’indomani avrei fatto il mio corso di filosofia con una classe assolutamente brillante, ventuno anime curiose, attente, colte e avendo qualche giorno prima comunicato la data del contrôle ci eravamo lasciati con un po’ di ansia, la loro di non riuscire a fare un buon lavoro e la mia di essere stato sufficientemente “didattico” nella preparazione della nozione in questione: le bonheur.
Così prima di uscire, mentre sceglievo la cravatta mi sono imbattuto in un farfallino che sinceramente ho fatto a fatica a capire come avesse superato il fuoco di fila del terribile triage delle cose da portare in fretta e furia da Parigi per cominciare la nuova vita. E allora ho pensato che quello era un segno, che avrei dovuto affrontare il giorno all’insegna del beau geste che Don Carlos aveva compiuto il giorno prima: farò in modo che il corso di oggi sia quello di un liberador de las mariposas.
Quando alle otto abbiamo cominciato la lezione ho raccontato di come governare l’ansia di non sapere abbastanza, e ho suggerito la strategia della Nihilatio mundi trattino Ricomincio da tre, una cosa sospesa tra i grandi utopisti dell’epoca moderna e il nostro Massimo Troisi.
Quando abbiamo l’impressione di non sapere niente la prima cosa da fare è proprio di fare finta di non sapere assolutamente nulla. Per gli utopisti era il mondo che andava mentalmente distrutto per ripensare un nuovo mondo ovvero capire che cosa, per esempio un uomo e una donna avrebbero messo su come sistema di vita, di regole, di leggi su un’isola deserta. Per noi sarà invece fare finta di non aver fatto nessun’ora di filosofia e dunque lasciar raffiorare da sé, come in una reminiscenza platonica, le cose che erano dentro di noi senza rendercene conto. A quel punto ognuno di loro, chino sui fogli ha cominciato a riprendere dalla memoria, concetti, figure, frammenti di testi, parole chiave come phronesis o eudemonia, scuole filosofiche, il pessimismo gaio di Schopenhauer o l’ottimismo tragico di Rousseau.
Poco dopo avere chiuso i quaderni alla fine ho potuto notare che avevano posato le ali. Ora non v’era più pericolo. Ero come sollevato da quel terzo tempo e l’ora stava ormai per finire quando le due ragazze al primo banco hanno cominciato ad agitarsi e voltandosi verso il resto della classe mostravano a dito una farfalla che tentava di entrare da noi. E sono rimasto senza parole.
ps
Ho raccontato questa cosa ad Andrea Inglese al telefono ieri e lui mi ha detto, urca (eufemismo) sincronicity pura, da cui il titolo di queste pagine.
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insomma, farfalliamo tutti e due. Evviva….
Magnifico Furlen! Ci sono i liberatori di farfalle, ma tu eres un encantador de mariposas!