Crederci
di Giorgio Mascitelli
A tutti coloro che lodano il tempo andato
Noi in famiglia non crediamo nei selfie. Non occorre, credo, spiegare che quei sorrisi posticci, quelle pose frettolose, quelle angolazioni involontariamente caricaturanti quanto ci orrifichino. Dove sono quei distesi sorrisi spontanei, quel nobile riflettersi della luce del momento dello scatto nel gioco d’ombre dei volti, quella gestualità serena e sicura che si trovano nel ritratto fotografico tradizionale? Questo però ci obbliga a non essere mai immortalati insieme perché a turno ciascuno di noi deve farsi fotografo degli altri oppure ad affidarci alla mano forzatamente frettolosa di un estraneo, sempre che ce ne sia uno in circolazione in quel determinato istante. Eppure questa monchitudine, questa scissione è preferibile per il suo spirito di verità all’oscenità del selfie perché così almeno sappiamo di essere scissi. Talvolta non riesco a vietarmi di pensare come sarebbe La colazione sull’erba di Manet in forma di selfie: tutti e tre assiepati al cento a coprire la bagnante sullo sfondo, nessuna conversazione possibile, ma solo sorrisetti idioti e smorfie, forse addirittura un gestaccio, la mano destra allungata di uno dei due bellimbusti sulla mammella ignuda della modella e la sinistra dell’altro distesa fuori campo per reggere il telefono che fotografa. No, noi non crediamo nel selfie e per questo nel vicinato ci additano. Quante volte alle mie spalle ho udito mormorare “ Essi non si selfano”!
Spesso mia moglie, che è preoccupata di questi cattivi rapporti con il vicinato, soprattutto ora che s’avvicina l’inverno senza gas, anche se Cingolani ha detto di non preoccuparsi, per fronteggiare il quale dovremmo tutti farci più solidali gli uni con gli altri, mi dice “Alex, che ti costa? Facciamoci due o tre selfie anche noi, solo per far vedere che indulgiamo ugualmente alla vieta attività. Poi li cancelliamo subito. Tanto nessuno se ne accorge”. Ma io resto abbarbicato alla mia idea, senza la quale mi sembrerebbe di morire. Attraverso di essa io esisto, esisto ancora, e tu puoi aver un bel dire che la mia idea sia solo un enorme NO; quando tutto ti sfugge tra le dita, anche le idee, il NO è pur sempre qualcosa. Un NO è pur sempre la vestigia di tutte le altre nostre cose che c’erano un tempo.
Invece Alex jr., il maschietto, con tono di sfida adolescenziale ogni tanto mi dice che tanto lui i selfie se li fa con i suoi amici, anzi ne hanno fatto perfino uno di quelli pericolosi sulle rotaie del treno, di cui talvolta parlano i giornali quando succede la disgrazia. Ma io gli do uno scappellotto e gli spiego che tra vent’anni dei suoi selfie pericolosi non resterà nulla ( nemmeno lui, se continua a farli sulle rotaie) e invece, quando guarderà la fotografia di quella splendida gita a Brunate con sfondo lago, allora si ricorderà veramente delle emozioni per via della precisione delle espressioni e dei colori. Lui ghigna e dice che sono un barbogio.
Ma colei che mi ha messo in crisi veramente è Karina, la femminuccia, che essa una volta faceva una preghiera, non una preghiera letterale ma liberamente parafrasata, di ritorno dagli scout, la quale mi è capitato di udirla casualmente: “Padre nostro che sei nei cieli, il problema è che anche il padre mio ci vuole stare su nei cieli, a tutti i costi, ma tu digli di farmi scendere o quanto meno liberaci dai suoi divieti, che voglio star qui sulla terra a godermi la quotidiana manna”. Quando sentii queste tue parole, Karina mia cara figlia, quasi ebbi un mancamento, pertanto, se queste sono le tue idee, contrariamente all’opinione di Cingolani, è bene che tu ti preoccupi dell’inverno che arriva. Ma queste sono solo razionalizzazioni consolatorie, la verità è che dopo la sua preghiera io mi sento come quell’ometto che cammina frettoloso, guardingo, quasi stilizzato, come se fosse spintonato da una mano invisibile, e dove cazzo vada nessuno lo sa.